Rumore bianco (2022)
- michemar

- 4 gen 2023
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 29 mag 2023

Rumore bianco
(White Noise) USA/UK 2022 commedia 2h26’
Regia: Noah Baumbach
Soggetto: Don DeLillo (romanzo)
Sceneggiatura: Noah Baumbach
Fotografia: Lol Crawley
Montaggio: Matthew Hannam
Musiche: Danny Elfman
Scenografia: Jess Gonchor
Adam Driver: prof. Jack Gladney
Greta Gerwig: Babette Gladney
Don Cheadle: prof. Murray Siskind
Raffey Cassidy: Denise
André Benjamin: Elliot Lasher
Jodie Turner-Smith: Winnie Richards
Lars Eidinger: Arlo Shell
Logan Fry: prof. Helmet Dackel
Francis Jue: dr. Chester Lu
Mike Gassaway: dr. Helms
J. David Hinze: Herr Dokter
Allen Michael Harris: ufficiale di polizia
May Nivola: Steffie
Laura Wimbels: Extra
Sam Nivola: Heinrich
Barbara Sukowa: suor Hermann Marie
Maggie Loughran: suor Hildegard
Kenneth Lonergan: dr. Hookstratten
Sam Gold: Alfonse
Carlos Jacott: Grappa
TRAMA: Un anno nella vita di Jack Gladney, un professore di storia che si è fatto un nome per i suoi studi su Hitler e ha una numerosa famiglia estesa. Un evento esterno - la fuga di una nuvola tossica da una fabbrica - provocherà in lui e nella moglie una serie di comportamenti irrazionali.
Voto 6

Da quando ho terminato di vedere il film a quando mi son deciso di scriverne, non ho ancora capito se mi è piaciuto o meno, senza avere neanche l’idea chiara del voto da aggiudicare, segno evidente che ne sono rimasto spiazzato e interdetto, che forse è l’obiettivo di fondo dello scrittore del romanzo e del regista del film. Oppure più semplicemente (è più probabile) non l’ho assimilato e capito bene. la cosa certa è che Noah Baumbach ha abbandonato (forse solo momentaneamente) il suo personalissimo cinema fatto da commedie drammatiche, o meglio drammi divertenti e brillanti, denominati più precisamente dagli anglosassoni dramedy, una sorta di crossover che fa ridere ma anche riflettere sugli eventi che capitano nella vita dei personaggi, sempre tristi e problematici. Una versione postmoderna della filosofia alleniana, con tutto il rispetto per l’inarrivabile autore di newyorkese. A spingere Baumbach verso questa virata è stato il romanzo omonimo di Don De Lillo, autore che ha saputo dare una certa svolta alla letteratura americana con storie originalissime e modo innovativo di scrivere adeguato ai temi trattati. Ma soprattutto andando a rivoluzionare la maniera per trattare il contesto attuale in cui si sta sviluppando la società dell’oggi. Lampante come il regista si sia adeguato e abbia interpretato alla sua maniera lo spirito del romanzo, prima di tutto dirigendo la moglie Greta Gerwig (e non è la prima volta) e Adam Driver, appena dopo il bel film precedente (stavolta un vero dramma) Storia di un matrimonio, e poi creando un’atmosfera e un’ambientazione che ci immerge totalmente negli anni ’80 americani.

Jack Gladney è un professore che insegna un campo da lui fondato chiamato Hitlerologia, incentrato sullo studio di Adolf Hitler, pur non parlando tedesco, ragion per la quale prende segretamente lezioni di base per prepararsi a un discorso che terrà ad una conferenza. Jack è sposato con Babette, entrambi al loro quarto matrimonio, e crescono quattro figli: Heinrich e Steffie, avuti da lui da due dei precedenti matrimoni, Denise, da un matrimonio passato di lei, e Wilder, avuto dai due insieme. Denise scopre che Babette assume segretamente delle pastiglie chiamate Dylar, che non si trovano su alcun libro medico. La notte Jack sogna un uomo misterioso che cerca di ucciderlo, collegabile a una conversazione avuta con la moglie sulla loro paura della morte. Murray Siskind, un professore collega di Jack, vorrebbe sviluppare un campo di nicchia simile a quello di Gladney, chiamato Elvissologia (basato su Elvis Presley), facendosi aiutare dall'amico durante una lezione. Una improvvisa e grave perdita di fumi tossici da una fabbrica non molto lontana, sottovalutata inizialmente da Jack, scatena il panico negli abitanti della regione, sollecitati dall’allarme delle autorità locali e causa una generale fuga precipitosa in una interminabile coda di auto che ricorda le catastrofiche postapocalittiche.

