The Guilty (2021)
- michemar
- 10 ott 2021
- Tempo di lettura: 5 min

The Guilty
USA 2021 thriller 1h30’
Regia: Antoine Fuqua
Soggetto: film ‘Il colpevole - The Guilty’ di Gustav Möller
Sceneggiatura: Nic Pizzolatto
Fotografia: Maz Makhani
Montaggio: Jason Ballantine
Musiche: Marcelo Zarvos
Scenografia: Peter Wenham
Costumi: Daniel Orlandi
Jake Gyllenhaal: Joe Baylor
Christina Vidal: serg. Denise Wade
Adrian Martinez: Manny
Ethan Hawke: serg. Bill Miller (voce)
Riley Keough: Emily Lighton (voce)
Eli Goree: Rick (voce)
Paul Dano: Matthew Fontenot (voce)
Peter Sarsgaard: Henry Fisher (voce)
David Castañeda: Tim Geraci (voce)
Beau Knapp: Dru Nashe (voce)
Gillian Zinser: Jess Baylor (voce)
TRAMA: Nel tentativo di salvare una donna al telefono in grave pericolo, l'operatore del 911 Joe Bayler si rende conto ben presto che nulla è come sembra e che l'unica via d'uscita è affrontare la realtà.
Voto 6,5

Joe Baylor è un agente di polizia di Los Angeles che lavora come operatore al numero per le emergenze 911. La sua vita personale è in crisi. Si sta separando dalla moglie Jess e cerca appena può di parlare con la figlia. Inoltre, il giorno dopo dovrà andare in tribunale per un processo che lo vede coinvolto come imputato in cui si gioca il futuro della carriera. Quella sera, gli operatori della polizia ricevono molte richieste di aiuto anche a causa dei numerosi incendi che stanno devastando alcune aree della metropoli statunitense e della California. Tra le chiamate che riceve Joe, c'è quella di Emily, una donna vittima di un rapimento. L'agente capisce sin da subito che non c'è tempo da perdere e deve fare affidarsi alle sue capacità e alla sua intuizione per cercare di salvarla. Ma la realtà è proprio così come lui l’ha immaginata al telefono?
Ancora una volta, il cinema americano guarda ad un buon progetto europeo, esattamente al riuscito Il colpevole - The Guilty (2018) di Gustav Möller, poliziesco danese che ovviamente ha molto in comune ma non tutto, perché differenze sostanziali ci sono, nonostante anche qualcuno della critica ufficiale scrive che è un inutile remake. Piuttosto, si ripete una accoppiata regista/attore che già aveva dato un discreto apporto ad un altro film, Southpaw - L'ultima sfida: il primo è Antoine Fuqua, che ama i soggetti frequentati dalle divise blu della police statunitense - magari spesso inquinata da connivenze – e l’altro è Jake Gyllenhaal, che è sempre un piacere ammirare, maggiormente nelle occasioni come questa in cui ci mette l’anima e il corpo dando voce e fisico ad un personaggio tormentato fino al crollo psicologico. Eh sì, ancora una storia ambientata nel corpo della polizia per l’autore black Fuqua, ancora un thriller poliziesco angosciato e angosciante, pieno di risvolti umani e sociali.

In comune nei due film c’è la mono-ambientazione: tutto si svolge in una stazione di polizia che svolge i compiti di call center, il mitico 911 che tutti i cittadini in difficoltà, di qualsiasi tipo, chiamano soprattutto quella notte in cui – come è successo davvero durante la caldissima estate del 2021 – buona parte delle colline di Los Angeles stanno bruciando. Inoltre, come nel film originale, c’è una donna che chiama disperata da un van in viaggio sull’autostrada chiedendo aiuto ma senza la possibilità di parlare liberamente al cellulare, dando quindi l’idea lampante che è stata rapita e l’uomo, il marito separato, la sta portando via, chissà dove. E come in quel film, l’agente di turno con la cuffia cerca di tranquillizzare la donna e nel frattempo di mettere in moto le pattuglie per fermare il mezzo in viaggio. Contemporaneamente prende contatto con la bambina che è a casa accudendo il fratellino neonato. Fin qui siamo alla pari, ma tutto il resto è caratterizzato da particolari ben differenti.

