The Believer (2001)
- michemar

- 2 mar 2021
- Tempo di lettura: 6 min

The Believer
USA 2001 dramma 1h42'
Regia: Henry Bean
Sceneggiatura: Henry Bean
Montaggio: Mayin Lo, Lee Percy
Musiche: Joel Diamond
Fotografia: Jim Denault
Scenografia: Susan Block
Costumi: Alex Alvarez, Jennifer Newman
Ryan Gosling: Danny Balint
Billy Zane: Curtis Zampf
Theresa Russell: Lina Moebius
Summer Phoenix: Carla Moebius
Elizabeth Reaser: Miriam
Garret Dillahunt; Buillings
Daniel Balint, detto Danny, è un ragazzo ebreo di New York infatuatosi dell'antisemitismo. Per questo motivo aderisce ad un gruppo neonazista, guidato da Lina Moebius e dal suo compagno Curtis su invito dei quali comincia a tenere conferenze e lezioni tra la gente. L'avversione di Danny verso gli ebrei, che nasce dalla sua adolescenziale ribellione verso la figura del Dio padre, finisce così per esplicarsi in forme di efferata violenza. Danny però deve fare i conti con le proprie origini ebraiche, alle quali è indissolubilmente legato.
Voto 7,5

I hate and I love
Who can tell me why?
Questa frase compare prima dei titoli di testa e si rifà a famosi versi del poeta romano Gaio Valerio Catullo, che in originale latino recitavano più esattamente così:
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
(Odio ed amo. Perché lo faccia, mi chiedi forse.
Non lo so, ma sento che succede e mi struggo.)
Ovviamente non è un incipit casuale, anzi è l’essenza delle tribolazioni personali ed intime di Daniel, il protagonista, un giovanotto ebreo che vediamo adolescente nella scuola della torah: diligente e molto intelligente, ma anche caparbio e di grande personalità, tanto da mettersi a discutere e a contestare gli insegnamenti che sta ascoltando nella scuola assieme agli altri discenti, con cui litiga a proposito dei tanti versi che leggono e studiano in profondità. A cominciare dal sacrificio di Isacco per mano del padre Abramo per il volere del Dio che voleva mettere alla prova la sua fede, come raccontato nella Genesi. Le riflessioni del ragazzo sono interessanti ma dissacratorie per la rigida disciplina giudaica: secondo Daniel, Abramo dovrebbe considerare che il delitto richiesto dal Padre è avvenuto ugualmente anche se non è stato portato a termine, Isacco si può considerare ormai morto perché quel coltello, vibrato sull’altare del sacrificio, è stato impugnato per ucciderlo e ne rimarrà così scosso e segnato fino a credersi un morto che cammina, un sopravvissuto che non vive. Scioccato per tutta la vita. Questa apparente contraddizione, che fa infuriare il maestro e reagire il compagno di banco, suo amico di sempre, segnerà per il resto della vita il suo modo di ragionare. Fino al capitolo finale.

Daniel accetta e assorbe gli insegnamenti ebraici ma nello stesso tempo, guardandosi dentro e intorno, si accorge che il suo popolo gode nel soffrire, sa di esistere perché è perseguitato, reagisce e primeggia a causa della forza che viene dall’odio che riceve da tutte le altre religioni e razze. Il giovanotto affermerà infatti in seguito, una volta dismessi i panni di origine e rivestitosi di svastiche e tatuaggi da skinhead, che se il resto dell’umanità ignorasse il mondo giudaico, il suo popolo ne resterebbe talmente deluso che perderebbe forza e dignità, dileguandosi nell’anonimato più profondo. Perderebbe le caratteristiche di resistenza che li spinge a realizzare affari, possedere banche, commercio e finanza di alto livello. Una convinzione clamorosa che non trova consensi né tra i suoi giovani alleati nazi, né tra i suoi ex amici e colleghi di scuola e di fede. La particolarità dei suoi ragionamenti è che queste convinzioni sono espresse con vigore e tenacia, in discorsi che spesso diventano monologhi davanti agli esterrefatti interlocutori, tanto da lasciarli interdetti. È intorno ai dilemmi del giovane che si dipana l’intera vicenda, da e per le contraddizioni che si trascina dall’adolescenza, fino a essere diventate lo scopo della sua vita.

Carla: Pensi che solo gli ebrei sono intelligenti?
Danny: Pensi che io sia ebreo?
C.: Sembra che tu non sappia parlare d’altro: ebrei, ebrei, ebrei… gli unici che parlano così tanto degli ebrei sono gli ebrei.
D.: I nazisti ne parlano sempre.
C.: Tu dici?
D.: I nazisti veri! Hitler e Goebbels ne parlavano sempre.
C.: È per questo che sei diventato nazista, per parlare degli ebrei continuamente.
Frequenta la casa dei coniugi Curtis e Lina, che organizzano riunioni a scopo propagandistico per raccogliere seguaci fascisti e fondi per finanziare le iniziative; è a capo di una sparuta banda di naziskin che compie violenze gratuite per le strade; fornisce la sua preparazione culturale per riunioni e comizi per diffondere il credo estremista. Non si ferma mai e non sogna altro che uccidere un ebreo, uno qualsiasi, non necessariamente un personaggio famoso la cui morte farebbe clamore: per lui va bene anche un paio di anonimi ortodossi. E non lo nasconde, leggerezza che potrebbe pagare caramente.

