The Unforgivable (2021)
- michemar

- 15 dic 2021
- Tempo di lettura: 5 min

The Unforgivable
Germania/USA/UK 2021 dramma 1h52’
Regia: Nora Fingscheidt
Soggetto: Sally Wainwright (miniserie Unforgiven)
Sceneggiatura: Peter Craig, Hillary Seitz, Courtenay Miles
Fotografia: Guillermo Navarro
Montaggio: Stephan Bechinger, Joe Walker
Musiche: David Fleming, Hans Zimmer
Scenografia: Kim Jennings
Costumi: Alex Bovaird
Sandra Bullock: Ruth Slater
Vincent D'Onofrio: John Ingram
Viola Davis: Liz Ingram
Jon Bernthal: Blake
Richard Thomas: Michael Malcolm
Linda Emond: Rachel Malcolm
Aisling Franciosi: Katherine “Katie” Malcolm
Emma Nelson: Emily Malcolm
Rob Morgan: Vincent Cross
Tom Guiry: Keith Whelan
W. Earl Brown: Mac Whelan
Will Pullen: Steve Whelan
TRAMA: Ruth Slater esce di prigione dopo una condanna per un crimine violento e si reinserisce in una società che si rifiuta di perdonare il suo passato. Mentre affronta giudizi negativi nei luoghi dove un tempo si sentiva a casa, si rende conto di avere un'unica speranza di redimersi: ritrovare la sorella più piccola che suo malgrado aveva abbandonato.
Voto 7

Dietro una donna detenuta a lungo in carcere c’è sempre una storia difficile, c’è sempre una causa importante o circostanze drammatiche che l’hanno indotta a commettere odiosi crimini. Figuriamoci se il reato commesso è un omicidio, come è successo a Ruth, la protagonista di questo film. Ovvio che è giusto fare le stesse considerazioni per gli uomini, ma se una donna si è spinta fino a togliere la vita ad un’altra persona l’aspetto sociologico può assumere una configurazione più particolare: perché una donna ancora giovane come questa (e così anche nei casi simili) ha dovuto sparare addirittura ad un poliziotto che, come si scopre, conosceva e riteneva una brava persona, generosa e dotata di umanità? La regista tedesca Nora Fingscheidt ha realizzato questo film anglo-germanico negli Stati Uniti ad opera di un gruppo di produttori, tra cui la stessa attrice protagonista Sandra Bullock, perché molto interessata ai motivi che fanno scattare la molla nella mente di una persona che si macchia di assassinio. La storia scritta da Peter Craig, Hillary Seitz e Courtenay Miles – sulla base della serie TV di Sally Wainwright Unforgiven, non perdonata, come il titolo “imperdonabile” – l’ha fortemente intrigata perché racconta di un'esperienza verosimile che coinvolge il pubblico e lo invita a mettere insieme i pezzi del puzzle.

Verosimile, come dice lei, è infatti la vicenda drammatica che è a monte della trama: la giovane ragazza Ruth viveva da sola con la sorellina Katie di 5 anni in una casa nella campagna dopo che la madre era morta durante il parto ed il padre si era suicidato qualche anno dopo. Lei l’aveva allevata come una mamma e quando l’amministrazione della cittadina ingiunse di lasciare quella casa a causa di uno sfratto, decise di barricarsi ribellandosi al provvedimento che riteneva ingiusto, con la polizia che circondava la zona. Per difendere l’ultimo baluardo della loro famigliola, un colpo di fucile colpì il buon sceriffo che tentava di entrare: la ragazza si consegna alla giustizia per scontare la pena mentre la piccola Katie venne adottata da una famiglia. Il carcere divenne una dura scuola di vita, mentre il pensiero era sempre rivolto alla sorellina che, essendo allora ancora troppo piccola, forse si era dimenticata dell’amore che le riversava. Un incubo nella cella e nella mente. Dopo 20 anni di detenzione, Ruth viene dimessa e fuori l’attendono due compiti, uno che ha cullato per tutto quel tempo (ritrovare e riabbracciare la sorella ormai cresciuta), l’altro che non si immagina neanche: i due figli dello sceriffo ucciso hanno la chiara intenzione di vendicarsi.

