The Banker (2020)
- michemar

- 5 mag 2023
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 11 mag 2023

The Banker
USA 2020 biografico 2h
Regia: George Nolfi
Sceneggiatura: Niceole R. Levy, George Nolfi, Stan Younger
Fotografia: Charlotte Bruus Christensen
Montaggio: Joel Viertel
Musiche: H. Scott Salinas
Scenografia: John Collins
Costumi: Aieisha Li
Anthony Mackie: Bernard Garrett
Samuel L. Jackson: Joe Morris
Nicholas Hoult: Matt Steiner
Nia Long: Eunice Garrett
Michael Harney: Melvin Belli
Colm Meaney: Patrick Barker
Paul Ben-Victor: Donald Silverthorne
Jessie Usher: Tony Jackson
Gregory Alan Williams: Britton Garrett
Scott Daniel Johnson: Robert Florance Jr.
TRAMA: La vera storia di Joe Morris e Bernard Garrett, due imprenditori afroamericani che negli anni Cinquanta assunsero il bianco Matt Steiner per fingere di essere il capo del loro impero economico. I due a loro volta finsero di essere il maggiordomo e l'autista di Steiner, che sfidò l'establishment bancario sovvertendo il business immobiliare finanziario.
Voto 6,5

Bernard Garrett e Joe Morris sono stati negli anni ’50 due persone di grande iniziativa imprenditoriale di colore dotate di molto talento negli affari, in particolar modo il primo, un giovanotto intelligente e intraprendente, capace con prestiti e risparmi di investire proficuamente i capitali ottenuti e ricavare notevoli profitti sino a costituire una società di investimenti ad alto rendimento, sino cioè a costruire un vero impero immobiliare e finanziario. Arrivarono talmente in alto da far svegliare l’attenzione degli enti federali che controllavano il regolare funzionamento dei mercati degli immobili e, in principal modo, del mondo bancario, la cui ispezione mandò all’aria i piani dei due protagonisti. Iniziando tutto da un piccolo capitale iniziale.

Bernard (Anthony Mackie) era un umile lustrascarpe del Texas, stato notoriamente poco tollerante verso gli afroamericani, a cui era vietato affittare case dei quartieri riservati ai bianchi e parimenti ottenere prestiti bancari per migliorare le loro attività commerciali. Il sogno del giovanotto, sposato con la bella Eunice (Nia Long), era liberarsi dalla schiavitù sociale in cui si trovava e siccome era dotato di un’intelligenza ben superiore alla media, oltre che essere incline ai calcoli matematici e soprattutto finanziari, annotava sul suo inseparabile quadernetto tutto ciò che ascoltava dalle voci dei bianchi quando parlavano di affari: prendeva nota e imparava l’arte del mercato e dei prezzi. La sua prima mossa fu, con un piccolo ma adeguato prestito, trasferirsi a Los Angeles, acquistare un condominio, migliorarlo con opportune ristrutturazioni e ricavarne dal canone degli inquilini bianchi (ovviamente scandalizzati) e ripagare le rate. Questo primo balzo nelle sue finanze gli permise di cominciare a sognare in grande, trovando sponda, nella ricerca di capitali, prima nell’alleanza con un medio finanziere di origine irlandese, Patrick Barker (Colm Meaney) che aveva intuito le grandi qualità intellettive di Bernard, poi – a causa della improvvisa morte dell’uomo – con la società che costituì con un imprenditore del luogo, Joe Morris (Samuel L. Jackson), nero come lui, inizialmente scettico ma dopo entusiasta sia delle idee del socio che della sua intraprendente vitalità che intravedeva nel campo degli investimenti immobiliari.

