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The Nest - L'inganno (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 22 lug 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 5 mag 2024


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The Nest - L'inganno

(The Nest) UK/Canada 2020 dramma 1h47’


Regia: Sean Durkin

Sceneggiatura: Sean Durkin

Fotografia: Mátyás Erdély

Montaggio: Matthew Hannam

Musiche: Richard Reed Parry

Scenografia: James Price

Costumi: Matthew Price


Jude Law: Rory O'Hara

Carrie Coon: Allison O'Hara

Charlie Shotwell: Benjamin "Ben" O'Hara

Oona Roche: Samantha "Sam" O'Hara

Michael Culkin: Arthur Davis

Adeel Akhtar: Steve

Anne Reid: madre di Rory

Wendy Crewson: madre di Allison


TRAMA: Alla ricerca di nuove opportunità, l'ambizioso Rory si trasferisce con la moglie e i bambini dalla sicura periferia americana in una vecchia villa nel Regno Unito degli anni Ottanta. La loro nuova esistenza si trasforma però presto in un incubo: l'isolamento spinge i componenti della famiglia ad allontanarsi e a dar vita a una spirale di autodistruzione da cui nessuno potrà uscire indenne.


Voto 7

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Il trend di un’era piena di rampanti giovanotti dell’epoca reaganiana era la curva di un grafico con la linea di tendenza che volava in cielo, sempre più su, verso l’illimitata ricchezza che qualcuno, però, doveva pagare. È il tempo dei brokers sulla cresta dell’onda, ammesso che l’imbarcazione reggesse il galleggiamento, dal momento che durante quei burrascosi anni il successo era volatile come una boccata di sigaretta. L’ottimo Sean Durkin, che ha il dono di scegliere solo soggetti difficili da maneggiare (vedere l’eccellente La fuga di Martha), si inerpica su una scoscesa salita verso una famiglia che si sta sgretolando senza accorgersene, mentre ciecamente e bellamente il capofamiglia, broker di successo – più di fama che di fatto -, sprofonda nel fallimento personale, professionale e familiare.

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Rory O’Hara è un intermediario finanziario che a metà anni ‘80 riesce a convincere la perplessa moglie Allison a trasferirsi da New York, città di origine e crescita della donna, a una solitaria, storica e magnifica magione nella campagna del Surrey, inseguendo il sogno del trionfo definitivo del suo lavoro, dopo aver accumulato un discreto successo e danaro in America. Illude la moglie, il loro figlio di 10 anni Benjamin e la prima figlia di lei Samantha mascherando la situazione iniziale con la locazione della sontuosa villa storica e con promesse di fantastici altri acquisti londinesi, mentre lui avrebbe portato in porto il colpo della vita, convincendo l’anziano amico proprietario di una società affermata a vendere ad un’altra impresa, da cui avrebbe ricavato una provvigione da sistemare definitivamente la famiglia e la sua brillantissima carriera. La stima che riceve dagli altri e dal vecchio, che pare lo stimi, almeno apparentemente, non è sincera alla pari delle bugie e dei mancati pagamenti giunti a scadenza che Rory non rispetta, proprio per mancanza di quella liquidità su cui fa tanto affidamento. Soldi che continua a ripetere alla sempre più impaziente moglie siano in arrivo, sempre tra dieci giorni.

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Quando Allison comincia ad intendere i tracolli del marito e le conseguenti menzogne per non ammettere il completo fallimento del sogno inglese e degli affari solo potenzialmente alla sua portata, in aggiunta alla perdita dolorosa del suo amato cavallo Richmond, crolla psicologicamente, soprattutto nei riguardi della fiducia che aveva nell’uomo e decide in conseguenza. Siccome solo quando si tocca il fondo ci si può rialzare, al termine della ripida discesa si può solo rimbalzare, ammesso che il maggior responsabile della pesante situazione si accolli e riconosca umilmente le proprie colpe e la propria vanità, oltre alla presunzione delle capacità che non possono essere infallibili. Il gran rifiuto del suo mentore finanziario, l’abbandono da parte dell’amico più fidato, la moglie che non lo ritiene più affidabile, persino il tassista che lo scarica intuendo il portafoglio vuoto, una serie quindi di sconfitte umane, sociali e professionali riducono Rory ad un cane bastonato che a fatica, ma necessariamente, deve fare ammissione anche verso se stesso (forse l’atto più difficile per un uomo così arrivista) dei problemi che ha causato anche ai suoi più cari. Perfino la madre, che non vedeva da moltissimi anni, lo tratta quasi come un estraneo. Non resta che chiedere perdono tra le lacrime e promettere di cambiare registro e vita, ricominciando da un punto di partenza più modesto ma più realistico. La sequenza finale non è solo rincuorante perché nella vita della famiglia può tornare il sereno, soprattutto è significativa e promettente perché è la figlia Sam - ribelle ma con senso del legame sanguigno, lei che non è figlia di Rory – a compiere il gesto più affettuoso e di perdono di tutto il film: abbraccia il patrigno, gli offre una sedia vicino alla mamma, gli avvicina la colazione. Possiamo ricominciare. Coraggio. Siamo qui, uniti.

