Spirit World - La festa delle lanterne (2024)
- michemar
- 21 ore fa
- Tempo di lettura: 6 min

Spirit World - La festa delle lanterne
Titolo originale | Spirit World (Yōkai, le monde des esprits) |
Produzione | Francia, Singapore, Giappone 2024 |
Genere | dramma |
Lingua | francese, giapponese |
Durata | 1h34’ |
Regia: Eric Khoo
Sceneggiatura: Edward Khoo
Fotografia: Adrian Tan
Montaggio: Matthieu Laclau
Musiche: Jeanne Cherhal, Christopher Khoo, Kevin Mathews, Christine Sham
Scenografia: Frank Okay
Costumi: Pascaline Chavanne
Catherine Deneuve: Claire Emery
Masaaki Sakai: Yuzo Nobusawa
Yutaka Takenouchi: Hayato Nobusawa
Jun Fubuki: Meiko
Keiichi Suzuki: Yoshio
Maiya Goshima: Miki
TRAMA: La famosa cantante francese Claire Emery vola a Tokyo per tenere il suo ultimo concerto sold out di fronte a una platea adorante. La sua vita, tuttavia, si interrompe bruscamente e in maniera improvvisa. Inaspettatamente, intraprenderà una nuova esistenza nel mondo invisibile degli spiriti, dove verrà accolta e guidata da Yuzo, uno dei suoi più grandi ammiratori.
VOTO 6,5

Basato sulla sceneggiatura originale scritta dal figlio Edward, il regista Eric Khoo imbastisce una bella e malinconica storia in pieno stile orientale, un viaggio intenso che acquista importanza e universalità via via che si sviluppa e che promette di portare gli spettatori letteralmente all’altro mondo, dolcemente.
Claire Emery (Catherine Deneuve) è una cantante di fama internazionale che il tempo e un grande dolore personale hanno ormai fiaccata e lei stessa non si sente più quella di una volta. D’altronde non è più giovane, anzi diciamo pure che l’età è avanzata e lo dimostra il fatto che si esibisce nel teatro stracolmo e adorante seduta comodamente mentre è accompagnata dal pianoforte. L’occasione per scuotersi dal rischio della depressione è data appunto dall’ingaggio per qual grande ritorno organizzato in un concerto da tutto esaurito a Kyoto, in Giappone. Abbiamo modo di capire la sua stanchezza e la tristezza che la invade nella breve ma esaustiva sequenza nella monovolume che gli organizzatori le hanno preparato dall’aeroporto all’hotel, assieme alla gentilissima guida (può essere altrimenti in quel bel Paese così accogliente?).
Dopo lo spettacolo, però, mentre si sta rilassando da sola nel bar vicino all’albergo, bevendo troppo sakè, la leggendaria artista ha un malore e muore sul bancone. Inaspettatamente, si scopre simile ad uno spirito che osserva il suo corpo, come in un mondo parallelo, con la possibilità di una nuova vita inaspettata nel mondo dell’aldilà, dove trova immediatamente uno dei più appassionati fans che lì risiede e che abbiamo conosciuto all’inizio del film. Questi è Yuzo (Masaaki Sakai), un vecchio musicista che vive solitario da quando la moglie Meiko (Jun Fubuki) lo ha lasciato ed il figlio Hayato (Yutaka Takenouchi) vive per conto suo in una profonda depressione per crisi creativa affogata nell’alcol, che l’ha allontanato sia dal padre che dalla sua fortunata professione di autore di film di animazione di grande successo. Anche l’anziano ha un malore proprio mentre ascolta, al suo bell’impianto hi-fi, il vinile di maggiore notorietà di Claire ed anche lui passa a miglior vita.
Inevitabile che la cantante ed il vecchio, nello spirito che vediamo materializzato, si trovino assieme assistendo da vicino alla crisi del giovanotto, che, dopo la morte del padre, si era recato subito al concerto tanto atteso dal genitore e in quella occasione aveva chiesto anche l’autografo su un suo disegno fatto da bambino che rappresentava padre e madre. I due morti si accorgono che possono interloquire tra loro, scambiandosi pareri in merito a Hayato e a come possano aiutarlo, specialmente quando quest’ultimo, dopo aver fatto visita alla madre rintracciata per renderle una tavola da windsurf – ultimo desiderio del papà -, in crisi assoluta decide di lasciarsi affogare nel mare vicino alla casa della mamma. Inebetiti sono Claire e Yuzo, ma sveglio un giovanotto che si accingeva ad entrare in acqua.
Veniamo così a conoscenza dell’Obon, la festa giapponese delle lanterne (ecco giustificato il sottotitolo italiano del film): un breve lasso di tempo, durante l’estate, durante il quale si ricordano i propri defunti e vivi e morti hanno la possibilità di incontrarsi spiritualmente, dando luogo ad una celebrazione che non è triste ma gioiosa, su cui Eric Khoo elabora il malinconico incontro non solo tra la cantante ed il vecchio musicista, pur se da morti, ma anche tra questi due ed il contatto e la protezione che stabiliscono con Hayato, spinto ora, dopo la bella giornata trascorsa con la madre e la sua nuova famiglia, a ritrovare l’ispirazione che gli mancava.
Alcolismo come mezzo per dimenticare le proprie difficoltà (creativa, stanchezza artistica, solitudine) e affetti mai completamente messi da parte, esigenze di mercato che fanno passare di moda passioni che si pensavano eterne e tradizioni secolari che nonostante tutto tengono alta la memoria e il passato. Son queste le basi per ricavare le emozioni che il regista ricama per il pubblico che, non conoscendolo, può restare sorpreso ed estasiato dalla dolcezza del modo di raccontare, della tranquillità tutta orientale per affrontare il tema della morte non tanto come trauma per chi resta quanto per la tranquillità con cui si viaggia verso e nell’oltretomba e vi si trova pace non solo fisica. Perché, se si osservano i due protagonisti mentre si muovono non visti tra i vivi, specialmente vicino ai cari prossimi, si ricava presto l’impressione che sono più tristi per averli lasciati soli che per la fine della loro vita. La cosa peggiore, infatti, e che mi è venuta in mente perché lo penso da sempre, è che il lato peggiore della morte è di non poter più aiutare i congiunti come si è fatto per una vita intera.
Come fare a proteggerli? Magari, chissà, come fanno, anche se impotenti, Claire e Yuzo: vicino a Hayato come angeli custodi che lo riconducono sulla retta via a metà della selva chiamata vita, fino a quando è capace, ritrovando il sorriso e vuotando tutte le bottiglie di alcol nel lavandino, di riprendere in mano il bloc-notes per tornare a disegnare per il progetto che comincia a crearsi nella mente. Un’altra digressione di natura personale: è sempre stato il mio sogno quello che in nostri cari non più viventi si aggirino come spiriti intorno a noi, quasi per confortarci e consigliarci. Perché loro sono ormai saggi da ascoltare. Questi due personalissimi pensieri li ho trovati in questo delicato film, dal ritmo compassato, nel mondo che non va di fretta, composto da persone immateriali che hanno modo di influenzarci e osservare se tutto va per il verso giusto.

