Telefon (1977)
- michemar

- 25 gen 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 27 mag 2023

Telefon
USA 1977 spionaggio 1h42’
Regia: Don Siegel
Soggetto: Walter Wager (romanzo)
Sceneggiatura: Peter Hyams, Stirling Silliphant
Fotografia: Michael C. Butler
Montaggio: Douglas Stewart
Musiche: Lalo Schifrin
Scenografia: Ted Haworth
Costumi: Luster Bayless, Edna Taylor
Charles Bronson: Grigori Borzov
Lee Remick: Barbara
Donald Pleasence: Nikolai Dalchimsky
Tyne Daly: Putterman
Alan Badel: colonnello Malchenko
Patrick Magee: generale Strelsky
Sheree North: Marie Wills
Frank Marth: Sandburg
John Mitchum: Harry Bascom
Ed Bakey: Carl Hassler
Jacqueline Scott: signora Hassler
Hank Brandt: William Enders
TRAMA: In gergo si chiamano sleepers. Sono agenti russi mandati in Usa con lo scopo di mischiarsi alla popolazione e condizionati in maniera da non ricordare neppure di essere delle spie. Vivono in una cinquantina di città americane; sono in preda a un sonno mentale, ma pronti a risvegliarsi non appena sentiranno una sorta di parola d'ordine. E al loro risveglio sono stati predisposti a puntare alla distruzione di importanti obiettivi strategici e quindi a suicidarsi.
Voto 7,5

Guerra fredda, calda, sul campo, spionistica, sorrisi e strette di mano ipocrite: USA e quella che una volta era URSS e oggi Federazione Russa si sono sempre guardate in cagnesco minacciando l’uso di armi potenti, e ne hanno così tante che non servono a nulla perché ne bastano meno per distruggere totalmente il pianeta. Sono andate alleate solo per battere il comune nemico rappresentato dal nazismo, per il resto della Storia sono sempre in all’erta. La letteratura se ne è sempre occupata, con migliaia di romanzi gialli o di spionaggio, principalmente con i più celebri agenti segreti dell’occidente (il mio amato OS117 Hubert Bonisseur de La Bath, francese, o con il celebratissimo e amatissimo 007 James Bond inglese). Il noto scrittore Walter Wager, autore di diversi libri che son diventati anche soggetti da grande schermo, scrisse un racconto che diventa inquietante molto presto, sin dalle prime sequenze, e che si occupa di un argomento che eccita sempre la curiosità e la passione di lettori o spettatori: il lavaggio del cervello e degli agenti infiltrati ma dormienti, chiamati sleepers.

Durante gli anni 50 i russi inviano in America una serie di agenti segreti dormienti. Li posizionano in una cinquantina di città statunitensi, infiltrandoli tra la popolazione, in uno stato di sonno mentale. Questa condizione termina appena ascoltano una parola d’ordine al telefono che li trasforma in terroristi suicidi. A dominarli mentalmente è all’improvviso una scheggia impazzita del KGB sovietico che provoca una serie di atti terroristici sul territorio americano. Con un terreno fertile come questo, un regista come Don Siegel trova di che coltivare, trova una miniera d’oro e vi instaura il clima di tensione e azione che lui ha saputo maneggiare con grande abilità per diversi anni, in differenti generi. A coadiuvarlo un paio di sceneggiatori capaci, tra cui quel Peter Hyams che diventerà un buonissimo regista di film d’azione e di fantascienza (come trascurare il bellissimo Capricorn One?). Aveva ovviamente bisogno del giusto attore nei panni del protagonista, il maggiore Grigori Borzov, e lo trova in un attore coriaceo che al momento sta avendo molto successo: Charles Bronson.

