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The Hater (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 3 ago 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 4 nov 2023


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The Hater

(Sala samobójców. Hejter) Polonia 2020 dramma/thriller 2h15’


Regia: Jan Komasa

Sceneggiatura: Mateusz Pacewicz

Fotografia: Radek Ladczuk

Montaggio: Aleksandra Gowin

Musiche: Michal Jacaszek

Scenografia: Marcel Slawinski, Katarzyna Sobanska-Strzalkowska

Costumi: Malgorzata Zacharska


Maciej Musialowski: Tomasz Giemza

Vanessa Aleksander: Gabriela 'Gabi' Krasucka

Agata Kulesza: Beata Santorska

Danuta Stenka: Zocolata Krasucka

Jacek Koman: Robert Krasucki

Maciej Stuhr: Paweà Rudnicki

Adam Gradowski: Stefan 'Guzek' Guzkowski

Piotr Biedron: Kamil


TRAMA: Tomek, uno studente di Giurisprudenza all'Università di Varsavia, viene sorpreso a copiare ed espulso dalla scuola. Tuttavia, decide di nascondere il tutto alle persone che ama e continua a ricevere assistenza finanziaria dai Krasucki, i genitori dell'amica d'infanzia Gabi. Quando l'inganno viene alla luce, Tomek perde la fiducia e le attenzioni dei suoi benefattori. Pieno di rabbia e rimpianti e separato da Gabi per cui da anni ha una cotta segreta, Tomek comincia a pianificare la sua vendetta. L'opportunità di metterla in atto gli si presenta quando, trovando lavoro in un'agenzia pubblicitaria, ha accesso alle ultime tecnologie e ai segreti dell'élite della capitale polacca.


Voto 8

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Prima o poi doveva succedere. Il Cinema si occupa, lo sappiamo bene, di ogni attività umana, di ogni manifestazione dell’uomo, di tutti i fenomeni sociali – politici o più prettamente sociologici che siano, perché in realtà tutto È politica – e prima o poi, a seconda dell’intensificazione di questo o quel fenomeno, se ne occupa. Poteva restare fuori dagli interessi un soggetto come quello che stiamo vivendo in questi ultimissimi anni, che riguarda due attività ormai strettamente collegate e che hanno invaso l’attività politica? No. Ecco quindi un interessantissimo film che ci illustra senza mezzi termini il dispiegamento di forze attuato da imprese specializzate: fake news e tecnica informatica. La seconda è assolutamente necessaria alle prime per lanciarle e farle condividere, soprattutto in maniera automatica e in assenza di profili social reali; le prime non riuscirebbero mai a raggiungere lo scopo per cui nascono senza una efficiente organizzazione di tecnici strategici e informatici. Due aspetti che si reggono a vicenda, l’uno che supporta l’altro: da soli valgono pressappoco zero. E, si badi bene, non è necessario assoldare degli hackers, ma è sufficiente essere buoni strateghi esperti di comunicazione tecnologica.

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Non è neanche necessario spiegare troppo, basta navigare qualche oretta nei social per intendersi immediatamente. La battaglia delle idee tra i politici oramai avviene raramente in confronti diretti televisivi (che erano il campo inevitabile ove confrontare i propri pensieri e convincere gli elettori a farsi votare), essi evitano accuratamente lo scontro dialettico per il timore di perdere il duello (che sarebbe esiziale per il successo finale) e si limitano a fare comizi solitari, interviste giornalistiche accomodate e lancio di proclami e messaggi avverso l’avversario anche (soprattutto?) con dati e notizie infondati. Assolutamente infondati. Spesso anzi sono interpretazioni coscientemente opposte alla verità. Dietro (lo vediamo tutti i giorni) c’è una nutrita organizzazione che predispone una strategia di diffusione di notizie totalmente fasulle che sia i numerosissimi cosiddetti BOT (profili social falsi) che i fedelissimi fans del leader politico provvedono a condividere in maniera geometricamente progressiva. Un diluvio contro cui non bastano dighe di smentite di sorta. In tanti leggono, si convincono passivamente, condividono persuasi.

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In questo quadro desolante più reale che realistico, l’ottimo regista polacco Jan Komasa piazza al centro della vicenda che racconta un giovane senza scrupoli, che mira nella sua vita solo al successo personale, incurante del male che potrebbe procurare ai parenti che si occupano di lui. Bugie, finzioni, doppia o tripla vita, frequentazioni inventate, abilità nell’inserirsi negli ambienti che gli servono, insensibile, egoista, arrivista. Di lui non conosciamo il passato difficile, non riusciamo ad immaginare cosa farà nell’immediato subito dopo che avrà raggiunto gli scopi: Tomasz, per tutti Tomek, bada all’immediato e del futuro si occuperà dopo, man mano che i piani che programma vadano in porto. Non dà l’impressione che sia lungimirante: a lui interessa il risultato immediato, in quanto subito dopo programma (preferibilmente di notte, quando le occhiaie diventano marroni dalla stanchezza, tenuto su da qualche “bustina”) la mossa successiva. In particolare si sofferma su un videogame, con cui si collega con il soggetto più debole che ha conosciuto negli ultimi tempi presso il poligono di tiro dove si è rivolto per allenarsi (falso obiettivo) dove invece è alla ricerca della persona più manipolabile psicologicamente e più assoggettabile ai suoi nefasti disegni per arrivare a realizzare il più ardito e pericoloso dei suoi progetti (vero obiettivo).

