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The Midnight Sky (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 17 feb 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

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The Midnight Sky

USA 2020 dramma/fantascienza 1h58’


Regia: George Clooney

Soggetto: Lily Brooks-Dalton (romanzo)

Sceneggiatura: Mark L. Smith

Fotografia: Martin Ruhe

Montaggio: Stephen Mirrione

Musiche: Alexandre Desplat

Scenografia: Jim Bissell

Costumi: Jenny Eagan


George Clooney: Augustine Lofthouse

Felicity Jones: Sully

Kyle Chandler: Mitchell

Demián Bichir: Sanchez

David Oyelowo: Tom Adewole

Tiffany Boone: Maya

Caoilinn Springall: Iris

Sophie Rundle: Jean

Ethan Peck: Augustine da giovane

Tim Russ: Moseley

Miriam Shor: moglie di Mitchell


TRAMA: 2049. Augustine Lofthouse è un astronomo che vive isolato in una stazione scientifica del Polo Nord. Augustine, malato terminale, ha scelto di rifugiarsi nell'Artide, unico luogo ancora abitabile del pianeta, e di non seguire gli altri esseri umani nei rifugi sotterranei, creati per sfuggire all'aria irrespirabile in superficie. Da lì, Augustine, si mette in contatto con la nave spaziale Aether, di ritorno da una missione su un satellite di Giove, dove gli astronauti hanno verificato la presenza di un'atmosfera e di un clima adatti alla vita umana, quando scopre di non essere solo: una bambina di nome Iris, infatti, si è nascosta nella sua stazione scientifica in seguito all'evacuazione.


Voto 7


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A me, George Clooney, che stimola la simpatia di tanti (non a tutti, qualcuno lo trova troppo “piacione”, quindi sufficientemente finto), piace moltissimo e soprattutto provo per lui tanta stima. Per la serietà con cui affronta le vere e serie problematiche del mondo d’oggi, per l’impegno sociopolitico delle sue vedute, per il pensiero più prettamente politico, per l’impegno che ci mette nelle cose importanti della vita. Ama vivere gioiosamente (perdinci, e chi non vuole?), ha un bellissimo gruppo di amici/colleghi con cui gode ritrovarsi, ma se guardiamo la sua filmografia, sia di attore che di autore, ci accorgiamo che passa da un genere effimero ad uno tosto con molta facilità. E lo sa fare. Prendiamo ad esempio questo film, a suo modo, affascinante.


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Tratto dal romanzo di Lily Brooks-Dalton Good Morning, Midnight, il film è ambientato nel 2049 e la Terra è sconvolta da un cataclisma non meglio specificato, che l’ha resa praticamente inabitabile. In una base artica è rimasto solo lui, Augustine (mai visto George Clooney con queste sembianze) un barbuto scienziato con un nome da santo, del santo tra i più saggi e colti di tutta la storia della religione cristiana, un uomo canuto malato terminale che ha deciso di trascorrere i suoi ultimi giorni di vita là dove ha sempre lavorato, tentando di mettersi in contatto con l’astronave partita in missione per verificare che una luna di Giove, da lui scoperta, fosse abitabile per i terrestri. come lui spera. Infatti, ancora una volta, un film di fantascienza si occupa della sopravvivenza degli umani che abitano su un pianeta ormai senza futuro, per carenze di energia, di cibo, di aria respirabile. Una catastrofe insomma. L’astronave, con un piccolo equipaggio composto da Sully (Felicity Jones), Adewole (David Oyelowo), Maya (TiffanyBoone), Mitchell (Kyle Chandler) e Sanchez (Demián Bichir), sta facendo ora ritorno verso la Terra, ma gli astronauti non sanno che il pianeta, oramai inabitabile, è stato abbandonato e non capiscono come mai i loro tentativi di comunicare con la casa-madre continuino a fallire. In questa già complicata situazione Augustine scopre di non essere solo come pensava e scopre Iris (la piccola e sorprendente CaoilinnSpringall), una bambina che, nel caos dell’evacuazione, è evidentemente stata abbandonata per errore nella base e di cui ora deve trovare il modo di prendersi cura.


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Ciò che colpisce non tanto immediatamente, quanto nel prosieguo della visione del film, è che non è semplicemente il solito film fantascientifico/catastrofico/postapocalittico come se ne vedono tanti, ma è una storia tanto vasta come lo spazio cosmico quanto piccola e ristretta come le modeste stanze in cui Augustine vive nella stazione scientifica nel Polo Nord. Dalla vastità infinita dello spazio all’intimità di alcune camere; dalla missione Aether in rotta verso la Terra con i dati necessari alla colonizzazione di una luna di Giove alla solitudine di quell’uomo che disperatamente cerca di mettersi in contatto con gli astronauti per avvertirli che il loro viaggio di ritorno è inutile e che sulla Terra è solo distruzione e vita impossibile. Motivo per il quale in tanti sono ormai scappati altrove, lasciando abbandonata la bimba che ha ritrovata nascosta in una stanza. Lei si chiama Iris come sua figlia e proprio su quell’abbinamento il finale apre ad un affascinante mistero e ci pone un interrogativo disarmante: la bimba è reale o è una rappresentazione immaginaria della figlia da cui si è staccato tanti anni prima? Con lei, vera o no, affronta un viaggio con una motoslitta quasi senza speranza, nel gelo e nel bianco accecante della tormenta di neve che li investe, verso un altro rifugio dove probabilmente la radio per comunicare con l’astronave in arrivo funzioni. Uno spostamento che diventa un’odissea, con la paura di perdere ancora una volta una piccola donna di nome Iris. Il gelo e la neve lo fanno diventare più bianco di quello che è, la resistenza fisica e morale è al minimo, la morte lo attende al varco prima della malattia che lo ha minato, ma la disperazione e la necessità lo spingono avanti, anche quando il mezzo meccanico lo abbandona: il rifugio è lì e lo deve raggiungere ad ogni costo.


