Sono la tua donna (2020)
- michemar

- 16 gen 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Sono la tua donna
(I'm Your Woman) USA 2020 gangster 2h
Regia: Julia Hart
Sceneggiatura: Julia Hart, Jordan Horowitz
Fotografia: Jordan Horowitz
Montaggio: Shayar Bhansali, Tracey Wadmore-Smith
Musiche: ASKA
Scenografia: Gae S. Buckley
Costumi: Natalie O'Brien
Rachel Brosnahan: Jean
Arinzé Kene: Cal
Marsha Stephanie Blake: Teri
Bill Heck: Eddie
Frankie Faison: Art
Marceline Hugot: Evelyn
TRAMA: Negli anni Settanta, una donna è costretta alla fuga dopo che il marito tradisce il suo socio. Con un neonato al seguito, affronterà il viaggio più pericoloso della sua esistenza.
Voto 7

Un tuffo negli anni ’70 con la macchina da presa, punto di vista e di creazione della regista Julia Hart, intenzionata al controcampo. Se tradizionalmente il protagonista del noir classico è il gangster, l’autrice statunitense, ribaltando non solo il genere (protagonista è una donna) ma anche lo sguardo, pone al centro della vicenda come eroina assoluta la moglie del criminale. E che la debba seguire e renderla protagonista quasi solitaria lo si intuisce quando il marito, ricevendo i compari per prendere accordi, le chiude sorridendo le porte scorrevoli, lasciandola sola nella stanza. Come tutte le volte che si assenta per i suoi affari delittuosi. E siccome non hanno figli, avendo avuto lei sempre sofferti problemi di gravidanza, le “regala” un neonato. Jean ha sempre pensato che suo marito Eddie fosse solo un boss malavitoso incapace di uccidere ma scoprirà in ritardo che invece è anche un killer e il regolamento di conti con il suo sodale la farà trovare all’improvviso sola e in fuga con il malloppo che era nascosto in casa.

A questo punto comincia veramente il film, una peregrinazione infinita e piena di pericoli, insidie e spostamenti per sfuggire alle vendette dell’ex alleato del marito. Jean aveva vissuto sino a quel momento ben protetta e coccolata, in una bella casa purtroppo senza i figli desiderati: ora è sola e con un bimbo sconosciuto che piange sempre e che non sa trattare per evidente inesperienza. Eddie le ha mandato Cal, un uomo fidato che la aiuta a mettere assieme lo stretto necessario e scappare in un rifugio apparentemente sicuro, almeno per il primo momento, ma sempre con l’orecchio teso per poter fuggire verso altri nascondigli. Ogni posto, anche se sembra ideale e protetto, può rivelarsi all’improvviso rischioso e necessiterà essere sempre pronti a ripartire.

Immaginiamo una donna fragile e per nulla avvezza alle armi, a vivere alla giornata, terrorizzata all’idea di trovarsi alla porta un criminale deciso a recuperare i soldi e ad eliminarla: Jean è esattamente in queste condizioni e non ha più l’uomo che la amava e che la proteggeva. Fino ad un attimo prima godeva di una vita quieta pur consapevole delle attività illegali del marito, ora è allo sbando e senza sicurezze del domani. E come ci si poteva aspettare, gli inseguitori la cercano senza sosta, possono essere in ogni posto e, mentre la vita è diventata un inferno, solo la presenza di quel bimbo che lei ha chiamato Harry le illumina l’esistenza: gli si affeziona, cerca di accudirlo alla meglio in quelle condizioni, si sente una mamma, pur se impreparata. Per fortuna il suo angelo custode, il robusto Cal, sembra sapere in ogni occasione come comportarsi ed è pieno di raccomandazioni e consigli, oltre a saper gestire e capire le esigenze del piccolo Harry.

