Tallulah (2016)
- michemar

- 30 set 2020
- Tempo di lettura: 5 min

Tallulah
USA 2016 dramma 1h51’
Regia: Sian Heder
Sceneggiatura: Sian Heder
Fotografia: Paula Huidobro
Montaggio: Darrin Navarro
Musiche: Michael Brook
Scenografia: Sara K. White
Costumi: Brenda Abbandandolo
Ellen Page: Tallulah
Allison Janney: Margo Mooney
Tammy Blanchard: Carolyn Ford
Evan Jonigkeit: Nico Mooney
David Zayas: det. Richards
John Benjamin Hickey: Stephen Mooney
Zachary Quinto: Andreas
Uzo Aduba: det. Louisa Kinnie
Fredric Lehne: Russell Ford
TRAMA: Nel tentativo disperato di liberarsi della sua bambina, una insoddisfatta casalinga di Beverly Hills assume una giovane sconosciuta come baby-sitter. La decisione finirà per collegare e trasformare la vita di tutte e tre.
Voto 7

È proprio stato un pallino, per la bravissima regista e sceneggiatrice Sian Heder, l’argomento della maternità, evidentemente nel senso più lato, che va da quella effettiva, fino a quella desiderata, non considerata ma poi manifestata, magari scoperta inaspettatamente per caso fortuito. Insomma una gamma completa che la sua vena di scrittrice ha stimolato e maturato in anni di lavoro, tanto che dieci anni prima di questo film lei aveva firmato un breve cortometraggio di appena 15’ chiamato Mother, semplicemente e significativamente. Negli anni successivi quindi il concetto e l’argomento si sono sviluppati ampliandosi in una vera e corposa storia, che si svolge nel giro di pochi giorni, una manciata di giornate che segnano la vita a diverse persone e in particolare a tre donne, non tutte mamme, come vedremo. Dall’esordio assoluto nel corto a quello nel lungo, ma ci son voluti appunto dieci anni per arrivarci, con successive esperienze nelle serie TV che vanno tanto di moda, tra cui un episodio di una di quelle fortunate e parecchio apprezzate, Orange Is the New Black.

Cosa sia il senso della maternità, cosa possa provare una mamma qualsiasi, che desideri veramente un figlio, o che lo diventi per errore, o ancora per leggerezza, non devo e non posso dirlo io che sono un uomo e mai sarei in grado di capirlo. Certamente però mi posso sforzare di intuirlo e spesso basterebbe osservare una mamma (di qualsiasi età) per poter avere una quale impressione. Una giovane madre che accudisce con amore e sensibilità il neonato, una più matura che è in ansia per i figli che vanno e vengono indipendenti dalle mura della casa, un’anziana donna che vede la prole invecchiare dopo di lei che a sua volta diventa genitore. Chi con ansia, chi con la consapevolezza di insegnare la vita, chi trascurandoli per egoismo o perché distratta dall’amore della propria professione. Anche qui la gamma è estesa. Per fare un film su una o più mamme non è facile, anzi è facilissimo sbagliare, esagerando o rimanendo troppo lontani dal fulcro del soggetto.

Sian Heder, invece, fa centro pieno, sviluppando una trama in sé abbastanza semplice ma intessendola di molti elementi psicologici e sociali, oltre che affettivi. Lo scenario lo riempiono appieno tre donne. La prima a comparire è proprio la protagonista del titolo, Tallulah, nome che proviene dal locale della mamma andato fallito: è una giovane senzatetto, termine che rifiuta categoricamente in quanto, a sentir lei, una casa ce l’ha ed è lo scassato furgone con cui si sposta e in cui mangia (quel poco che riesce a racimolare) e in cui dorme. Ultimamente con un ragazzo in cerca di indipendenza, Nico, figlio di una coppia separata per via del fatto che il padre si è riscoperto omosessuale e ha preferito abbandonare il comodo appartamento di un rispettabile condominio vicino a Central Park per andare a vivere con il suo amato e giovane compagno. In quella bella casa abita ormai sola la seconda donna, Margo, scrittrice depressa e in rotta con tutte le vecchie amicizie dopo la débâcle del suo matrimonio. Quindi una mamma di un giovanotto di cui però non ha notizie da due anni, fatto che l’ha debilitata psicologicamente ancor di più e l’ha resa maggiormente consapevole del vuoto che la circonda. La terza è un altro tipo di mamma, il peggiore. Carolyn vive in attesa del marito, partito per affari, in una camera di un lussuoso albergo, con la sua piccola bambina di circa 1 anno e mezzo. Svampita e spesso brilla, Carolyn si trova Tallulah in camera (in cerca di cibo e soldi) e la scambia per cameriera, lasciandola a guardia della figlioletta per andare a cena con un amante occasionale. Tre donne, tre tipi molto differenti: la prima non ha assolutamente voglia di procreare, la seconda s’è lasciata sfuggire il giovanotto di casa (oltre che l’uomo), la terza è una madre fallita che considera la figlia una palla al piede.