Amico/ nelle battute d’arresto della vita / la cui spalla è il mio rifugio / il mio dolce punto di riferimento. / Quando mi perdo, amico mio / la mia piccola fiamma nella notte / la mia bussola quando mi sento frastornato / sei il mio punto di riferimento. / Dalla tua anima alla mia / il percorso è così breve / mi indovini sempre. / Oh, amico mio / sei il mio maglione preferito / la mia bottiglia di alcol di riso / il mio fuoco di legna / quando fa freddo. / Amico mio / il mio raggio di luna a mezzogiorno / e il sole a mezzanotte. / Resta con me / Resta con me.
Bastano queste meravigliose parole dell’ultimo brano che ascoltiamo dalla voce (incerta) di Catherine Deneuve ed abbiamo tutto il senso del film e della vicinanza tra due anime sensibili e vicine.

Nel film dei due Khoo, vivi e morti condividono le pene della vita passata, ma la speranza persiste oltre la morte. I nostri cari continuano a preoccuparsi e sostenerci fino al raggiungimento di un equilibrio in vita, anziché una felicità celeste che alcune religioni, come la nostra, immagina. È il loro modo di pensare e di essere religiosi. Però, e qui sta la bellezza del film, la malinconia e il garbo che ammantano la vicenda diventano una consolazione per le nostre faticose quotidianità oltre che, grazie anche alla fotografia di Adrian Tan, la cornice ideale per le interpretazioni – perfettamente calibrate e orchestrate – degli attori in scena e per l’affettuosa interazione dei loro personaggi. Però attenzione: chi non è predisposto al lento andamento imposto dal buon Eric Khoo è pregato di astenersi. Ricordate il ritmo calmo di Departures? Come quello delle lanterne illuminate che solcano l’acqua la notte dell’Obon.
Regia delicata come il film, attori fantastici, cast tecnico all’altezza della situazione.
Komentar