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Ritorno a Seoul (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 8 lug 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

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Ritorno a Seoul

(Retour à Séoul) Francia/Germania/Belgio/SudCorea/Romania/Cambogia/Qatar 2022 dramma 1h59’


Regia: Davy Chou

Sceneggiatura: Davy Chou (Laure Badufle, Violette Garcia)

Fotografia: Thomas Favel

Montaggio: Dounia Sichov

Musiche: Jérémie Arcache, Christophe Musset

Scenografia: Chi-youl Choi, Bo-Kyung Sin

Costumi: Claire Dubien, Choong-Yun Yi


Ji-Min Park: Frédérique “Freddie” Benoît

Oh Kwang-rok: padre biologico di Freddie

Cho-woo Choi: madre biologica di Freddie

Guka Han: Tena

Kim Sun-young: zia biologica di Freddie

Yoann Zimmer: Maxime

Louis-Do de Lencquesaing: André

Hur Ouk-Sook: nonna biologica di Freddie

Emeline Briffaud: Lucie


TRAMA: Una ragazza francese di venticinque anni torna per la prima volta in Corea, il paese in cui è nata prima di essere adottata da una coppia francese. Vuole rintracciare i suoi genitori biologici, ma il viaggio prende una svolta sorprendente.


Voto 7

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Un ritorno a Seoul che diventa (parafrasando Sofia Coppola) un Lost in Corea. Non ci voleva e doveva andare, Frédérique Benoît, detta Freddie, in quella città, ma il volo da Parigi per Tokyo era stato annullato e in alternativa era partita, come un inconscio richiamo alle origini, alla volta della capitale coreana. Perché lei lì era nata, quella è la sua origine, poi, abbandonata dai genitori in un centro di adozione di Seoul, era stata scelta a pochissimi mesi di età da una coppia parigina ed ora è una francese a tutti gli effetti. Di nazionalità e di mentalità. L’occasione le fa desiderare, ma non troppo, di conoscere i suoi genitori biologici e Tena, la receptionist dell’albergo dove prende una camera, si offre di aiutarla, accompagnandola subito presso la Hammond Adoption Center, dove era stata lasciata. La benefica organizzazione è in grado di rintracciare, anonimamente, i veri genitori e chiedere loro se acconsentono ad incontrare i neonati abbandonati anni prima. È l’unico sistema per Freddie per risalire a chi l’ha messa al mondo, avendo in mano solo una piccola fotografia di quando era ancora in braccio alla sua mamma. La ricerca ha così inizio.

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Salta evidente che la giovane è interessata alla conoscenza ma non più di tanto, anzi in vari momenti pare proprio disinteressarsi, principalmente perché, come afferma, non ha più nulla dentro di sé che la riporti alla mentalità o agli interessi orientali: si sente francese al cento per cento, parla anche inglese correttamente ma non conosce una parola di coreano. Il suo è un interessamento puramente di curiosità, quasi un adempimento per chiudere il cerchio della sua origine, ma nulla che possa appassionarla veramente. Se i genitori sono disponibile bene, altrimenti finisce la sua vacanza e torna a casa, dalla mamma che è già in pensiero non avendo molte notizie del suo viaggio. La sua è una vera e propria vacanza di svago, quasi da sballo, supportata dalla forte amicizia della accompagnatrice Tena con cui si scatena in bevute colossali assieme a compagnie occasionali di altri giovani che conosce nei locali che frequenta. Avrà modo di conoscere il padre, un uomo che vive lontano, a Gunsan, città di mare dove lavora, ma non ne è attratta, anzi quasi disturbata dall’eccessivo affetto e pentimento che trova in lui. Il quale, la sera, sempre alticcio, la assedia con numerosi messaggi con cui la esorta a vivere con la sua famiglia, costituita dopo che la madre biologica di Freddie lo aveva lasciato successivamente all’abbandono della bimba. Non accetterà mai, tranne l’invito ad alcune visite ma il suo futuro la vede altrove, mentre la mamma coreana la contatterà solo dopo diversi anni.

