Rabbit Hole (2010)
- michemar

- 27 feb 2019
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 21 apr 2020

Rabbit Hole
USA 2010, drammatico, 1h31'
Regia: John Cameron Mitchell
Soggetto: David Lindsay-Abaire (pièce teatrale)
Sceneggiatura: David Lindsay-Abaire
Fotografia: Frank G. DeMarco
Montaggio: Joe Klotz
Musiche: Anton Sanko
Scenografia: Kalina Ivanov
Costumi: Ann Roth
Nicole Kidman: Becca Corbett
Aaron Eckhart: Howie Corbett
Dianne Wiest: Nat
Sandra Oh: Gaby
Miles Teller: Jason
Tammy Blanchard: Izzy
Jon Tenney: Rick
Giancarlo Esposito: Auggie
TRAMA: Becca e Howie Corbett sono una coppia come le altre, con una vita come le altre, ma con un dolore che altri come loro non hanno e non conoscono: la perdita del figlio di soli quattro anni, travolto da un’auto. La reazione dei due è votata a fare come se la cosa non fosse avvenuta, ciascuno attuando le proprie strategie di sopravvivenza. Per Howie queste a un certo punto comprendono la nascita di una relazione con una donna conosciuta a un gruppo di auto aiuto. Per Becca invece sono gli incontri ripetuti con il giovane che era alla guida dell'auto che travolse il suo bambino.
Voto 7,5

Arriva come un fulmine a ciel sereno un meraviglioso film da un regista poco conosciuto, John Cameron Mitchell, che si era fatto notare precedentemente da un paio di pellicole solo eclatanti, uno addirittura solo provocatorio, direi “estremo”, perché uno che gira Shortbus - Dove tutto è permesso non lo fa per provocare che lo pensa a fare? Comunque, il fatto certo è che quest’uomo viene attirato da una pièce teatrale di David Lindsay-Abaire che aveva vinto addirittura il Premio Pulitzer e la porta sul grande schermo mettendo nel cast alcuni nomi di attori che lo fanno notare a tutti. E a buona ragione, direi, perché io, nel mio piccolo, ne rimasi folgorato: un dramma intimo, struggente nel dolore di una coppia ancora giovane che perde un figlio piccolo di soli quattro anni investito da un’auto.

Una situazione familiare purtroppo non rara, che si ripete tante volte, e che ogni genitore o familiare stretto vive in maniera personale, differente dagli altri. È ciò che succede anche alla coppia composta da Becca e Howie. Entrambi seguono una strada per superare il dolore che non riescono ancora ad elaborare: lui vorrebbe negare tutto, vorrebbe far finta di nulla ma si avvale della frequenza di un gruppo di aiuto, con altri genitori nella stessa situazione e in questa maniera conosce e comincia a incontrare un’altra donna; lei invece, mentre cancella ogni ricordo in casa e si dedica al giardinaggio o ad altre faccende di casa, si mette ad indagare personalmente sulla persona che ha causato quella perdita, chi sia veramente, cosa faccia, come fa a vivere con una colpa così pesante. È così il metodo per vivere il dolore diventa la frequentazione, in maniera anonima, del guidatore dell’auto maledetta, che è un adolescente e cerca di conoscerlo meglio, senza far scoprire la sua identità.

La grande emozione che fa provare il film è la prova di come il regista sia riuscito a rendere vivo il dramma personale e familiare, in quanto punta soprattutto, senza rendere melodrammatico il racconto, al coinvolgimento dello spettatore. E devo dire che ci riesce perfettamente: io ne rimasi rapito. Il merito è anche e molto alla solita efficace appassionante interpretazione di Nicole Kidman, il che non è una novità, dal momento che è una delle migliori attrici che appaiono sullo schermo e colpevolmente lo notiamo e diciamo poche volte, rispetto al suo effettivo valore. Se ogni sua apparizione è validissima, in questo film è semplicemente superlativa e guadagnò a ragione una giusta candidatura agli Oscar del 2011. I suoi colloqui sulla panchina di un giardino con il giovane Jason sono esemplari, perché – cosa da tener presente – a farle compagnia fu uno sconosciuto giovanotto esordiente che a me colpì immediatamente per la semplicità di recitazione, pacata e precisa, rimanendomi impresso e quando lo ritrovai in un altro film clamoroso non mi meravigliai. Il suo nome è Miles Teller (allora era 23enne ma ne dimostrava parecchio meno) e dopo quattro anni lo rividi felicemente appunto protagonista in Whiplash. Perché? Perché di lui proprio Damien Chazelle ha dichiarato: “L’avevo visto nel suo esordio, Rabbit Hole, e sapevo sarebbe diventato un grande attore.”
(guardatevi il trailer in originale allegato in calce e ci capiremo subito)

Mentre quindi la moglie scava dentro di sé senza pietà, il marito Howie è invece il bravo Aaron Eckhart, il cui viso rabbuiato e triste, spesso nervoso, rende bene il suo non facile ruolo, che sfoga il suo immenso, intimo e trattenuto dolore tra fughe relazionali, canne casalinghe e non, litigi domestici. E se tutto il film ci sembra alla fine ben fatto va dato il giusto merito al regista John Cameron Mitchell che vedremo poco o nulla ancora nelle sale avendo dedicato maggiormente il tempo a qualche episodio di varie serie TV.
È un film che colpirà parecchio chi non lo conosce, perché è ingiustamente stato messo da parte e pochi se ne ricordano. Un vero peccato.






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