Viene spontaneo ripensare alla indimenticabile Julia di quel maestro chiamato John Cassavetes: stessa grinta disperata espressa da una donna impreparata, trovatasi in una situazione imprevedibile e senza il minimo di preparazione mentale e fisica per poter resistere allo stress e ad un comportamento fuori dagli schemi abituali. Come quella donna angosciata che deve proteggere un bambino, testimone di un crimine, Jean è una preda inseguita da efferati uomini che non vedono l’ora di eliminarla e ha in braccio un neonato. E trova in sé, aiutata dall’insperato soccorso di Teri, la moglie di Cal, la forza e la volontà per reagire fino alla resa dei conti finale. Infatti, Julia Hart, scrivendo la sceneggiatura con il marito Jordan Horowitz, crea una coppia al femminile che la necessità contingente si piazza prepotentemente al centro della storia proprio nel cuore della trama, eroine che si atteggeranno forzatamente alla pari dei soliti uomini protagonisti delle tipiche storie del genere. Una bianca e una nera, una bionda e una scura, una incapace di impugnare una pistola e una che gliela fornisce. Eppure se la intendono come se si conoscessero da tempo. Il finale è avvincente, quando Jean si muove avendo capito perfettamente come e cosa fare, tanto al massimo tutto è perduto, cosciente che molto, se non tutto, dipende da ciò che riuscirà a realizzare, per salvare la vita sua, della sua alleata Teri, del suo protettore pro-tempore Cal e quella del bimbo che la guarda sorridendo considerandola la vera mamma. Per questo esserino oramai è disposta a tutto.

Perché nasce questo tipo di film e perché proprio al femminile? Ce lo spiega direttamente la regista: “Da sempre amo i polizieschi degli anni Settanta. Ma non perché mi interessino gli antieroi portati in scena da attori come Al Pacino, Robert De Niro o James Caan. La mia attenzione va tutta verso i personaggi di contorno: le donne. Nessuno dei protagonisti, chiaramente, mi rappresenta: sono uomini e spesso bianchi, niente di più lontano da me. Hanno però al fianco formidabili attrici in piccolissimi ruoli (Diane Keaton, Tuesday Weld, Teresa Wright, Ali MacGraw e così via) che, una volta cominciata la storia, spariscono quasi nel nulla o vengono tenute lontane dagli affari del marito. Mi sono sempre chiesta cosa potrebbero invece fare se non rimanessero nell'ombra e fossero costretto ad agire in prima persona. I'm Your Woman è un mezzo per ribaltare quel cliché narrativo. Inizialmente passiva, Jean è chiamata a tirare fuori il coraggio e la forza necessari a sopravvivere quando capisce che sia lei sia il figlioletto sono in grave pericolo a causa delle azioni del marito. In un contesto per lei inedito, deve imparare ad avere la meglio e a non perire dietro i colpi di chi vorrebbe vendicarsi di Eddie. Per la prima volta in un dramma poliziesco con sfondo gli anni Settanta è possibile analizzare ciò che pensa la donna del boss e capire cosa è in gioco per lei. I'm Your Woman deve il suo titolo a una scena di Strade violente, film di Michael Mann del 1981. In una sequenza, Tuesday Weld dice a James Caan: Io sono la tua donna e tu sei il mio uomo. La frase mi ha particolarmente colpita: solitamente sono gli uomini a pronunciare determinate parole e a sottolineare come le donne siano qualcosa che appartenga a loro. In quelle poche parole, si evince come una donna stia rivendicando il suo diritto a far valere la propria volontà e la propria femminilità.”

Julia Hart aveva bene in mente cosa doveva girare e lo ha pienamente applicato, ricreando un’ambientazione perfettamente anni ’70. Anzi sembra proprio un film - eccettuato per le differenze dei colori caratteristici della fotografia dell’epoca – di quel decennio. Ottima la sceneggiatura che parte volutamente piano (dando la falsa impressione che ci si annoierà) per creare invece una tensione in leggera ma continua crescita. Rachel Brosnahan, che viene dal successo tuttora vivo per la serie La fantastica signora Maisel, sceglie una interpretazione prima misurata per esprimere meglio lo sgomento e lo smarrimento iniziali, poi consapevole e reattiva pur se sempre contenuta, cercando comunque di recitare con sguardi espressivi, senza mai orpelli eccessivi. Da alcuni giudicata addirittura inespressiva, io l’ho trovata invece molto personale e positiva, sicuramente molto interessante. Notevoli inoltre le presenze della coppia black che la soccorre: Marsha Stephanie Blake e Arinzé Kene sono due attori che hanno molto da dimostrare e li aspetto in futuro.
Film riuscito e da apprezzare per l’originalità del soggetto.






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