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Sole (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 30 giu 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 8 giu 2023


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Sole

Italia/Polonia 2019 dramma 1h42’


Regia: Carlo Sironi

Sceneggiatura: Giulia Moriggi, Carlo Sironi, Antonio Manca

Fotografia: Gergely Pohárnok

Montaggio: Andrea Maguolo

Scenografia: Ilaria Sadun

Costumi: Olivia Bellini


Sandra Drzymalska: Lena

Claudio Segaluscio: Ermanno

Barbara Ronchi: Bianca

Bruno Buzzi: Fabio

Vitaliano Trevisan: ostetrico

Marco Felli: Giordano


TRAMA: Ermanno passa i suoi giorni tra piccoli furti e lunghe sedute davanti alle slot machine, in attesa di una svolta nella sua vita. Lena invece arriva in Italia per vendere la bambina che porta in grembo e poter così iniziare una nuova vita. I due fingono di essere una coppia in modo che Fabio, lo zio di Ermanno, sterile e disposto a pagare per avere la figlia che lui e sua moglie Bianca non possono avere, possa ottenere l'affidamento della bambina in maniera veloce attraverso un'adozione tra parenti. Per procedere con l'adozione però, Ermanno e Lena devono essere convincenti agli occhi di tutti. Sole, la bambina, nasce prematura e deve essere allattata al seno prima di essere consegnata a Fabio e Bianca. Lena è in difficoltà e cerca di restare fredda e negare il legame con la figlia. Un muro di silenzio si alza tra lei ed Ermanno, che inizia a prendersi cura della bambina come se fosse sua.


Voto 7

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Che ci si trovi davanti ad un film con scelte precise del regista (l’esordiente Carlo Sironi) e cioè una cifra stilistica importante che però non sovrasti la narrazione e il contenuto, lo si capisce subito osservando che la scelta del formato è caduta sul 4:3. Non un vezzo ma un invito a centrare l’attenzione su ciò che passa sullo schermo, sui personaggi, sulla trama. Immagini ferme di una macchina da presa fissa, inquadrature che esaltano l’espressione, la chiarezza di quello che i personaggi vogliono dirci anche con i silenzi. Tanto che i dialoghi sono essenziali come il film, non ridotti al minimo ma al sostanziale, in modo che non ci siano dubbi su ciò che stanno esprimendo.

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Ermanno è un giovanotto che campa di espedienti, di piccoli furti, di motorini, in compagnia soprattutto di un amico: silenzioso, linguaggio in vernacolo romanesco, forse depresso, occhi chiarissimi che guardano senza commenti, che sembrano covare mari di tristezza e dolore, senz’altro dipendente dal gioco d’azzardo delle slot machines. Dallo zio Fabio, che con la moglie non riesce ad avere figli, riceve, dietro la promessa di una ricompensa di 4.000 euro, l’incarico di fingersi il padre del bimbo che è nel ventre di una giovanissima polacca, bimbo che poi verrà dato in affidamento appunto alla coppia. Una maternità surrogata, in pratica.

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Lei è Lena, ragazza incinta che dalla Polonia arriva in Italia per vendere il suo bambino, avendo il sogno di andare a vivere in Germania dove è attesa, progetto che le verrà più facile con la somma di 10.000 euro pattuita con lo zio di Ermanno. Il padre biologico non si sa chi sia e non importa. Ciò che interessa è che lei deve stare bene e partorire una bambina sana che sarà consegnata alla coppia sterile. Proprio per questo, l’attesa e la permanenza nell’appartamento affittato sul litorale romano diventa una sorta di prigionia, dove il compito di carceriere è affidato al giovane che dovrà sorvegliare il buon andamento del programma, che prevede che Lena sparisca dalla scena e lui, ammettendo ai servizi sociali di non essere in grado di badare da solo alla figlia, la dia in affidamento parentale allo zio. Intanto deve badare a Lena, che deve rimanere sempre in casa, la porta alle visite del ginecologo, provvede alla spesa per il cibo. Quando lui esce la chiude a chiave nell’appartamento e si reca a giocare alle slot nel bar che frequenta.

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L’imprevisto succede alla nascita della bimba, che viene prematura e ha bisogno assoluto del latte materno, problema che ritarda il rilascio pattuito: lui si intenerisce, anche perché la ragazza non si cura troppo della neonata, la trascura provocando in Ermanno un senso di responsabilità che non conosceva, che non avrebbe mai immaginato di possedere. Forse si pente addirittura di aver promesso allo zio di rispettare gli accordi, si accorge che è bello prendersi cura di quel batuffolo di carne che piange quando ha fame o è il momento di cambiare il pannolino. Non solo: si accorge anche che quella taciturna e scontrosa ragazza polacca lo attira e non gli dispiacerebbe di prendersi cura anche di lei. Succede che inaspettatamente si senta “padre” e forse anche compagno. Si muove per realizzare il sogno che lo impadronisce ma non fa in tempo perché la zia non vede l’ora di sentirsi la mamma che non è riuscita ad essere. La bimba, che hanno chiamato Sole, andrà via ma i due giovani cominciano a guardarsi in viso come non era mai successo.

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Carlo Sironi, con un esordio folgorante, stila un’opera delicata e rigorosa, persino senza commento musicale, che in primo momento dà l’idea di una storia di sbandati e che invece prende la forma di un legame imprevisto, quella del bisogno di prendersi cura di un’altra persona, fino al punto che Ermanno cerca lavoro proprio nell’officina dello sfasciacarrozze dove portava la refurtiva. Da ragazzo che campava alla giornata, con le risorse ricavate dalla piccola criminalità, egli si trasforma in un ometto responsabile che mette su famiglia, anche se senza grandi prospettive. Nulla di più, nulla di meno. Per entrambi - mentre Sole ha una sua famiglia - è una via d’uscita dalla miseria quotidiana. Il film del sorprendente Carlo Sironi si concentra sugli anni dell'adolescenza e della gioventù vissuti in un contesto di emarginazione, solitudine e cinismo. Il regista descrive accuratamente la sensazione di claustrofobia, il senso di disorientamento e il disagio dovuto alla mancanza di radici e comunicazione interculturale. In una società spesso incapace di offrire un modello di connessioni umane, questo film mostra l'importanza dei piccoli gesti quotidiani, di quanto spontaneamente ci si affezioni, si prenda cura e si possa trovare un modo per riscattarsi considerando il futuro come alternativa a una vita priva di valori e sostanza, una possibilità di intravedere nuove opportunità.

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Notevoli i due protagonisti. Claudio Segaluscio, che è Ermanno, è l’attore ideale tanto da far affermare al regista che è proprio identico a come lo immaginava in sede di scrittura; Sandra Drzymalska è Lena, un’attrice polacca con una buona esperienza in patria soprattutto nel campo delle serie TV, una ragazza che esprime, nonostante il ruolo affidatole, molta tenerezza nell’aspetto, tanto da trasmettere una grande dolcezza appena si concede all’interlocutore. Il merito è del regista che ne esalta le qualità semplicemente inquadrandoli nella giusta maniera. Da segnalare inoltre la presenza della brava Barbara Ronchi (la madre affidataria) e del povero Vitaliano Trevisan, che conoscevamo come scrittore, drammaturgo, regista teatrale, librettista, sceneggiatore, saggista e attore (tra gli altri, Primo amore di Matteo Garrone), morto suicida nel 2022.


Riconoscimenti

Candidatura per miglior regista esordiente



 
 
 

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