The Son (2022)
- michemar
- 4 lug 2023
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 20 ott 2023

The Son
UK/Francia 2022 dramma 2h3’
Regia: Florian Zeller
Soggetto: Florian Zeller (opera teatrale)
Sceneggiatura: Florian Zeller, Christopher Hampton
Fotografia: Ben Smithard
Montaggio: Yorgos Lamprinos
Musiche: Hans Zimmer
Scenografia: Simon Bowles
Costumi: Lisa Duncan
Hugh Jackman: Peter
Laura Dern: Kate
Zen McGrath: Nicholas
Vanessa Kirby: Beth
Anthony Hopkins: Anthony
Hugh Quarshie: Brian
William Hope: Andrew
TRAMA: Nicholas, un ragazzo di 17 anni sta attraversando un grave trauma psicologico da quando suo padre ha divorziato da sua madre e si è trasferito in un’altra casa con Beth, la nuova compagna, e il piccolissimo bimbo appena nato. Il ragazzo sembra aver perso interesse per la vita. Sua madre e suo padre fanno del loro meglio per consigliarlo e sottoporlo a una terapia, ma le cose non sembrano funzionare.
Voto 6,5

Florian Zeller è arrivato alla carriera di regista e sceneggiatore per il cinema dopo essersi affermato non solo in patria, la Francia, come autore teatrale e scrittore di romanzi. Dopo il successo dello straordinario The Father – Nulla è come sembra (premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e quello per l’attore protagonista Anthony Hopkins), torna a dirigere, come nel film precedente, un suo soggetto tratto ancora una volta da una sua opera teatrale. Se il primo passo è stato incentrato sulla figura di un padre, ora si avvicina al tema del figlio. E tenendo presente che in precedenza aveva anche scritto su quella della madre, chissà se prossimamente il percorso non si chiuderà anche sullo schermo con un titolo analogo. Il padre, il figlio e la madre: in pratica il segno di croce della vita familiare, con tutti le sue problematiche, le incomprensioni, i dissidi, i sentimenti e le malattie che sopraggiungono, soprattutto quelle degenerative conseguenti alla vecchiaia, come è successo nel bellissimo film su citato.
Ancora una volta il regista inquadra un problema riguardante i rapporti familiari ma di nuovo non considerati da soli ma unitamente alle negative conseguenze della presenza di una malattia: lì la demenza senile, qui un disagio giovanile così profondo da turbare la giovane esistenza di un adolescente nel momento cruciale della crescita anche mentale. Un disagio che proviene dal profondo della mente e non dall’organismo carnale: la separazione tra due coniugi, i genitori. Che un figlio, giovane o piccolo, possa soffrire del distacco tra le due persone che stanno segnando la sua crescita è risaputo, normale, prevedibile. Che possa essere un trauma superabile non è invece detto, anzi molto spesso è causa di disturbi psicologici profondi e sconquassanti. Per esempio questo caso.
Due anni dopo il divorzio dei genitori, il diciassettenne Nicholas (Zen McGrath) non riesce più a vivere con sua madre Kate (Laura Dern). Il male di vivere che sente è diventato una presenza costante e il suo unico rifugio sono i ricordi dei momenti felici di quando era bambino. Lei neanche si accorge, se non avvisata dalla preside, che il figlio non frequenta la scuola da mesi. Una volta messa al corrente, la donna cerca un chiarimento dal figlio, che si mostra ormai sconfitto dalle circostanze e totalmente sfiduciato. Il ragazzo confida al padre Peter (Hugh Jackman) le sue difficoltà e gli confessa di volersi trasferire in casa sua, anche se vive con la nuova compagna Beth (Vanessa Kirby) e da cui ha appena avuto un figlio. Peter prova a occuparsi di Nicholas pensando a come avrebbe voluto che suo padre si prendesse cura di lui ma nel frattempo cerca di destreggiarsi tra questa nuova combinazione familiare e la prospettiva di un’allettante carriera politica a Washington a supporto di un candidato alle elezioni presidenziali. Tuttavia, mentre cerca di rimediare agli errori del passato - sempre tenendo a mente i difficili rapporti con il padre Anthony (Anthony Hopkins) - si accorge in ritardo di perdere di vista il presente di Nicholas. Anche perché nel frattempo, il giovane non è migliorato affatto, è sempre più prigioniero della sua ellissi negativa, sta continuando a mentire sulla frequenza nella nuova scuola, piange, non frequenta nessuno ed è sull’orlo dell’imminente collasso mentale. A nulla serve un precipitoso ricovero in una clinica specializzata.