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Ma cosa è successo alla Terra? Perché è ridotta in quelle condizioni? Come in The Road non sappiamo cosa è accaduto prima, sta di fatto che la Terra è diventata inabitabile, come una fine del mondo arrivata all’improvviso per un cataclisma o maturata con gli sprechi degli uomini e gli allarmi degli ecologisti rimasti inascoltati. Chissà.

Il soggetto era piaciuto subito a George Clooney: un film di fantascienza che assume tristemente i connotati di quello che può avvenire realmente nel giro di qualche decennio. Quante esortazioni stanno facendo gli scienziati che vogliono salvare il nostro pianeta? Dice l’attore-regista: “Da quando ho ricevuto la sceneggiatura a oggi le cose sono molto cambiate. Inizialmente il film era semplicemente una storia emozionale, che mostrava il percorso di redenzione del protagonista. Però, ancor prima che dilagasse la pandemia, nel mondo c’era già una pesante vena autodistruttiva, con gli sconvolgimenti del clima e una rabbia sempre più diffusa. Le malattie dell’odio, degli scontri e delle guerre già ci stavano distruggendo e, anche se il virus (nell’intervista si riferisce al maledetto Coronavirus, ovviamente) non è tecnicamente prodotto dall’uomo, questa devastazione del pianeta è sicuramente colpa nostra. Nel film c’è il dolore per quanto gli uomini siano capaci di infliggersi l’uno l’altro e per quanto sia facile perdere tutto quello che finora davamo per scontato.” Ecco lo spirito ecologista di Cloney! Il suo interessamento, in ogni caso, partiva dal poter unire due argomenti: l’avventura della fantascienza e il pericolo della vita impossibile sulla Terra. Dice infatti: “Le storie di questo tipo ci sono sempre piaciute, anche quando i tempi sembravano meno apocalittici rispetto a oggi.” Un po’ Revenant - Redivivo, un po’ 2001: Odissea nello spazio, un po’ il suo amato Gravity. E per riferirci a film recenti, un po’ Interstellar e un po’ Ad Astra.


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Il George Clooney regista realizza un’opera perfino contemplativa e di riflessione, coniugando bene la tensione con l’avventura, i soliloqui con i silenzi e le pause, la forza della natura con quella dell’Uomo che non si arrende, che guarda ad una bimba con la speranza di un difficile futuro. Ma soprattutto con la lotta tra chi ha rovinato il Creato ed è invisibile, fuori campo, non nominato, e chi, piedi instabili ma ancora su questo Pianeta, cerca di trovare soluzioni fattibili per dare speranza. E nonostante il futurismo della situazione ambientale, è un film dal carattere classico, come è sempre piaciuto a lui, anche fuori dal tempo se vogliamo. Significative le sue inquadrature sui macchinari semiabbandonati, una stanza con tanti schermi davanti ai quali lui è il solo ad osservarli: li guarda con scarsa fiducia, pare invitarli a indicare qualcosa di positivo, di dare segnali di chances per lui e gli astronauti. Nel frattempo si deve preoccupare della bimba che non parla, non dichiara neanche il nome, che non fa chiarezza sulla sua presenza. La osserva incuriosito, le prepara da mangiare, è indeciso su come trattarla, in certi momenti lo fa sentire a disagio. Lei ha un viso intelligente e meraviglia come si atteggi a piccola donna che si affida a quell’anziano da cui chissà cosa si apetta. Sarà una convivenza strana, un rapporto tutto da costruire: adesso lui non può morire, non è più solo. Oltre a far qualcosa per chi vorrebbe atterrare adesso ha anche un’ospite inattesa e da proteggere.


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Il George Clooney attore è come al solito preciso e coinvolgente, mai un gesto inutile o fuori luogo: lui è un attore consapevole, maturo, oggi più che mai, che non recita per fare cassetta. Per come lo giudico personalmente, lui recita o per divertissement (con la sua gang di amiconi) o per ispirazione convinta, per amore del suo cinema. Un film poco eclatante ma efficace, girato e recitato con passione e sincerità ma specialmente impegno morale, che sì, può suscitare qualche perplessità (il protagonista è sempre sul punto di crollare ma sopravvive a tutto, lupi a latitudini proibitive, ecc.) ma la tensione e l’attenzione non calano mai, neanche nei momenti di minor apprensione, ma George, con quella espressione, quel suo modo inimitabile di parlare (ah, quanto è diversa la voce di Francesco Pannofino!), quegli occhi che guardano interrogativi, è un grande attore e i suoi film non passano mai inosservati.



 
 
 

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