Le incongruenze esistenziali, le incomprensioni fino allora nascoste, i timori personali e collettivi, le anomalie sociali esplodono deflagranti in discussioni surreali e gli attriti affiorano con dialoghi assurdi tra il grottesco e il comico. Il tutto accentuato dalla recitazione che il regista ha richiesto specialmente alla coppia protagonista, degnamente coordinati da altri personaggi alquanto bizzarri ed eccentrici. Situazione che stuzzica una condizione surreale del momento e delle persone. La morte, la malattia, le paure insomma che queste provocano diventano e dominano quella sensazione che si può chiamare rumore bianco, rendendo instabili i caratteri e i rapporti dei tanti personaggi che abitano questa storia, in special modo fotografando la famiglia Gladney all’interno, composta da soggetti ognuno dei quali ha un suo percorso mentale personalissimo. È una famiglia che sollecita una definizione agghiacciante dello stesso Jack: “La famiglia è la culla della disinformazione mondiale”, che chiarisce non solo il modo di pensare di lui ma che illustra la mentalità del momento e che ci rapporta anche ai giorni nostri, che è poi sicuramente l’intento di De Lillo. Tra un’esibizione di station wagon e un pollo fritto al chili, ci si domanda se le pecore abbiano le ciglia, mentre impazza la teoria che il supermercato sia un portale, uno spazio di transizione tra il vivere e il morire: è il summa di un’opera che spazia tra commedia, dramma e satira sociale e politica. Discutere buona parte del film di Nyodene (la probabile sostanza tossica che vaga minacciosa nei cieli) e Dylar, psicofarmaco fuori mercato in grado di alleviare la fobia della dipartita, diventa nel corso della visione un almanacco illustrato dell’apocalisse contemporanea, che è la traslazione negli anni Ottanta della pandemia che abbiamo vissuto recentemente (ammesso che sia finita). Il supermercato, altro luogo simbolico, con le sue innumerevoli corsie, con tanta gente che vaga con carrelloni stracolmi di prodotti chissà quanto utili, sono l’emblema del “produci, consuma, crepa”. E mica per nulla il finale con i titoli di coda diventa un balletto generale di gente che allegramente colora ogni spazio tra gli scaffali debordanti di merce colorata e attrattiva.

A che servono figure forti e marcate come Hitler e Elvis Presley se non a dimenticare morte e malattia e cioè ciò che fa soffrire l’uomo? E guardare filmati in TV con scene catastrofiche di incidenti stradali con gli occhi sbarrati dall’orrore come se da un momento all’altro potrebbe capitare ad ognuno? Ad accentuare l’atmosfera ci ha pensato il cast tecnico di Baumbach con pettinature che trasformano il Jack di Driver (che ha anche una pancia accentuata) e la Babette della Gerwig, dai riccioli lunghi e vaporosi che si fa fatica a riconoscerla. Ma anche gli incubi notturni e le paranoie che vivono i due annunciano il loro disastro esistenziale, che induce a rubare invece di comprare, a sparare al posto di parlare, persino a dare il proprio corpo per potersi fornire di quel maledetto e sconosciuto medicinale che nessuno laboratorio conosce. Mancano, è chiaro, i sani principi (relativi per ognuno di noi, se ci si crede o no) che reggono e regolano la vita quotidiana di una società normale (per quel che vale questo aggettivo): “L’inferno è quando nessuno crede” dice una suora nel campo profughi che l’emergenza ha fatto nascere. E quel finale, con il ballo ritmato, una sorta di flashmob tra le corsie dei surgelati è raggelante e comico nello stesso tempo, è una danza macabra alla pari dei funerali al tempo del jazz della New Orleans che fu, un rito voodoo per esorcizzare le paure di quegli anni e di oggi. E del futuro prossimo, prima che l’inquinamento e il riscaldamento terrestre ci costringa a fuggire chissà dove.

La recitazione sopra/sotto le righe di Adam Driver e Greta Gerwig, la trasformazione di Don Cheadle, la presenza di Raffey Cassidy (inquietante in Il sacrificio del cervo sacro) che sembra l’unica con la testa sulle spalle, sono perfette pedine nelle mani di Noah Baumbach in questa opera che lascia tante perplessità, sia per il messaggio contenuto che per il modo in cui l’ha voluta realizzare. Senza dimenticare che sono, in definitiva, ciò che il romanzo di partenza contiene. Anche questa volta il voto di valutazione è una media: quella tra chi apprezza il film e chi ne resta allibito, tra il personale pollice su per come è stato realizzato e quello in giù per essersi atteso qualcosa di più clamoroso. Fenomeno che si è ripetuto tra i cinefili con un altro romanzo dello stesso scrittore, Cosmopolis, adattato sullo schermo da Daivd Cronenberg, altra predicazione sulle storture moderne della finanza e dei comportamenti (dis)umani.
I’m afraid to die. I just can’t believe that we’re all marching towards nonexistence. It haunts me, Jack. I won’t go away.
Ho paura di morire. Non riesco a credere che stiamo tutti marciando verso la non-esistenza. Mi perseguita, Jack. Non andrò via.
2022 - Festival di Venezia
Green Drop Award a Noah Baumbach
2023 - Golden Globe
Candidatura al Miglior attore in un film commedia o musicale ad Adam Driver














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