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Se è l’era edonistica e reaganiana che il bravo Sean Durkin voleva raccontare e esemplificare con una storia esemplare, ebbene l’autore ci è riuscito: questo è una delle tante vicende che saranno sicuramente accadute in quei furiosi e roboanti anni ’80, dove le borse erano l’epicentro delle ricchezze fluttuanti, dove l’auto di lusso, la scuola elitaria per i figli, i vestiti firmati, i ristoranti stellati con menù per benestanti erano le medaglie che questi giovani arrembanti broker volevano incollare sul petto, tronfi e intemerati futuri portatori di fallimenti finanziari che esplodevano alla prima bolla sgonfiata nei mercati internazionali. E Londra era una delle capitali dei movimenti monetari e borsistici del mondo, unitamente solo a qualche altra capitale nel mondo. Dove meglio può essere ambientata una storia come questa? Facile prevedere che sgonfiandosi la bolla si creasse una situazione come in casa O’Hara: una famiglia destrutturata e fratturata e una donna a pezzi, che si vendica giusto nella notte decisiva per la risalita. Abbandono del tavolo di cena con ospiti ammutoliti, pelliccia costosissima lasciata come mancia alla guardarobiera, ubriacatura in un locale a suon di vodka tonic, ballo solitario a quello di disco, ritorno in villa per piangere sul cadavere del cavallo e casa vandalizzata dalla notte brava della figlia e amici, il mattino che si spera porti i consigli della notte di scorribande. Quel cavallo, sepolto e poi rinvenuto a fior di terreno, è un simbolo dei fallimenti, fortunatamente compensati dall’esistenza dei figli, che possono e devono essere il faro della vita di un uomo e di una donna.

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Illuminante come un profeta nel deserto, il discorso che il tassista rivolge al cotto Rory O’Hara è esemplare:

- Che lavoro fa?

- (lungo silenzio) Faccio finta di essere ricco.

- E come mai finge? Sarà faticoso.

- Lo è.

- Avevo un milione di dollari. Vivevo a New York City e avevo un milione di dollari in banca. Pensavo fosse normale. Ero convinto che sarei stato ricco per tutta la vita e poi con il tempo tutto è finito e ora non ho più nulla.

- Ma lei ha figli?

- Si certo, due.

- E allora di che parla? È l'unica cosa che conta, il resto è una sciocchezza e l'unico motivo per cui siamo sulla terra!... Oltre al calcio. È un bravo padre?

- Sono il migliore! Hanno un tetto sopra la testa, gli faccio avere il meglio e non ho mai messo una mano addosso.

- Ma questo è il minimo, amico, non c'è da vantarsi di questo!

- È molto di più di quello che ho avuto io!

- È normale dare ai figli più di ciò che abbiamo avuto! È la vita, si dia una sistemata e trovi un lavoro con un buono stipendio e tutto andrà bene.

- Voglio di più di questo.

- E allora cosa vuole?

- (lungo silenzio) Veramente non lo so. Non lo so cazzo!.. io non lo so…

Insomma, il buon senso di un lavoratore contro il fanatismo di un arrampicatore sociale, che magari avrà avuto una vita adolescenziale non facile ma che non può giustificare l’immaturità con cui vuole amministrare le ricchezze altrui e la vita propria e di persone che dipendono da lui, i figli in primis.

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Se l’eterno ragazzo Jude Law sa dare la solita impronta ai suoi personaggi, sempre efficacemente, la vera star inaspettata ma grandemente adeguata è Carrie Coon, il cui ruolo di Allison viene esaltato dalla sua brillantissima prestazione: un’attrice che, una volta vista e ammirata qui, meriterebbe un’altra ben più consistente carriera da protagonista. Davvero eccellente! È lei il perno centrale della vicenda che pure gira attorno al Rory del sempre bravo Law, ma stavolta è lei che contempliamo con stupore. La regia di Sean Durkin è attenta e precisa, consapevole delle emozioni e delle reazioni che la vicenda complessa deve offrire e chi gli dà sicuramente una mano è il direttore della fotografia, l’ungherese Mátyás Erdély, già applaudito per i lavori svolti per il premiato connazionale László Nemes (Il figlio di Saul, Tramonto). Una fotografia complice delle intenzioni dell’autore, che ha saputo creare un’atmosfera drammatica, sempre tesa anche nei momenti spensierati, come se invece di un dramma si tratti di un thriller che si affaccia all’horror incombente, come se qualcosa di ineluttabile sia vicino ad accadere. E ciò è tutto merito di una regia che sa dove vuole arrivare.

Un buonissimo film.


 
 
 

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