Joe non è l’Asger danese, freddo e controllato poliziotto che dotato di calma e lucidità per coordinare gli aiuti necessari alla donna ostaggio. Joe è preoccupato, condizionato delle sue angosce, è sotto stress per motivi personali, tanto da dover chiamare spesso la moglie, da cui è recentemente separato, per salutare la figlia che tanto gli manca. L’indomani sarà in tribunale per difendersi da una grave accusa che potrebbe condizionare il suo futuro di poliziotto, ma nulla fa trapelare la regia e quello che lo sta distruggendo mentalmente lo si scopre solo nel finale. L’alternanza tra il telefono del centralino e il cellulare che guarda frequentemente per dare la buonanotte alla sia bimba è frenetico ma riesce comunque a concentrarsi per dare precise indicazioni ai sorveglianti dell’autostrada e alla pattuglia della polizia sulle tracce del van su cui viaggiano l’uomo e la donna, rispondendo malamente ad altri che telefonano per chiedere aiuti: lui è intento con tutte le forze mentali soltanto per raggiungere lo scopo che si è prefisso. Come se il salvataggio di quella donna sia anche quello suo, del capo di accusa che pende sul capo e per cui deve rendere conto in tribunale tra poche ore. Piange, si inala la medicina antiasma, urla, smanetta sui pulsanti del pannello dei comandi. Solo l’epilogo tragico e inaspettato della tragedia in corso e una telefonata al collega pronto a confermare il falso nel processo da lì a poco ci svelano verità tanto inattese quanto sorprendenti.


No, non è proprio uguale al film originale, no. Anche perché lì il bravissimo Jakob Cedergren non è e non può essere Jake Gyllenhaal e in secondo luogo sono due personaggi differenti, con un background e un equilibrio mentale del tutto dissimili: in comune hanno solo il buio di una consolle da call center di emergenza e il problema personale. E poi, determinante, c’è la solita e prevedibile, ma sempre entusiasmante interpretazione di Jake Gyllenhaal che non si risparmia mai, ma proprio mai. Anche in questa occasione, eccolo darsi anima e corpo, recitare con intensità in un film che Antoine Fuqua lo deve riprendere in primo piano, in cui deve raccontare lo sviluppo quasi solo con le espressioni e le smorfie del viso, col nervosismo che traspare da ogni minimo spostamento dei muscoli facciali, degli occhi che saettano, delle giravolte sulla sedia della postazione che è controllata continuamente dalla sergente responsabile del delicato servizio telefonico. A tratti Jake ricorda la tensione nervosa ai limiti cerebrali del protagonista di Lo sciacallo – Nightcrawler, stessi occhi inquieti che cercano l’occorrente per la soluzione istantanea, stessa fame (l’uno di notizie, l’altro di voglia di prestare soccorso), stessa resistenza fisica. Fino al punto di terminare la notte di servizio vomitando in quel bagno in cui decide il suo futuro prossimo. Che Gyllenhaal sia bravo lo sanno tutti ma che lo sia sempre e in ogni momento della sua vita artistica (in verità anche in quella reale con i suoi impegni sociali e ambientali) risulta palese anche in questo film. Che non è un grande capolavoro ma è pur sempre appassionante e lui ci mette tutto se stesso: un campione. In un ambiente chiuso e unico per tutta la durata, quindi un solo attore (solo qualche sguardo al collega Manny - che Joe maltratta per insofferenza – e alla sergente Denise) ma un parterre notevolissimo di attori che non si vedono ma che si odono: sono le voci degli altri personaggi importanti, come Ethan Hawke, Riley Keough, Paul Dano e Peter Sarsgaard.

Non è il film d’azione tipico di Antoine Fuqua, anzi proprio l’opposto e, se c’è, è solo mentale e di immaginazione da parte dello spettatore. E se ciò riesce, il merito va sia al regista che al noto sceneggiatore Nic Pizzolatto, amante dei lunghi e complicati dialoghi (vedi il mitico primo True Detective). Da dove nasce il soggetto? Bisogna riandare con la mente al film originale di Möller, che a suo tempo rivelò che il primissimo spunto da cui trasse l'ispirazione per la creazione del film fu un video visionato su YouTube in cui una donna rapita riusciva a contattare la polizia mentre sedeva accanto al suo rapitore.
Giudizio, alla faccia dei detrattori, positivo e grandi applausi per Jake Gyllenhaal.
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