The Assessment - La valutazione (2024)
- michemar

- 17 lug
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 20 lug

The Assessment – La valutazione
(The Assessment) UK, Germania, USA 2024 dramma sci-fi 1h54’
Regia: Fleur Fortuné
Sceneggiatura: Mrs. Thomas (Nell Garfath Cox), Mr. Thomas (Dave Thomas), John Donnelly
Fotografia: Magnus Nordenhof Jønck
Montaggio: Yorgos Lamprinos
Musiche: Emilie Levienaise-Farrouch
Scenografia: Jan Houllevigue
Costumi: Sarah Blenkinsop
Elizabeth Olsen: Mia
Alicia Vikander: Virginia
Himesh Patel: Aaryan
Minnie Driver: Evie
Indira Varma: Ambika
Nicholas Pinnock: Walter
Charlotte Ritchie: Serena
Leah Harvey: Holly
Anaya Thorley: Amelia
Benny O. Arthur: Ash
Malaya Stern Takeda: Catherine
TRAMA: In un mondo devastato dai cambiamenti climatici, la società ottimizza la vita, comprese le valutazioni sulla genitorialità. Una coppia viene esaminata da un valutatore per determinare la propria idoneità alla procreazione.
VOTO 7

Il punto di partenza è spiazzante e desolante: una casa isolata a pochi metri dalla costa del mare, una grande serra di fiori mai visti e di vegetali che servono all’alimentazione anche sperimentale, una coppia isolata come l’abitazione, un clima intorno che rivela non solo il cambiamento che è già avvenuto ma anche una società distopica in cui la tecnologia impera in modo totale. Non esistono interruttori o telecomandi (in realtà non si vede neanche un televisore o un monitor) ma i comandi sono dati a voce verso un ubbidiente sistema tecnologico avanzato da parte dei due abitanti: Mia (Elizabeth Olsen) e Aaryan (Himesh Patel). Lei si dedica alla coltivazione climatizzata delle piante, con cui prepara i pasti, lui “crea” esseri (animali, o perfino un neonato) sperimentando le deduzioni dei suoi studi da scienziato. Sono felici, in armonia, si amano, pur se lo sguardo dello spettatore percepisce l’atmosfera fredda e scientifica che li abita e che domina l’ambiente.
Hanno solo un desiderio: avere un figlio. Ma la legge non lo permette se non dopo l’approvazione da parte di un funzionario con un procedimento di valutazione (l’assessment del titolo) che prevede un esame psicoattitudinale della durata di sette giorni. Ed infatti, dopo la loro richiesta, bussa alla porta Virginia (Alicia Vikander), una donna sfuggente, glaciale, che pare robotizzata, dedita solo al compito che le è stato affidato, che inizia immediatamente con due colloqui separati con domande mirate ed anche intime. Dopo le quali si sistema in casa rifiutando la camera per gli ospiti (dice che cigolano le molle del materasso, che però non li ha), scegliendo la camera da letto con l’approvazione della coppia, subito predisposta ad accontentare i desideri dell’ospite purché possano superare l’esame e avere finalmente un figlio.
È curiosa la situazione creatasi, ma nulla in confronto al clima che si instaura da quel momento. Virginia, col pretesto di dover osservare ogni cosa, diventa invadente, provocatrice, si presenta persino in un momento di intimità notturna dei padroni di casa. Il clima si fa teso e non fa altro che peggiorare e l’atmosfera domestica diventa insopportabile. A reagire nervosamente è Mia, nonostante che il marito le faccia presente più volte che il comportamento della donna è appositamente provocatorio per annotare le reazioni. Ma la moglie è donna e non sopporta che l’intrusa si intrometta continuamente negli affari privati, per giunta comportandosi a volte, soprattutto durante i pasti, come una bambina capricciosa e disubbidiente. È una prova dura che scuote la resistenza psicologica e nervosa dei coniugi, specialmente con i salti di umore (ovviamente studiati e appositamente irritanti) di Virginia, sempre fredda e categorica, ma a tratti distruttrice della pace e degli oggetti casalinghi. Condotte e atteggiamenti che destabilizzano la coppia, provocando discussioni e litigi veri quando, con alcuni strattagemmi, Virginia sveglia la gelosia di Mia, facendosi trovare a letto con il marito, che cede immaginando che anche questo possa servire alla causa.