Sempre più dediti a maggiori imprese, riuscirono a trovare i capitali (incredibile ma vero, per due persone di colore) per acquistare un grande stabile, il Banker’s Building, sede della maggiore banca della città per poter in un secondo momento condizionare perfino il modus operandi dell’istituto di credito. È a questo punto che si rivela il vero doppio scopo sociale che si era prefissato Bernard, che era riuscito anche a convincere il socio Joe: dare la possibilità alla sua gente di andare ad abitare in affitto nelle case acquistate dai due nei quartieri dei bianchi, di deghettizzarli, insomma; ed inoltre concedere loro dei prestiti a scadenza ventennale a tassi agevolati (ma superiori a quelli praticati sui conti correnti) da investire nei loro negozi ed aumentare il volume degli affari. Il sogno americano doveva essere alla portata anche della gente nera, il sogno di tutti, con uguaglianza. E nel contempo i due soci avrebbero guadagnato sul differenziale tra i tassi, aumentando i profitti. Ma come apparire affidabili alla gente bianca, così ostile e discriminatoria? Semplice: ingaggiando come faccia pubblica un bel giovanotto, Matt Steiner (Nicholas Hoult), un inesperto operaio dal bell’aspetto pulito e presentabile, che - istruito a dovere nonostante la sua profonda ignoranza in fatto di algebra e calcoli finanziari, ma anche di comportamento con l’alta società della città (con tanto di lezioni di matematica, di galateo e di golf, un ennesimo investimento, in pratica) – doveva rappresentare la società in qualità di (falso) terzo socio e dirigere ufficialmente le operazioni, sedendosi anche alla scrivania del direttore della seconda banca che acquistarono, la texana Main Land Bank, dato che gli ispettori del credito e l’FBI si erano insospettiti per i tanti immobili acquistati da Garrett e Morris e dai prestiti concessi, a loro parere, con troppa facilità ai clienti neri della banca di Los Angeles.

In realtà, dietro questa operazione di controlli, c’era la manina del banchiere a cui avevano tolto la guida alla prima banca, il quale aveva mosso le pedine giuste e rivelato i retroscena ai federali, che si misero alle calcagna in maniera implacabile, arrestandoli e inquisendoli per presunti comportamenti scorretti e fuori dai canoni previsti dalla legge in fatto di sicurezza amministrativa dei prestiti. In realtà erano proprio le larghe maglie della legge che avevano permesso ai due di agire indisturbati. Ne seguirono prima un colloquio per far ammettere le loro “malefatte” ed ottenere un patteggiamento, poi, una volta rifiutato questo dal dignitoso e orgoglioso Bernard, il processo. Occasione, questo, che divenne il pulpito adatto per il dinamico personaggio che (colpo di scena) colse il momento per gridare all’America intera che quello che gli stava accadendo non era giusto, che era discriminante, che limitava la libertà degli afroamericani: “Perché è così importante per voi escludere un’intera razza dall’American Dream?”. In quel luogo, con tanta attenzione mediatica (pur limitata dai tempi), la vibrante protesta in aula fece scalpore ma gli costò una condanna al carcere, da cui ne uscì pimpante e grintoso come prima, come se nulla fosse successo e con l’ennesima soluzione a sorpresa, organizzata da lui stesso alla vigilia dell’arresto: Bernard e Joe non avrebbero più potuto operare negli USA? Avevano perso tutto? Ma invece, alle Bahamas…

Sicuramente vicenda poco conosciuta in America, ma in Italia completamente ignorata, la storia di Bernard Garrett e Joe Morris è esemplare per ovvi motivi, in primis perché è la rivincita di persone penalizzate, che fanno valere i loro diritti non solo in una nazione che è nata e si è sviluppata sfruttando una etnia, ma che hanno dovuto barcamenarsi in uno stato (vedi il Texas) dove i privilegi dei bianchi erano difficili da spiegare ad un bambino come il figlio di Garrett (“Perché ci sono due fontane separate?”), e perché l’ingegno di un nero non poteva affermarsi nella società di allora (oggi?) nonostante le innegabili doti, Ed infine perché il tanto declamato American Dream è una illusione per tanti a cui non viene mai permesso neanche di provarci. Come spesso succede nei biopic, durante i titoli di coda sfilano anche belle foto originali con le immagini dei veri Garrett e Morris nei momenti migliori del loro successo, perfino a fianco dell’allora vicepresidente USA Lyndon B. Johnson.