Freddie è incostante, nervosa, fortemente indipendente. I contatti avuti nel Paese originario aumentano la sua instabilità psicologica, la rendono più ribelle. È lampante come rifiuti di ritrovare se stessa nel suo habitat natale, come si ribelli a ciò che prova in alcuni momenti di riflessione, e che preferisca impermeabilizzarsi ai segnali che le giungono, li lascia scivolare addosso facendosi scudo con la corazza dell’indifferenza, insensibile alle suppliche del padre ma sempre in attesa di un contatto con la madre mai conosciuta. Una “persona molto triste”, come la definisce l’amica dopo un approccio lesbico fallito. Sesso occasionale con amici occasionali e con un misterioso trafficante d’armi francese tra i diversi andirivieni dalla patria acquisita, spacciandosi perfino come sua collaboratrice negli affari internazionali di quest’ultimo. Poi, contravvenendo alle regole dell’istituto, la Hammond, che ha scritto più telegrammi del previsto alla madre, le comunica che finalmente la incontrerà, e sarà l’unico momento di cedimento mentale, manifestato dal pianto commosso del contatto fisico con chi l’ha concepita.

Il regista Davy Chou, francese di origine cambogiana, racconta che ha scritto il soggetto ispirandosi alla storia di una sua amica coreana che ha accompagnato a incontrare il suo padre biologico, confessando che è stato un momento molto forte e intenso. Ripensando a quell’episodio negli anni, poi chiese a questa conoscente se potesse trarne un film e lei ha accettò. “Credevo fosse solo una bella storia che volevo raccontare, la sentivo a livello emotivo e volevo inoltre mostrare una versione diversa, meno riconciliante, delle storie di adozione, spesso piene di cliché. Invece, scrivendo, ho realizzato che il film era profondamente connesso alla mia vita, perché sono nato e cresciuto in Francia ma ho un legame con la Cambogia, in cui sono andato per la prima volta a 25 anni, proprio come Freddie. E come lei ero molto sicuro della mia identità, dicevo ‘sono francese’, sentivo una sorta di rifiuto iniziale. Alla fine, ho scoperto che il film rifletteva anche qualcosa di mio, così ho trovato il modo di intrecciare me stesso all’esperienza della mia amica e a quella della protagonista.”

Il film è diviso in capitoli a seconda dei viaggi in Corea ma è sostanzialmente fratturato a metà: nella prima parte pare il solito film orientale che vuole spiegare la scomoda situazione con lo spirito tipico di quella terra, dolce e commovente, poi, nella seconda, vira verso il forte carattere della protagonista e la sua vita irrequieta, con il definitivo rifiuto del padre biologico e un totale cambiamento fisico e della vita quotidiana: truccata e vampiresca, sembra uscire da un manga come un’eroina pronta a difendersi e azzannare. L’incedere della narrazione è sempre lento, ma se la prima parte è costante, la seconda va a strappi, con momenti nervosi ed altri dilungati nei tempi.

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Sembra un’opera drammatica segnata dalla vicenda e dalla protagonista, ma si prova nettamente l’impressione che il film è totalmente plasmato dalla muscolare e tonica interpretazione di un’attrice di forte temperamento. Ji-Min Park è eccezionale. Il film non è suo ma lo diventa per via di una performance maiuscola, dettata dall’enorme talento di cui è dotata. Il film è lei, dall’inizio alla fine, in entrambe le versioni con cui si presenta alle persone che frequenta, spiazzando non poche volte l’inebetita Tena, sia prima che dopo. Un’attrice così brava che merita di essere attesa alla prossima esibizione interpretativa, perché tale è. I primi piani che Davy Chou le dedica sono giustificati dai risultati: ogni sguardo, ogni espressione, ogni gesto sono parole non scritte dal copione né pronunciate ma risultano chiari messaggi a chi la osserva, nella trama e sullo schermo. La sua Frédérique non ha mai voluto ricambiare l’amore che non ha ricevuto da chi doveva e quello dei nuovi genitori, ed ora forse non le è più bastato e si è liberata come una farfalla alla ricerca di se stessa. La sua storia è la fotografia del distacco di una identità che ha perso e non ha più ritrovato. Essere e appartenere non la riguarda più.

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Da notare che il film, presentato al Festival di Cannes del 2022, aveva il titolo inglese di All The People I'll Never Be (Tutte le persone che non sarò mai) che spiega molto bene il carattere di Freddie.


 
 
 

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