Si entra di conseguenza nello psico-thriller se pur all’interno di un immaginario tanto sfruttato – quello di una società totalitaria e quindi distopica, con forti limitazioni alla libertà – ma con un innalzamento della nevrosi dovuta al mix tra ambizione, sessualità, manipolazione sentimentale, toccando i nervi più sensibili del carattere dei padroni di casa. Sette giorni che paiono anni, con una tensione crescente e qualche atto da parte dell’estranea che lascia perplessi, non consoni alla sua funzione, tanto da far pensare a problemi personali mai risolti. Che lo Stato controlli tutto, come anche la natalità, ritenuta da governare con severità, facendo diventare la maternità una concessione pubblica con criteri stabiliti dall’alto, è accettata e subita in quella società, ma che all’interno delle mura domestiche si intrometta una persona, forse anche caratterialmente instabile, diventa troppo e i due padroni di casa stentano a non reagire. Se Mia ogni tanto si oppone nevroticamente (e vorrei ben dire!), Aaryan sopporta con pazienza, ma tra i due molto è rovinato, avendo subito una presenza che ha stropicciato il legame, ha fatto emergere attriti che non conoscevano o ignoravano, ha infiammato l’ego distinto dei due: non sono più gli stessi. Ecco perché intuiscono che prima finisca la settimana, prima può tornare l’armonia preesistente.
L’ultima azione di Virginia manda in frantumi l’unica certezza materiale di Mia, rimasta affranta e priva della sua amata e perfetta serra. Solo dopo l’addio e la sentenza tanto attesa, Mia ha uno scatto d’orgoglio e di carattere e scopre le carte segrete di Virginia e il suo trauma mai cicatrizzato, causa del comportamento psicotico con cui ha rovistato la vita quieta e monotona di una coppia che, in fondo, voleva solo avere un bambino. Perciò, tra i tre protagonisti di questo dramma domestico, quasi teatrale, il personaggio della valutatrice è all’inizio il più enigmatico. È manipolativa nel suo essere ed è prevedibile che nel passato abbia subito un evento che l’ha segnata: a maggior ragione il suo lavoro è falsato e quindi inaffidabile, con il problema, per giunta, che il suo parere è vincolante e perciò non modificabile. Una settimana, un campo di battaglia psicologico, una dinamica di potere esercitato tra fragilità emotive mai evidenziate eppure latenti.
Se la distopia vuol dire controllo, biopolitica, assurdità istituzionalizzate, qui ce n’è quanto se ne vuole e quando la sorveglianza riguarda anche il corpo delle donne, ecco che l’argomento centrale riguarda anche il nostro oggi e di conseguenza il diritto della donna a decidere di sé. A dimostrazione che una buona parte del cinema dalle trame distopiche parla della società contemporanea, non del futuro, ma dei diritti e dei doveri che ci riguardano ogni giorno, tramite allegorie e storie solo apparentemente lontane.
Il film sicuramente non è perfetto ma il lavoro che compie Fleur Fortuné è egregio ed elogiabile: esperta di corti e ancor più di video musicali, il suo sguardo stilizzato, freddo, meccanico, si rivela l’ideale per una storia come questa. Basandosi su una eccellente sceneggiatura, ha modo di sviluppare un ménage a trois scomodissimo e opprimente, un horror psicologico che fa stare scomodi sulla poltrona, trasferendo il gioco del kammerspiel teatrale su un piano meramente politico che riguarda tutti noi. Una visione sì levigata e sintetica, ma non nel contenuto. La Fortuné è brava al suo esordio e sarà da scoprire cosa sarà capace nel prossimo futuro.
Non è la prima volta che si riesce a godere di una performance più che positiva di Elizabeth Olsen, che aveva già dimostrato in La fuga di Marta e soprattutto in His Three Daughters di avere ottime doti di attrice drammatica, ma credo che in questa occasione si superi, dosando differenti stati d’animo ed emotivi a seconda dei momenti. Davvero brava. Himesh Patel sembra l’attore adatto per il ruolo di uomo che di primo acchito pare metodico e razionale e persino prevedibile che sottostà alla incresciosa situazione al fine di uscirne bene ma lentamente mostra le sue debolezze. La sorpresa è scoprire la più ferrea ma anche la più imprevedibile e variegata Alicia Vikander mai vista, perché non è mai la stessa: rigida, scatenata, sofferente psicologica sono i tre piani di recitazione ed oggi, anche più matura fisicamente, dà una risposta eccellente alle richieste della regista. Poi, per non molti minuti, si esibiscono altri personaggi, su cui troneggia Minnie Driver con un aplomb tipico insopportabile come fosse una suocera severa, durante una cena con vicini e colleghi che serve ad ulteriore stress test per la coppia. Gli esami non finivano mai, insomma, e quando arriva la fine salta il tappo e la conclusione spiazza ancora una volta.
Non sarà molto originale, dato che il sottogenere distopico riempie le piattaforme e le TV di film e serie, ma se un’opera è costruita bene e recitata all’altezza diventa un altro tassello interessante del panorama cinematografico. E Fleur Fortuné è stata capace di confezionarlo, con un’ambientazione scenica di buonissimo livello, tanto da vincere il premio come miglior scenografia ai British Independent Film Awards del 2024, i premi del cinema indipendente, settore che regala sempre belle cose. Come questa volta.






































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