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Shining (1980)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 2 mar 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 3 feb

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Shining

(The Shining) UK/USA 1980 horror 1h59' (Extended Edition: 2h24’)


Regia: Stanley Kubrick

Soggetto: Stephen King (romanzo)

Sceneggiatura: Stanley Kubrick, Diane Johnson

Fotografia: John Alcott

Montaggio: Ray Lovejoy

Musiche: Wendy Carlos, Rachel Elkind

Scenografia: Roy Walker

Costumi: Milena Canonero


Jack Nicholson: Jack Torrance

Shelley Duvall: Wendy Torrance

Danny Lloyd: Danny Torrance

Scatman Crothers: Dick Hallorann

Lisa e Louise Burns: le gemelle


TRAMA: Jack Torrance, per trovare il giusto isolamento che gli permetterà di scrivere il suo romanzo, accetta l'incarico di custode invernale di un enorme albergo tra le montagne. Lo seguono la moglie Wendy e il figlioletto Danny. Quest'ultimo possiede poteri paranormali che gli permettono di vedere nel passato e nel futuro.


VOTO 10

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Viene da sorridere leggendo dalle cronache che Stephen King definì il suo romanzo semplicemente “una storiella sul blocco dello scrittore”… Racconti e film sull’ispirazione bloccata degli scrittori ne abbiamo letti e visti tanti, ma che poi causasse reazioni come quelle di Jack Torrance nei corridoi e nelle stanze del mitico e gigantesco Overlook Hotel non si erano mai notate. Il geniale adattamento che ne realizzò Stanley Kubrick non solo consolidò la fama di entrambi, ma fece di Jack Nicholson una vera superstar. La sua voce distorta e agghiacciante (doppiata da Giancarlo Giannini) che grida “Danny, vieni dal babbo!” o che insegue sua moglie Wendy chiamandola Cappuccetto Rosso sono sicuramente sequenze tra le più celebri della storia del cinema. Partiamo dal nome scelto per l’hotel dove si svolgono i fatti: Overlook. Che in lingua anglosassone sta per “lasciarsi sfuggire” e se ci facciamo caso, di certo alla famigliola Torrance alcune cose sfuggono accettando l’incarico di sorvegliare l’albergo durante l’inverno, per esempio che la struttura è contaminata da ataviche forze del male, che invece il piccolo Danny avverte tramite la sua “luccicanza”.


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Difficile comunque stabilire una classifica tra le scene più memorabili del film oppure tra quelle più spaventose, anche per merito, nella versione italiana, della cura proverbialmente maniacale del regista che curò numerosi particolari, tra cui anche la trasposizione della maledetta frase che Jack continuava ossessivamente a ribattere con i tasti della sua celeberrima macchina da scrivere. Di certo “Il mattino ha l’oro in bocca” non ha lo stesso effetto devastante di “All work and no play makes Jack a dull boy”. Le numerose riletture esoteriche hanno aumentato in questi anni il fascino ed il mistero della pellicola, facendola diventare una leggenda.


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E infatti, come tutti i capolavori, il film trascende il suo status di adattamento letterario per diventare un classico del cinema, con le riprese dall’alto, i colori avvolgenti e altamente simbolici, le immagini riflesse in specchi, la straordinaria colonna sonora e le favolose scenografie di Roy Walker.


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Volendo trascurare i commenti sul capolavoro e cercando di andare oltre le impressioni e le apparenze, guardando piuttosto dietro le quinte per capire cosa succedesse sul famigerato set, si possono scoprire storie impensabili di cui si narrano molte leggende. Gli innumerevoli ciak, le vessazioni da parte di tutto il set (causate dal regista) verso Shelley Duvall affinché arrivasse a recitare con la faccia esasperata, le tonnellate di sale per creare l’effetto neve, il folle andirivieni del genio della steadicam, Garrett Brown, da quel set a quello di Rocky II, da Londra a Philadelphia, la fissazione di girare in ordine cronologico, il che richiese di allestire tutti i set insieme.


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Mentre nel frattempo Stephen King non era soddisfatto della trasposizione del suo romanzo che era fortemente autobiografico e notava che il difficile rapporto tra sé bambino e il padre si disperdeva in tutt’altro. Stanley Kubrick, infatti, non era per nulla interessato al lato familiare-sentimentale della storia, quanto invece alla messa in scena della perversione di Jack e del suo tentativo di distruggere la famiglia, il figlio in primis, come annientamento della discendenza. Fu in quei giorni che Steven Spielberg incontrò il regista di cui divenne un sincero amico: lo trovò chino su un plastico con minuscoli pupazzi come a ricreare le scene, con la macchina fotografica in mano per provare le inquadrature. La meticolosità di quell’uomo non era leggenda, era reale!


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La sequenza finale è un misto tra nostalgia di ricordi e un’ultima sferzata di mistero, tra i tanti segreti esoterici nascosti nel film, come giustamente illustrato nell’interessante doc Room 237 che cerca di spiegarci molte cose. Succede che prima dei titoli di coda il Maestro ci addolcisce sfrontatamente con le note di Midnight, the Stars and You mentre fa zumare la camera su una vecchia foto in bianco e nero di una festa Capodanno di tanti tanti tanti anni prima, in cui compare in primo piano…


Capolavoro assoluto!


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La maniacalità perfezionista di S.K..

Come scrive Filippo Ulivieri, il più esperto e appassionato giornalista scrittore della filmografia del Maestro, il dialogo tra Hallorann e Danny di fronte a una coppa di gelato richiese cinque giorni (e 17 chili di gelato) con 80 ciak per un primo piano di Scatman Crothers. Il carrello su Ullman mentre accompagna i Torrance dentro la sala da ballo fu ripetuto 83 volte, il record per questo film. Il battibecco tra Jack e Wendy nella Colorado Lounge raggiunge 144 ciak, 79 dal lato di Jack Nicholson e 45 da quello di Shelley Duvall. Per mitigare l’impressione di tortura che questi numeri suggeriscono c’è da tenere a mente che i ciak non erano mai ripetizioni identiche ma variazioni per approfondire un’idea e migliorarla. Inoltre, ogni scena era girata in master takes (una ripresa completa di una scena, che include tutti i dialoghi e le azioni principali), ininterrottamente dalla prima all’ultima battuta, per permettere agli attori di perdersi nel personaggio, un metodo che naturalmente espone al rischio di dover rifare tutto da capo appena salta una battuta. Poiché poi Kubrick preferiva usare una sola cinepresa per volta, ulteriore tempo era richiesto per avere tutti i punti macchina con le diverse inquadrature. Se infine si considera che gli attori non sono i soli a poter commettere un errore, non è difficile immaginare la crescita esponenziale dei ciak e dei giorni di riprese. Il regista comunque non era interessato a un ciak senza errori. Un suo commento positivo sui diari (nell’Archivio Kubrick) non corrisponde mai alla fine dei ciak per quella scena: si continuava a esplorarla in cerca, come soleva dire lui stesso, della magia, di quell’ineffabile momento in cui tutti gli elementi di un’immagine - un perfetto movimento di macchina, l’intonazione perfetta di una battuta, il perfetto taglio di luce - riescono a fondersi in qualcosa di speciale. Inseguire la magia ha un impatto diretto sui tempi di lavorazione.

Le riprese di Shining durarono 334 giorni. Quelle di Full Metal Jacket 357. Eyes Wide Shut detiene tuttora il record di produzione ininterrotta più lunga della storia: 579, un anno, sette mesi e due giorni.



 
 
 

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