Le tre traiettorie si incrociano in modo drammatico allorquando la protagonista, che si riteneva insensibile ai rapporti affettivi verso le piccole creature, prova una nuova sensazione a lei completamente sconosciuta: l’affetto immediato e il legame istantaneo verso la bimba che deve custodire per una sera. Cogliendo l’occasione, Tallulah la porta via con sé e inizia una strana avventura pseudo-materna entrando nella vita e nella casa di Margo, a cui presenta la bimba come figlia nata dal rapporto con il di lei figlio Nico. Nel frattempo, la polizia ovviamente entra in azione per indagare sul rapimento avvenuto nell’hotel. Un cortocircuito, un intreccio di vite che sfugge di mano alla giovane Tallulah, che ormai tratta la bimba come sua figlia, comincia ad accudirla come una vera figlia, le si affeziona come una propria figlia. Perfino la scrittrice Margo, sempre acida e irritata, credendosi erroneamente nonna, cambia l’iniziale atteggiamento perplesso e diffidente verso la ragazza e riscopre le attenzioni di madre riversando anch’essa amore per la biondina che le ha cambiato la vita domestica. Ma la giustizia deve fare il suo corso e il reato di Tallulah è certamente grave. Come finirà? Come si possono sistemate gli affetti sbagliati e insani? Come proveranno le tre donne a trovare la giusta soluzione non solo delle loro vite ma soprattutto quella della piccola, che non piange solo se è in braccio alla vera madre e alla mamma acquisita?

La nostra protagonista scopre così il senso materno, l’importanza di una casa, il conforto di una famiglia, il vero primo affetto della sua vita. In Margo invece si sgretola il cemento del suo cuore inaridito e prova dopo tanto tempo sentimenti affettivi verso qualcuno, verso quelle due anime perse piovute in casa. Carolyn è la più sbadata e colpevole, ma anche la più debole, rovinata dalla solitudine e da una evidente mancanza di educazione familiare che avrebbe dovuto ricevere al momento giusto. Una situazione assurda creata dal destino e da una serie di avvenimenti casuali, oltre che dalla tenerezza che un piccolo scricciolo biondo ha suscitato in quelle tre donne, mamme o potenziali tali.


Questo film era un progetto così affidabile che tra i vari produttori si elenca anche l’attrice protagonista Ellen Page (appunto Tallulah), qui bravissima e come sempre adatta a ruoli così spiazzanti e lontani dagli stereotipi, come accaduto in altre occasioni. Tammy Blanchard (Carolyn) ha il personaggio più insopportabile e se la cava egregiamente, nel suo fisico pieno e procace, che fa la donna sciocca che alla fine piange lacrime di coccodrillo. Lascio per ultimo il giudizio su Allison Janney (Margo) perché questa attrice è chiaramente una spanna al di sopra di tutti: la sua proverbiale adattabilità ai vari personaggi, come abbiamo potuto constatare in questi anni, la rende una interprete di alto livello e di affidabile efficacia, con una espressività di cui pochi dispongono. In ogni caso il trio di donne qui protagoniste risponde alla grande alle richieste della interessante regista Sian Heder, da cui mi attendo ulteriori conferme.
Un buonissimo film, un tipico prodotto indie che spesso indica qualità e bene ha fatto Netflix ad accaparrarselo prima del debutto al Sundance Film Festival, con occhio lungimirante.






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