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Race - Il colore della vittoria (2016)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 16 gen 2023
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 14 set

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Race - Il colore della vittoria

(Race) Canada, Germania, Francia 2016 biografico 2h14’


Regia: Stephen Hopkins

Sceneggiatura: Joe Shrapnel, Anna Waterhouse

Fotografia: Peter Levy

Montaggio: John Smith

Musiche: Rachel Portman

Scenografia: David Brisbin

Costumi: Mario Davignon


Stephan James: Jesse Owens

Jason Sudeikis: Larry Snyder

Shanice Banton: Ruth Solomon-Owens

Jeremy Irons: Avery Brundage

William Hurt: Jeremiah Mahoney

Carice van Houten: Leni Riefenstahl

David Kross: Carl "Luz" Long

Marcus Bluhm: Wolfgang Furstner

Amanda Crew: Peggy

Jeremy Ferdman: Marty Glickman

Barnaby Metschurat: Joseph Goebbels

Glynn Turman: Harry Davis

Jonathan Aris: Arthur Lil

Shamier Anderson: Eulace Peacock

Tony Curran: Lawson Robertson

Nicholas Woodeson: Fred Rubien

Giacomo Gianniotti: Sam Stoller


TRAMA: La storia delle lotte e dei sacrifici di Jesse Owens per diventare il più grande corridore e saltatore del mondo durante le Olimpiadi del 1936, dove fu costretto ad affrontare le convinzioni di Adolf Hitler sulla supremazia ariana.


Voto 6,5


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Il film firmato da Stephen Hopkins è il biopic su una figura rimasta scolpita nella memoria e nella Storia, quella del grande Jesse Owens, ripercorrendo i due anni di sforzi del giovane atleta, simbolo di coraggio e determinazione, per diventare una leggenda olimpica partendo da quando, nell'America post-Depressione, egli è solo uno studente diciannovenne che porta sulle spalle il peso delle aspettative familiari e vive sulla propria pelle le tensioni razziali. Alla Ohio State University, Jesse trova un esperto allenatore e coraggioso amico in Larry Snyder, colui che lo aiuterà a testare i propri limiti. Con l'amore e il sostegno di Ruth, con la quale giovanissimo ha una figlia, Jesse riesce a vincere diverse gare guadagnando un posto nella squadra olimpica statunitense. Nel frattempo, a causa dei forti attriti con la Germania, paese ospitante delle Olimpiadi del 1936, l'idea di un boicottaggio americano dei Giochi si fa strada nel comitato olimpico, lasciando che a discutere la partecipazione siano il presidente del comitato Jeremiah Mahoney e l'industriale milionario Avery Brundage.


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Basterebbe questo per intuire l’influenza sociale e politica prima della partecipazione degli Stati Uniti a quelle Olimpiadi, poi quella direttamente del forte atleta di colore (precisazione antipatica e superflua, ma necessaria per quei tempi e in quella città e soprattutto per spiegare l’importanza della storia). Peccato che il regista, che non è stato mai eccelso, sa costruire abbastanza bene il personaggio principale e spiegare la sua importanza storica, ma non riesce a trascendere il genere, a uscire dallo schema classico e prevedibile.


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Il film abbraccia contemporaneamente tre filoni di narrazione. Il più significativo, ed è scontato, è l'ascesa alla ribalta del velocista interpretato da Stephan James, che supera un eccesso di ostacoli - non ultimo dei quali è il pregiudizio razziale dilagante nel Sud durante l'era della segregazione - per diventare uno dei rappresentanti del suo Paese ai giochi internazionali. Una narrazione secondaria esplora le lotte della regista Leni Riefenstahl (Carice van Houten) per realizzare il documentario Olympia nonostante l'interferenza del ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels (Barnaby Metschurat). Per finire la trama si occupa anche della disputa nelle organizzazioni olimpiche americane tra Avery Brundage (Jeremy Irons) e Jeremiah Mahoney (William Hurt) sull'opportunità di un eventuale boicottaggio, pratica che purtroppo si è riaffacciata anche non molti anni fa.


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Però, due punti sono importanti e il film ce li pone come quesiti: la mancata partecipazione di Owens alle gare olimpiche sarebbe stato un danno per la lotta per l’uguaglianza e contro la questione razziale? Possiamo infatti chiederci quale sarebbe stata la sua eredità se avesse ascoltato il consiglio di alcuni leader della comunità nera e si fosse rifiutato di far parte della squadra. Ed inoltre, questa pellicola sottolinea anche quanto poca differenza ci fosse tra il trattamento della Germania e quello americano verso le persone di colore: significativa al riguardo è la scena finale in cui il nostro eroe, sportivo e sociale, è costretto a usare l'ingresso di servizio di un hotel di lusso di New York anche se è l'ospite d'onore del ricevimento.


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Notevole e riuscita è la buonissima ricostruzione scenica dei Giochi Olimpici, che Stephen Hopkins rende molto verosimile anche tramite alcune immagini fisse e di spezzoni del documentario succitato. E poi dando risalto ai contorni storici a partire dal discorso inaugurale del fuhrer nel tripudio di una folla adorante di una nazione ormai prossima a dare corso alla guerra mondiale. Buona è la recitazione del giovane Stephan James, fattosi notare in Selma - La strada per la libertà e soprattutto recentemente per il secondo lavoro di Barry Jenkins, Se la strada potesse parlare: il giovane lo notiamo molto impegnato a trasmettere tutta l’umanità che caratterizzava il carattere del mitico personaggio. Accanto a lui un bravissimo Jason Sudeikis, premiato attore di serie TV. Ad aumentare il tasso qualitativo si aggiungono due nomi importanti anche se godono solo di pochi minuti di presenza sullo schermo: Jeremy Irons e William Hurt.

Forse è un’occasione persa per celebrare come si deve un personaggio così importante ma Stephen Hopkins ha avuto a che fare con un genere difficilissimo da trattare per non deludere: quello autobiografico è sempre un campo minato, perché si diventa facilmente retorici o limitativi e questo film, nonostante sia infatti lungo, pare incompleto.

Comunque resta un’opera suggestiva da poter essere vista, quella su un giovane di grandi qualità umane e atletiche, capace di vincere ben 4 medaglie d’oro e far arrabbiare Hitler.



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Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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