Il titolo riferito al figlio può ingannare. Il giovane Nicholas è il personaggio attorno al quale gira tutta la tragica vicenda ma il film, invece, ruota nella sfera del genitore che non riesce a capire a fondo i problemi che affliggono il figlio. O meglio, non è in grado di afferrarlo in tempo nella sua caduta nel vuoto esistenziale, trovandosi, per comprensibile scelta, nella posizione di divorziato che ha lasciato la famiglia per una vita più felice, che è pur sempre una decisione legittima. Ma fino a che punto, c’è da chiedersi, è giusta quando conduce ad una grave condizione mentale il più fragile dei componenti, cioè un figlio che resta totalmente destabilizzato? In parte chiarificatrice è la scena in cui il protagonista Peter incontra l’anziano padre, in cui è possibile notare quali difficoltà ha vissuto il primo nella vita familiare a causa di un padre assente e notevolmente egoista (da osservare la distanza dei due uomini seduti a tavola…). Gli errori, infatti, spesso si ripetono nelle generazioni. Se si esclude una danza domestica in cui, sulle note della epocale hit di Tom Jones It's Not Unusual, Peter impartisce al figlio un’improbabile lezione di ballo, il film è un dolente e disperato viaggio al termine di una famiglia devastata dal divorzio. E nemmeno la madre biologica (interpretata da Laura Dern) o quella acquisita (la bravissima Vanessa Kirby) possono fare alcunché. Inevitabilmente e incontrollato, Nicholas si perde per le strade di New York nelle cui strade avverte come la cosa più terribile è sentirsi soli in mezzo alla gente. Come in famiglia, l’una o l’altra. Soprattutto perché la depressione è un animale molto cattivo che azzanna e distrugge. L’apice della drammaticità si raggiunge al momento della decisione, molto responsabile ma rifiutata, da parte di Peter e Kate al momento di acconsentire allo psichiatra di far ricoverare fino alla guarigione il loro figlio: ben differente è decidere col cuore e i sentimenti oppure con la testa e la razionalità.
Una delle caratteristiche che colpisce è vedere Hugh Jackman in un ruolo così drammatico e difficile da interpretare, tanto lontano dai ruoli che solitamente affronta e certamente sa cavarsela, anche se personalmente sarei stato curioso di vedere ben altro attore più portato. A prescindere poi dalla bravura di Laura Dern e dell’incommensurabile Anthony Hopkins, ancora una volta alla corte di questo valente regista, non posso fare a meno che elogiare Vanessa Kirby, che non vedevo da molto e che avevo profondamente ammirata nel drammatico Pieces of a Woman per il quale aveva vinto meritatamente la Coppa Volpi a Venezia nel 2020: una interpretazione tremendamente significativa e che le aveva dato modo di mostrare tutta la sua valenza. Un’attrice che meriterebbe molto di più nel panorama mondiale.
Tirando le somme, Florian Zeller è molto bravo, anche se questa volta è un gradino sotto al suo successo precedente (The Father è di un altro livello) e vale la pena leggere la sua considerazione: “Il film racconta la storia di un padre che non possiede gli strumenti per comprendere quello che sta accadendo a suo figlio. È un genitore amorevole, premuroso che fa del suo meglio per aiutare un ragazzo che sta attraversando una crisi. Ma non riesce a comprenderne i motivi che neanche noi comprendiamo. Non sa se sia legata all'adolescenza o dettata da un disagio più profondo. E quello che scopre è che tutti i suoi sforzi non sono sufficienti e che l'amore non può bastare in certe situazioni.” Sì, non basta ripetere ti voglio bene o che si è disposti a tutto (tanto è vero che l’uomo decide di rinunciare alla carriera che gli si stava prospettando): ci vuole molto di più in certi casi. E a volte, di sicuro, non basta neanche. E questa storia lo dimostra. E se in questa occasione il regista non riesce a ripetersi allo stesso livello, la difficoltà sta proprio a far coincidere con quella di tradurre in parole quel male indicibile chiamato depressione, in cui spesso il malato sa fingere e trarre in inganno chi vuole salvarlo. Piuttosto il difficile è anche nel sapersi muovere nonostante la visione attonita in cui un genitore si ritrova prigioniero. Perché, in questo campo, nulla è razionale.
Riconoscimenti
2023 - Golden Globe
Candidatura per il miglior attore in un film drammatico a Hugh Jackman
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