The Absent One - Battuta di caccia (2014)
- michemar

- 11 feb 2021
- Tempo di lettura: 5 min

The Absent One - Battuta di caccia
(Fasandræberne) Danimarca/Germania/Svezia 2014 thriller 1h59’
Regia: Mikkel Nørgaard
Soggetto: Jussi Adler-Olsen
Sceneggiatura: Nikolaj Arcel, Nikolaj Arcel
Fotografia: Eric Kress
Montaggio: Morten Egholm, Frederik Strunk
Musiche: Patrik Andrén, Uno Helmersson, Johan Söderqvist
Scenografia: Rasmus Thjellesen
Costumi: Stine Thaning
Nikolaj Lie Kaas: Carl Mørck
Fares Fares: Assad
Johanne Louise Schmidt: Rose
Pilou Asbæk: Ditlev Pram
David Dencik: Ulrich Dybbøl
Danica Curcic: Kirsten Marie Larsen (Kimmie)
Søren Pilmark: Marcus Jacobsen
Katrine Greis-Rosenthal: Tine
Marie-Lydie Nokouda: Nihla
Hans Henrik Clemensen: Bent Krum
Michael Brostrup: Bak
Philip Stilling: Lars Bjorn
TRAMA: L'ispettore della Omicidi, Carl Mørck, si convince a indagare su un caso del 1994 solo quando il padre delle vittime si suicida poco dopo averlo avvicinato, una notte, per consegnargli una scatola contenente materiale sul caso che ha accumulato nel tempo trascorso da allora. Attraverso le indagini la sezione Q arriverà a dubitare che il colpevole sia davvero il giovane accusato e gli indizi li porteranno su un suolo pericoloso: quello di un prestigioso collegio dal quale sono usciti pezzi grossi dell'attuale establishment danese.
Voto 7

Siamo quindi al secondo film tratti dalla serie dei fortunati romanzi gialli dello scrittore danese Jussi Adler-Olsen. Dopo Carl Mørck - 87 minuti per non morire del 2013 e prima di A Conspiracy of Faith - Il messaggio nella bottiglia del 2016 (leggi recensione) ed infine Paziente 64 - Il giallo dell'isola dimenticata (leggi recensione), ritroviamo i due detectives sempre all’opera su casi apparentemente irrisolvibili o perlomeno abbandonati da quando, anni prima, le indagini erano approdate nel nulla. Oppure, come in questo caso, che risulta ufficialmente risolto con la condanna di un giovanotto che però ha convinto poco tutto l’ambiente giudiziario e poliziesco. Sin dal primo momento sembrò solo una soluzione accomodante, come succede sempre quando con una sentenza definitiva viene accontentata l’opinione pubblica e la polizia può chiudere con soddisfazione burocratica un fascicolo da portare finalmente in archivio. Caso chiuso, bene o male, e avanti con un altro.

Ecco quindi Carl Mørck con il fidato Assad ancora all’opera, costantemente relegati nei sotterranei della stazione di polizia della squadra omicidi, la famigerata Sezione Q, assieme a Rose, la rossa ricciuta appena assunta quale loro segretaria: una ragazza tutto pepe che con grande buona volontà e molto intuito si dimostra capace di seguire piste difficili anche solo con una cornetta di telefono, chiamando le persone giuste, una dietro l’altra concatenate dalla sua logica. I due uomini lavorano in sincronia, lavorando da chissà quanti anni assieme, senza mai cambiare il loro modus operandi e la loro strana relazione di amicizia. Come al solito, il capo, CarlMørck, è mentalmente assorto con la mente altrove, volto corrucciato, tanta voglia di risolvere i complicati cold case che vengono loro affidati, con poche speranze a sentire gli altri. La perdita che ha avuto nella vita privata - in questo film non se ne parla affatto – gli ha causato un perenne adombramento, un rifiuto pressoché totale verso il prossimo costringendo il fraterno amico-collega Assad ad accudirlo come un bambino. Lo protegge, lo incita, lo corregge, lo esorta ad essere più cordiale, offrendogli tanta pazienza e comprendendo le cause del suo comportamento. Ad averne, amici così!