Quel tema centrale, che all’epoca sconvolse l’estate americana diventando, in maniera inaspettata, uno dei blockbuster della stagione, vede appunto questo attore, quello che si poteva definire una stella di media grandezza (una mid-star, come dicono) del firmamento hollywoodiano specializzato in ruoli d’azione, con già una manciata di ottimi titoli alle spalle, da I magnifici sette a C’era una volta il West e Quella sporca dozzina. Di origine lituana, ma con padre di etnia tatara (una tribù mongola), Bronson, nato Buchinsky nel 1921 e scomparso a Los Angeles nel 2003, aveva azzeccato un paio di anni prima un personaggio destinato a essere il prototipo dei duri da schermo a venire, quello del killer di Professione assassino (1972). In ogni apparizione, su qualsiasi set, sembra una macchina pronta a scattare, parla pochissimo, agisce con cautela e attenzione, ma in maniera implacabile e soprattutto ha una presenza scenica estremamente fisica, assai più accentuata rispetto ai tanti altri come lui.

Dopo tanto abbaiarsi, in quel periodo le due potenze stanno raggiungendo uno stadio di compromesso e la distensione si sta realizzando, ma la scheggia impazzita non si ferma. Infatti, all'interno del KGB, artefice a suo tempo dell'iniziativa spionistica, non tutti sono d'accordo con la politica in corso e, per sabotarne lo sviluppo, uno di loro, il fanatico colonnello Nikolai Dalchimsky, impossessatosi dell'ultimo elenco rimasto, si trasferisce negli USA e inizia a impartire gli ordini di sabotaggio agli agenti dormienti chiamandoli uno per uno al telefono e leggendo loro i previsti versi seguiti dal nome russo dell'agente in questione. I tre versi che egli recita al telefono suonano così, tratti dal poeta americano Robert Frost: “I boschi sono belli, scuri e profondi / Ma io ho tante promesse da mantenere / E tante miglia da fare prima di poter dormire”. Sono parole che agiscono come una molla sulla mente di chi ascolta, li risveglia dal torpore psicologico in cui giacciono e diventano l’input per l’azione distruttiva e suicida. Inizia così una serie di attentati incomprensibili, in quanto gli impianti presi di mira dai sabotatori sono ormai, quasi tutti, privi di valore strategico: aeroporti dismessi, depositi di carburante non più in uso, ecc. Tutto ciò crea perplessità notevoli nel controspionaggio statunitense, sia per l'inutilità degli atti, sia per il tipo di attentatore: personaggi di nessuna rilevanza criminale, anzi riconosciuti localmente come oneste e probe persone (tra di loro persino un prete), tutte ormai nella terza età. È il momento che Borzov, dotato di una memoria visiva di straordinaria efficacia, venga incaricato di trovare Dalchimsky ed eliminarlo il più presto possibile, prima cioè che i loro capi (o gli americani) capiscano ciò che sta succedendo e quindi ne sorga grave imbarazzo per il KGB, o, addirittura, questi atti possano dar luogo ad una guerra nucleare fra le due superpotenze. A lui viene affiancato un'agente operante negli USA: Barbara.

Spy story ad alta tensione, in crescendo, con un villain allucinato e tanti uomini grigi, pedine di ingranaggi ineluttabili che serve ancora una volta a dimostrare nel cinema il delirio degli ufficiali bellicisti, dei danni della presenza potenziale di ordigni di distruzione di massa e di come la psiche possa influire si decisioni di importanza primaria. La sceneggiatura e la regia sono implacabili e gli attori eccellenti: Charles Bronson è memorabile e dotato del giusto bagaglio per aumentare il tasso ansiogeno, mentre la bella e indimenticata Lee Remick, con il suo sguardo di occhi cerulei, aumenta l’atmosfera da incubo che si instaura. Donald Pleasance e Patrick Magee interpretano due personaggi inquietanti come il film, perfetti personaggi per un Don Siegel d’annata, in un film che è stato ingiustamente accantonato dalla memoria cinefila.
Bellissimo film da ripescare ed apprezzare.
E… attenti al telefono!






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