Ruth non ha altro in mente: poter rivedere Katie, stringerla fra le braccia, ridare quell’amore che le vicende sventurate hanno dovuto interrompere. Ma lei, ritenuta ora un soggetto pericoloso, non ha il permesso di cercarla e avvicinarla, dato che vive felicemente nella famiglia Malcolm assieme ad una nuova sorella adolescente. L’adorano tutti, sta diventando una provetta pianista, la proteggono e non vogliono che Ruth si faccia viva. Ha solo vaghissimi ricordi del brutto episodio e quasi alcuna traccia della sorella, se non lampi di memoria che non riesce ad interpretare. L’ex detenuta, seguita dall’agente addetto alla sorveglianza Vincent Cross che controlla affinché la donna si reinserisca nella società e trovi un lavoro, trova due occasioni come operaia e falegname e tramite un avvocato, John Ingram, che oggi abita proprio nella casa mai dimenticata, la aiuta a rintracciare la famiglia Malcolm, almeno per sapere che la ragazza stia bene e sia felice. Le vicende non andranno mai bene, gli imprevisti ci saranno e tanti e i due figli dello sceriffo sono sempre più minacciosi per portare a termine il loro malefico piano di vendetta. Il drammatico finale però ci svelerà una verità molto diversa da come era stata raccontata 20 anni prima e tutto sarà ribaltato nel momento più tragico del finale.

L’operazione della regista Nora Fingscheidt è quella di mostrarci una donna ricca di contraddizioni: ha commesso un orribile delitto, eppure non si riesce a non simpatizzare e fare il tifo per Ruth. Tutti vorremmo aiutarla, sorreggerla, consigliarla, ma ha un carattere volitivo e indurito dal carcere e dalle vicende personali, dal maltrattamento che continua a subire anche fuori, anche nell’ambiente di lavoro. È persino imprevedibile, per certi versi, e non si può presumere come si comporterà ancora, quale decisione prenderà per realizzare il suo sogno che non ha mai e poi mai accantonato. La sua missione della vita è vedere chi è diventata Katie, come vive, se è felice. Appurare se si ricorda di lei, che ha rappresentato l’unico scopo di sopravvivenza nel carcere. Fino a che punto è disposta a spingersi, dato che la legge le vieta di avvicinarsi alla sorellina? Il caso di Ruth è quello di tutte le donne che vengono condannate al carcere, peggio se con figli piccoli che vengono tolti dalla giustizia. Cosa succede quando escono? Chi e come le aiutano? Come fanno a reintegrarsi se il mondo esterno è ostile, anche se hanno tutta la migliore volontà? Sono marchiate a vita, sono quelle che hanno ucciso e si teme che lo facciano ancora. Sul viso hanno i segni del vissuto e delle paure per il futuro. Spesso, la società si dice pronta a fare il possibile ma non sempre accade.


Sandra Bullock ha di sicuro creduto ciecamente nel progetto e per questo lo ha prodotto e interpretato nella sua maniera migliore. Si è imbruttita come da copione classico (inutile far battute ironiche, dato che lei non è mai stata bellissima, ma carina e simpatica sì), capelli lunghi e incolti, infagottata peggio, trasandata e soprattutto imbronciata fino all’arrabbiatura più insopportabile, pronta ad alzare le mani se necessario e ammaccata quando viene pestata dopo che il suo passato viene a galla. Se imbruttirsi è valso tante volte l’Oscar (vedi Nicole Kidman o Charlize Theron), il tentativo della Bullock non può ritenersi all’altezza, sia per qualche manchevolezza del film, sia perché la sua omicida (teorica, eh, no spoiler!) ruvida e incattivita non convince del tutto. Qualche critica è comprensibile, ma i giudizi della stampa specializzata sono stati eccessivamente ingenerosi e l’indice di gradimento sulle piattaforme streaming non è stato esaltante. Invece, per chi scrive, il film è apprezzabilissimo e in alcuni momenti l’attrice si rende credibile, da eccepire molto poco. Se non per un finale (dai risvolti sorprendenti) che diventa abbastanza accomodante e lascia appena in sospeso. Perlomeno il miracolo avviene! Qualche personaggio, come l’avvocato del pacato Vincent D’Onofrio, sparisce dopo la prima metà, qualche altro, come la moglie di questi, l’impareggiabile Viola Davis, ha un destino opposto, mentre quello dell’angelo custode buono-cattivo dell’agente di sorveglianza è intermittente, come però è giusto che sia.

È indubbiamente uno schema abituale, un plot quasi prevedibile, persino la sorpresa lo è fino ad un certo punto, ma è davvero il classico film americano che può riempire la serata, dipingendo ancora una volta l’America dalle mille facce che ha colorato gli schermi della storia del cinema. Sandra Bullock, può piacere o meno, ha dato tutta se stessa e ciò è obiettivamente onestà artistica, molto meglio di The Blind Side, il suo Oscar.






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