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La parabola professionale e quindi personale di affermazione raggiunge l’apogeo con l’attentato che ha ideato, evento che tra l’altro lo spaventa anche. E non per il rischio fisico in cui incappa alla fine (motivo per cui passa addirittura per eroe) ma per il fatto di scoprire, con sorpresa ma con notevole interesse, quanto potente ed influente possano essere le manipolazioni delle idee in campo sociopolitico. È esagerato scrivere una sceneggiatura in cui un giovane esaltato (anche in senso passivo per gli input arrivati da altri o dall’ambiente in cui queste balzane idee si sviluppano) riesce a procurarsi delle armi e spara su persone innocenti ed inermi, solo perché sono favorevoli all’accoglienza, alla diversità di vedute in campo gender, alle idee di buona convivenza con “l’altro”? È esagerato? Se vi pare di sì, riandiamo con il pensiero a ciò che è accaduto veramente nella cronaca degli anni recenti: il maledetto 22 luglio della Norvegia o il caso di Luca Traini a Macerata non sono casi isolati, né sono nati di propria sponte, bensì maturati e macerati a furia di frequentazioni su siti specializzati. Islamizzazione, imbastardimento della razza, sopraffazione straniera, Dio-patria-famiglia (di persone che non vanno in chiesa, che bada alla propria tasca, che ha già più di una famiglia), sovranismo imperante, populismo senza futuro. L’elenco sarebbe anche lungo, ma questi pochi attivismi sono più che sufficienti a muovere una psiche poco stabile e facilmente influenzabile.

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È il momento clou del film, è il naturale afflusso nell’inevitabile foce verso cui il fiume dell’odio di rete può giungere, è la logica conclusione di un disegno più facile da organizzare con un videogame interattivo – quasi come un videogame distopico - che da attuare nella realtà, e che quando accade veramente fa paura, fa orrore, fa disumano, è un non senso civile. Tomek è non solo l’ideatore e l’autore, ma ne è anche un testimone spaventato, che si rende conto della potenza dell’odio del web solo nel momento dell’attuazione del progetto, quasi come un virus creato in laboratorio e poi sfuggito al controllo della scienza: un morbo inguaribile che prende la sua strada e non è più controllabile. Ciò che Tomek porta dentro forse è proprio un odio innato, una sensazione che lo accompagna sin dall’adolescenza, è quello che lo porta all’espulsione dall’università per aver scritto un saggio con plagio evidente, che lo porta a spiare i parenti e i colleghi di lavoro, che non esita ad andare a letto con la sua datrice di lavoro, che flirta sessualmente con il personaggio politico che deve colpire, che fa licenziare un suo superiore che lo ostacola nella carriera. Tutto ciò solo per raggiungere i suoi obiettivi, insaziabile e fagocitatore di chi si infrappone tra sé e il suo percorso. Solo una persona potrebbe bloccare le sue perversioni: la bella Gabi, sempre però sotto forma di ossessione, giusto per non smentirsi.

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L’odio fa male nella vita, chi odia vive male, si potrebbe dire parafrasando Nanni Moretti, ma l’odio moderno, quello della rete, l’odiatore seriale per lavoro o per convenienza, gli “haters” di professione o per dileggio stanno diventando la rovina del bel giocattolo che è il web. Chissà come faremo a fermarlo. Jan Komasa è un autore a tutto tondo, un grande futuro lo aspetta, perché chi è capace di girare prima il sorprendente Corpus Christi e poi questo film non può essere un regista qualsiasi, tutt’altro. Vanessa Aleksander, che interpreta Gabi, è una brava attrice e già lo aveva dimostrato in precedenza, ma la vera scoperta è Maciej Musialowski, il Tomasz protagonista: la sua faccia non si dimentica, la sua espressione dice tutto nel film e del film. Spesso in primo piano, è la narrazione facciale di un duro racconto, spietato e intransigente, che spiega moltissimo con una storia che ci mette in guardia, ma che, ahimè, non penso servirà a rallentare il fenomeno. Come scoprirlo? Andiamo subito ad aprire un social e leggiamo cosa postano o fanno postare i leaders politici più agguerriti. O meglio, cosa son capaci di pubblicare costantemente queste società che operano nell’ombra digitale. La dimostrazione pratica di quanto tutto possa essere realistico si è avuta tre settimane dopo la fine delle riprese, allorquando il sindaco di Gdańsk (una città sulla costa baltica della Polonia settentrionale), Paweà Adamowicz, un politico liberale spesso preso di mira da odiatori on line, è stato accoltellato a morte durante un evento di beneficenza trasmesso in diretta. Visto?

Un thriller psicologico che mette paura, che ci mette in guardia, realizzato da un autore di grande talento, che ha tratto questo spin-off da un suo precedente film del 2011 Suicide Room (Sala samobójców).


Riconoscimenti

2020 - Tribeca Film Festival

Best Narrative Feature



 
 
 

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