The Manchurian Candidate (2004)
- michemar

- 14 ott
- Tempo di lettura: 4 min

The Manchurian Candidate
USA 2004 thriller politico 2h9’
Regia: Jonathan Demme
Soggetto: Richard Condon (L’eroe della Manciuria)
Sceneggiatura: Daniel Pyne, Dean Georgaris
Fotografia: Tak Fujimoto
Montaggio: Carol Littleton, Craig McKay
Musiche: Rachel Portman
Scenografia: Kristi Zea
Costumi: Albert Wolsky
Denzel Washington: maggiore Bennett Marco
Meryl Streep: senatrice Eleanor Shaw
Liev Schreiber: Raymond Shaw
Jon Voight: senatore Thomas Jordan
Kimberly Elise: Eugenie Rosie
Vera Farmiga: Jocelyne Jordan
Ted Levine: colonnello Howard
Miguel Ferrer: colonnello Garret
Jeffrey Wright: Al Melvin
Bruno Ganz: Delp
Pablo Schreiber: Eddie Ingram
Dean Stockwell: Mark Whiting
Teddy Dunn: Wilson
Anthony Mackie: Robert Baker
Roger Corman: Mr. Secretary
Simon McBurney: dr. Atticus Noyle
Jude Ciccolella: David Donovan
Brittany Snow: Marcia Prentiss Shaw
TRAMA: Sorpreso da un’imboscata nel corso della prima guerra del Golfo, il maggiore Ben Marco perde i sensi, ma lui e la sua squadra vengono salvati dal sergente Raymond Shaw. Al termine del conflitto, l’ondata di popolarità sollevata dal suo eroico gesto porta Shaw in politica, assistito dall’influente madre, senatrice alle soglie della vicepresidenza. Ma nella mente di Marco qualcosa non torna: ossessionato dagli incubi, comincia a sospettare che l’episodio in cui è stato coinvolto e i suoi successivi sviluppi nascondano un diabolico complotto.
VOTO 7

Rifare un classico è sempre un rischio, ma Jonathan Demme, regista coraggioso e visionario, ha deciso di affrontarlo a testa alta con la rilettura moderna del thriller politico del 1962 (allora era Va’ e uccidi, un gran film di un grande regista, John Frankenheimer). Il risultato, purtroppo, non è quello che ci si aspettava, camminando sul filo del rasoio tra fedeltà e innovazione, riuscendo a sorprendere ma solo fino a un certo punto. Diciamo che si è rivelato un remake che ha osato troppo senza raggiungere lo scopo. Ma attenzione, pure questo è un gran film.


Demme non si accontenta di replicare la pellicola originale: la aggiorna, la contamina, la rende più brutale e attuale, come d’altronde si girano oggi sia i film di guerra che quelli che ci narrano le conseguenze. Al posto della minaccia comunista, che era un motivo validissimo per il cinema americano di allora, qui troviamo una multinazionale onnipresente e famelica. Il lavaggio del cervello - ciò che oggi viene chiamato brainwashing - non è più magia nera, ma tecnologia avanzata, mentre la politica, come ben sappiamo, è diventata un gioco sporco, dove la manipolazione è la regola. Anzi, oggi si è aggiornata con la propaganda incessante tramite i giornali di parte e i debordanti social network, acquisiti o alleati all’uopo.


Il film si apre nel Kuwait prima dell’operazione Desert Storm, dove una squadra militare americana viene catturata. Il sergente Raymond Shaw (Liev Schreiber) torna come eroe ed il capitano Ben Marco (Denzel Washington) ha incubi che lo tormentano: qualcosa non torna. E quel qualcosa potrebbe avere radici molto più profonde e inquietanti. Non è un semplice shock da trauma postbellico, è qualcosa di poco diagnosticabile, di nuovo, di anomalo. L’uomo vuole capire, vuole scoprire la verità e si mette ad indagare senza voler dare nell’occhio, muovendosi con cautela. Scopre così di essere stato sottoposto a un elaborato lavaggio del cervello e a ripetuti esperimenti medici, compreso l’impianto di un microchip nascosto sotto pelle nel proprio corpo: questo è accaduto sia a lui, sia a Shaw, sia a tutti gli altri commilitoni, molti dei quali negli anni successivi sono morti per incidenti o apparenti cause naturali. L’indagine lo fa risalire alla Manchurian Global, onnipotente corporation con forti legami con la scena politica americana, e in particolare con la famiglia Shaw.


Un giorno incontra una donna, Eugenie Rosie (Kimberly Elise), che poi scopre essere un agente sotto copertura dell’FBI, già sulle tracce di ciò che si cela dietro la Manchurian Global. Marco tenta di rivelare come stanno le cose al senatore Tom Jordan che però crede solo parzialmente al racconto. Nonostante tutto, sempre perplesso, questi decide di confrontarsi con la potente senatrice madre Eleanor (Meryl Streep), che lo accusa di voler utilizzare le notizie per una campagna denigratoria nei confronti di suo figlio. A quel punto la senatrice “attiva” il figlio, attraverso un comando vocale, rendendolo un burattino nelle sue mani. Terrificante!


Nel ruolo di Eleanor Shaw, madre iperprotettiva e manipolatrice, Meryl Streep è a dir poco magnetica, dimostrando, se ce ne fosse mai bisogno, la sua enorme bravura nel cambiare pelle, voce, espressione a seconda dei ruoli. Nulla la condiziona. Che bravura! Il suo personaggio oscilla tra Angela Lansbury e Hillary Clinton (con tanto di smentita dell’attrice), e la tensione tra lei e il figlio Raymond è così intensa da suggerire persino un sottotesto incestuoso. Un ritratto disturbante e potente: una madre, una burattinaia, una regina dell’ambiguità. Che però non si vanta, urlando, di essere una donna, una madre, una cristiana, come fanno oggi nell’Occidente. Lavora, lavora nel sottobosco, lavora sporco. E tira avanti.


Nel più che solido cast, ricco di tantissimi grandi nomi, Denzel Washington, sempre eccellente (che attore!) è più umano e meno spavaldo di Frank Sinatra nel film precedente, Liev Schreiber è perfetto nel ruolo dell’uomo marionetta e dell’oggetto di strumento, e credo che non abbia mai avuto un ruolo così forte, mentre Jon Voight offre un supporto discreto ma efficace con la sua ben nota grinta aggressiva. Anche Kimberly Elise si impegna ma il personaggio affidatole sembra fuori posto e poco integrato nella narrazione. Ma il vero tallone d’Achille del film è il finale. Dopo un climax teso e tragico, arriva un epilogo che sa di compromesso: è un finale che smorza tutto ciò che lo ha preceduto. Peccato: con più coraggio, Jonathan Demme avrebbe potuto firmare un remake memorabile. Si è fermato un passo prima. Ma ciò non toglie nulla ad un film che comunque resta un’opera potente e sconvolgente mescolando gli intrighi della politica sporca con gli strumenti bellici moderni.



Riconoscimenti
Golden Globe 2005
Candidatura miglior attrice non protagonista Meryl Streep
BAFTA 2005
Candidatura miglior attrice non protagonista Meryl Streep






Commenti