Il caso in questione è davvero insolito e incredibilmente complesso, condizionato dal fatto che le lontane vicende nascono diversi anni prima in un college di ragazzi viziati e viziosi, i cui più scatenati non conoscono né decenza né limite alla loro selvaggia fantasia, che mettono in atto scorribande notturne a solo scopo di becero divertimento: bevono, fumano e si esaltano in stupri e violenze gratuite, tutto per puro e semplice passatempo, uscendo nottetempo per raid mascherati. In una di queste incursioni, vedendosi riconosciuti, compiono l’irreparabile e uccidono un ragazzo e sua sorella, in presenza anche di Kimmie, una ragazza affascinata dal loro modo di agire e innamorata del capo della gang. Per ovvia convenienza e con feroce nonchalance, fecero accusare un giovane balordo che per dabbenaggine si fece condannare per gli omicidi. A distanza di tempo, lo scontroso Mørck incappa nella brutta esperienza di un collega in pensione, padre di quei due giovani uccisi, che inascoltato nel richiedere giustizia, si toglie tragicamente la vita. Scatta la molla giusta e così, finalmente, i nostri si decidono ad andare fino in fondo alla brutta storia, scavando nell’archivio della polizia e iniziando una indagine che pare proibitiva.

Le difficoltà nascono principalmente dal fatto che quei giovinastri oggi son diventati personaggi influenti della società danese, tra cui un avvocato tra i più importanti e costosi della regione. Gli altri due hanno attività redditizie e conducono una vita agiatissima e lussuosa, restando però intimamente sempre propensi all’uso della violenza e all’uso delle armi, pur di difendere le loro malefatte. Le indagini si riveleranno difficoltose anche per le amicizie altolocate che il trio gode e gli ostacoli arriveranno con minacce e aggressioni fisiche che metteranno più volte in pericolo la vita dei detectives. Tra l’altro, i tre fanno parte di un particolare club di cacciatori (ecco la ragione del titolo) che sadicamente acquista animali da paesi lontani del mondo per liberarli nel bosco nel momento della battuta di caccia. La soluzione, intuiscono i due, è nel ritrovare Kimmie, la testimone più importante, che però si è resa irreperibile negli anni e nessuno ha più notizie di lei e senza di lei non si può arrivare ad alcuna verità. Dopo tante peripezie la ritrovano: homeless, affamata, sporca, seminascosta da abiti anonimi, impaurita e con nessuna voglia di collaborare. È un animale selvatico, una preda in continua fuga, temendo sempre che chi la cerca voglia solo sopprimerla, fino a non fidarsi neanche della polizia. Vagamente, tra l’atteggiamento, la postura e l’abbigliamento, mi ha ricordato l’inimitabile Lisbeth Salander di Rooney Mara e chissà se questo regista la abbia proprio posto come modello. Come e più delle altre trame dei film di questo scrittore, la seconda metà è un crescendo di inseguimenti, tranelli, imboscate, colpi d’arma da fuoco e randellate. Il film era iniziato in sordina, tanto da farmi pensare che fosse il più debole della tetralogia ed invece il lungo finale alza talmente il livello che anche questo film si mantiene all’altezza dei precedenti.

Il particolare più curioso resta il fatto che mai come questa volta il gran protagonista Carl Mørck se la passa veramente male, picchiato più volte, con cicatrice in varie parti del corpo e un proiettile conficcato nella gamba: corre pericoli di vario tipo ma resiste caparbiamente, sempre coadiuvato dal simpatico e insostituibile Assad, che se in diverse occasioni non ci fosse, il suo amico Carl sarebbe già spacciato da tempo. Il primo è più riflessivo calmo disponibile, l’altro è un cane rabbioso che vuol risolvere tutto in poche mosse, ma sono una coppia completa, perfettamente sincronizzata sull’agire per giungere alla soluzione dei loro casi impossibili. Verrebbe da dire che la loro diversità, dovuta anche alla differente cultura e religione, colore della pelle (ma esiste davvero? o è un’invenzione dei nostri occhi?) e carattere, è forse giusto il motivo del loro successo. Successo che in verità questa tetralogia meriterebbe maggiormente, ma che resta sconosciuta ai più. Quattro film da vedere e godere, quattro thriller polizieschi di tutto rispetto. Nikolaj Lie Kaas e Fares Fares sono due attori in gamba e si sono costruiti due personaggi notevoli ben diretti da Mikkel Nørgaard, già autore del primo. L’unico neo, per chi guarda il film in italiano, è che il doppiaggio ha un sonoro che fa sembrare la pellicola un TV movie, il che, secondo me, è un fatto negativo.






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