La confusione che ha dentro si esterna anche nelle cose che lo circondano. Quando si mette a scartabellare in uno scatolone di vecchi ricordi che ha conservato nella cantina di casa, lo notiamo ritrovare i quaderni delle scuole in cui ripeteva i versetti imparati, i piccoli oggetti della tradizione e in fondo a tutto una pistola. Una scatola come la sua vita, come la sua mente, che ormai raccoglie troppi elementi che sono in contrapposizione. La religione come modalità di vita e la mentalità nazifascista che lo hanno apparentemente conquistato. L’avverbio non è casuale, perché più la storia va avanti, più cerca di organizzare un attentato nella sinagoga dei suoi vecchi compagni, più è in crisi e comincia a dubitare egli stesso delle frasi che ripete a tutti. Peggio ancora quando la ragazza che frequenta, la bella e sensuale Carla (anche perversa), che non è mai stata una convinta antisemita, comincia ad avvicinarsi alla religione ebraica. Nel momento topico, Daniel prenderà una decisione che rappresenterà lo scontro finale tra le sue due anime mai messe a tacere e in pace. E vincerà quella che non lo ha mai abbandonato.

Tre anni dopo il bellissimo American History X (recensione), il film di Henry Bean, valente scrittore e sceneggiatore all’esordio come regista, realizza un’opera drammatica incentrata sulla figura di Daniel Balint, un ragazzo di religione ebraica ma di ideologia nazista, senza però creare alcuna fiction in quanto la storia è ispirato ad una persona realmente esistita, Dan Burros, un attivista statunitense noto appunto per la sua militanza estremista. Un film duro che espone la contraddizione del pensiero di quel giovanotto che nella zona di New York dove abita era noto come il più feroce neonazista che ci fosse in giro ma che nel contempo frequentava la sinagoga come ogni altro fedele.
Il film vinse il Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival del 2001 ma il circuito americano si spaventò del soggetto e praticamente girò quasi nulla nelle sale e perfino nelle TV passò (e passa) con il contagocce: peccato, perché è un gran bel film, basato principalmente su una discussione molto seria a livello teologico e girato con grande coraggio da parte dell’autore con momenti infuocati ad alto tasso di drammaticità. Continuamente spiazzante, evidenzia il fanatismo terroristico e la soggezione religiosa, i rapporti ossessivi e il disordine mentale, come anche la rabbia di un giovane che si ribella al Dio conclamato, i timori e i dubbi celati agli altri. Il dibattito intimo e sconcertante del giovane viene influenzato anche dall’ambiente e dalle anomale amicizie che coltiva, soprattutto quando entra sotto l’ala protettiva ma anche influenzante, emotivamente e intellettualmente, di una coppia di esaltati fanatici.

Non era facile per l’interprete principale rapportare tutto ciò nella recitazione per rendere credibile quello che, tra l’altro, è realmente successo, ma un giovane attore in ascesa, che stupì il poco pubblico che poté vedere il film e la critica più acuta, ci riuscì alla perfezione: il suo nome era Ryan Gosling. Ci sono momenti in cui l’attore sa dare alla recitazione una intensità insospettabile per un giovane, da farla diventare un’interpretazione di notevole spessore, incredibilmente efficace e attendibile. Era al suo terzo film ed era quindi praticamente sconosciuto (Le pagine della nostra vita verrà tre anni dopo e Half Nelson, che gli darà le prime soddisfazioni in termini di premi, cinque) ma confesso che quando l’ho potuto ammirare per la prima volta mi chiesi se fossi davanti ad un futuro grande attore, cosa che non solo si è verificata e mai più nelle vesti di uomo violento. Lui che invece ha conquistato il mondo per i bei personaggi sulle scene e per le buonissime maniere nella vita pubblica e privata, tanto da essere elogiato in pubblico da Meryl Streep come il tipico gentilissimo canadese (cerimonia della premiazione dei Golden Globe Awards 2017).
Ryan Gosling strepitoso! Spiace aver perso di vista la sorella di Joaquin, Summer Phoenix, che non ha avuto altre grandi occasioni dopo questa, avendomi dato un’ottima impressione. La regia di Henry Bean è ineccepibile, anche con la continua macchina a spalla per essere vicino ai movimenti dei personaggi, ma la resa all’atto pratico è notevole e se il film piace è merito suo.






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