In buona sostanza, il film ci racconta, mediante la vita dei due protagonisti e del loro paravento esterno rappresentato da un giovane bianco, la lotta per i diritti civili, la quale ebbe modo di svolgersi con operazioni fondiarie e con la proprietà della casa, ma soprattutto con l'arma principale che è il capitale, per lo più controllato dai bianchi. La loro battaglia per un processo difficile come quella che si può definire “desegregazione” era impossibile da vincere allora ma la serietà e la convinzione di Bernard Garrett, che portava dentro di sé e che trasmetteva agli altri, erano o almeno sono in questo film le armi vincenti che l’uomo portava addosso come un’arma di sopravvivenza in un mondo che non lo tollerava, erano un’armatura con cui, come un cavaliere, egli partiva a spron battuto per arrivare dove gli altri non erano capaci. Una storia istruttiva ma sfiancante, dal momento che il protagonista partiva svantaggiato e finiva lo stesso, ma con un’alternativa ricavata solo dal suo enorme spirito ingegnoso.

George Nolfi, da noi conosciuto più che altro per film sci-fi, non si distingue particolarmente, adottando una regia semplice e affidata alla originalità della vicenda e dalla verve degli attori: il film scivola liscio senza grandi invenzioni e senza guizzi almeno per emulare le gesta di Garrett, ma, nello stesso tempo, scorre in maniera interessante. Magari due ore son troppe e i dialoghi tengono impegnata l’attenzione per molto tempo concedendo nulla alla spettacolarità. È una vicenda seria e in alcuni frangenti anche drammatica e vi si possono notare solo pochi passaggi alla commedia, e se ciò succede è solo grazie alle caratteristiche dell’esuberanza di Samuel L. Jackson, il cui Joe Morris sembra un ruolo cucitogli addosso: simpatico e straripante, sembra il più amabile dei mascalzoni. Dal suo canto, fa impressione osservare la serietà e la compostezza, persino eccessiva, di Anthony Mackie, dato che il suo Bernard Garrett era evidentemente così: tutto genio e coscienziosità, come solo raramente si vede nei ruoli di colored nel cinema di sempre. Nulla da eccepire, infine, su Nicholas Hoult, in un personaggio che non richiede grande impegno ma essenzialmente precisione e tempi di recitazione. Una buona novità, almeno per me, che non la conoscevo, è la bella Nia Long, che gigioneggia un po’ ma che dimostra le molte possibilità che ha in corpo e che forse meriterebbe maggiore attenzione, Qui ha modo, per esempio, di sfoderare nella miglior maniera gli abiti della costumista Aieisha Li.

La piacevolezza dell’opera deriva dalla cura che vi è stata dedicata nei particolari e nella messa in scena: ottima la scenografia e i costumi, ma ciò che salta meglio agli occhi è la fotografia della bravissima Charlotte Bruus Christensen, che tinge di seppia le immagini, come fosse una pellicola invecchiata nel tempo. Un film che non cerca storie e personaggi molto noti presso l’opinione pubblica o eventi riportati più volte nei ricordi degli anniversari e delle celebrazioni, non è Selma, né la marcia della uguaglianza, non è Loving, né la vita di un celebre atleta nero: è una storia che ha sfiorato l’incredibile e a cui hanno tarpato le ali al momento del decollo definitivo. Peccato per alcune sequenze di discorsi troppo tecnicisti (matematico-finanziari) ma essenziali per spiegare non solo la eccezionalità della mente di Garrett ma anche per il prosieguo delle azioni di quel front office che fu Matt Steiner. Senza quei dialoghi, seguibili con una certa difficoltà ma intuibili per chi non è del ramo, non si possono capire i comportamenti conseguenti.






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