The Wife - Vivere nell'ombra (2017)
- michemar

- 12 giu 2019
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 14 giu 2023

The Wife - Vivere nell'ombra
(The Wife) UK/Svezia/USA 2017 dramma 1h39’
Regia: Björn Runge
Soggetto: Meg Wolitzer (romanzo)
Sceneggiatura: Jane Anderson
Fotografia: Ulf Brantås
Montaggio: Lena Runge
Musiche: Jocelyn Pook
Scenografia: Mark Leese
Costumi: Trisha Biggar
Glenn Close: Joan Castleman
Jonathan Pryce: Joe Castleman
Christian Slater: Nathaniel Bone
Max Irons: David Castleman
Elizabeth McGovern: Elaine Mozell
Alix Wilton Regan: Susannah Castleman
Annie Starke: Joan Castleman giovane
Harry Lloyd: Joe Castleman giovane
TRAMA: Joan Castleman è stata per quarant'anni la moglie perfetta. All'ombra del carismatico marito Joe, ne ha favorito la carriera da scrittore e ne ha ignorato l'infedeltà, accettando compromessi e bugie. Joan, però, ha raggiunto il suo livello massimo di sopportazione e, alla vigilia del premio Nobel al marito, decide di riprendersi in mano la sua esistenza, riscoprendosi come donna.
Voto 7

Chissà chi è stata la prima persona a dire o a scrivere che “dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna”, chissà. Di certo è che spesso succede così, come altrettanto è certo che questa frase nasconde sempre qualche grado di maschilismo: perché “grande” è l’uomo e perché per essere forte deve trovare l’appoggio morale di una donna che sa appoggiarlo e sostenerlo sempre e soprattutto nei momenti decisivi? Raramente si viene a sapere che una donna ha saputo scrivere o inventare o realizzare qualcosa perché è dotata e brava ed ha avuto il sostegno del suo uomo. Questo film intanto mette in discussione quel concetto che continuiamo a ripetere e svela un dietro-le-quinte sorprendente, spiazza e rivela, ridiscute fragorosamente quella considerazione tradizionale. Può sembrare un thriller psicologico, poi invece si dispiega in maniera tale che ognuno di noi comincia a intuire la verità celata, inizia a vedere più chiaro nei rapporti vecchi e attuali della coppia protagonista solo quando si alza la nebbia che offuscava la realtà. Quella frase che fa parte della nostra ordinarietà rappresenta solo una metafora, eppure tante volte si rivela illuminante.

Sulla scena troviamo da una parte troviamo Joan Castleman, una donna intelligente ancora bella e soprattutto una moglie devota e affezionata al partner di una vita, una vera e propria compagna al servizio della celebrità che l’ha sposata. Da quarant'anni sacrifica talento e ambizioni per sostenere la carriera letteraria del marito Joe, aiutandolo, suggerendogli soluzioni, come una segreta ghost-writer, giustificando con pazienza le sue numerose scappatelle. A lui un giorno, inaspettatamente, arriva una telefonata magica: gli è stato assegnato il Premio Nobel per la letteratura, e la notizia clamorosa che li sorprende non poco – soprattutto Joe – rompe quell’equilibrio e nulla potrà essere come prima. Il motivo per cui la coppia così affiatata perde definitivamente la serenità diventa il filo conduttore della trama, esplode come dinamite e distrugge tutto. Joan si risveglia dal coma mentale che l’ha accompagnata per decenni e si rende conto che i sacrifici che ha compiuto per una intera vita non le saranno mai più riconosciuti. Il suo orgoglio di donna e di scrittrice in ombra si sveglia chiedendo ad alta voce e con forza giustificata almeno la riconoscenza morale del suo operato. Diventa insomma più difficile per Joan fare l'accompagnatrice, coinvolta in pomeriggi di shopping a Stoccolma, di un marito che va alle prove della cerimonia, consapevole come è di avere anche lei il diritto a un legittimo riconoscimento. Ne conseguono scene madri, ammissioni, pentimenti, ripicche, scongiuri, annunci di addio, sotto lo sguardo attonito del loro figlio David e con il lavoro sotterraneo di un giornalista scrittore, Nathaniel Bone, che in qualità di biografo non ufficiale (e non voluto) da giorni incalza la signora Castleman essendosi convinto di una allarmante ipotesi: gli scritti giovanili di Joe sarebbero molto diversi dai celebrati volumi della maturità, ma stranamente somiglianti all’unico racconto pubblicato da Joan
Il quadro è questo e negli stretti ambienti dove si sviluppa (la casa della coppia, la stanza dell’hotel di Stoccolma che la ospita, l’aereo con cui si reca in Svezia) si consumerà la battaglia tra i due coniugi, la verità salterà fuori come una bomba atomica e nulla sarà più come prima. Nel frattempo, noi spettatori intuiremo molto presto come si erano svolti i fatti nei primi anni della convivenza coniugale e letteraria tra Joan e Joe.

La regia di Björn Runge non influisce più di tanto, perché gli è bastato lasciare mano libera ai due attori e il lavoro è venuto facile: troppo bravi per una regia anonima. A tutti è venuto in mente che se su quella sedia si fosse seduto un autore più in grado di trasmettere la tempesta coniugale e psicologica oggi staremmo parlando di ben altro film. Il regista svedese dice: “Per me questo film è come la musica; il modo in cui Glenn Close e Jonathan Pryce recitano mi fa pensare a due strumenti solisti che suonano insieme. Durante il montaggio è stato impossibile per me separare la storia dalla loro interpretazione, avevano la capacità di incorporare la sceneggiatura nella loro recitazione in modo profondamente affascinante. Non è insomma solo una storia plot-driven basata sulla trama. La mia ambizione è trovare il modo di lasciare liberi gli attori. Si tratta di trovare la musica della sceneggiatura, di lasciarla oscillare. Nella migliore delle ipotesi il pubblico condividerà lo swing durante i momenti salienti del film. Il romanzo della Wolitzer, pubblicato nel 2003, parla di amori, segreti, tradimenti e famiglia, ma si addentra anche nella vita di un vincitore di premio Nobel. La sua struttura mi ha ricordato i miei primi lavori teatrali. A differenza del romanzo, c'è nel mio film un ruolo maggiore assegnato al figlio David, che con il suo punto di vista permette di comprendere meglio gli eventi che si celano dietro alla passione, all'ambizione e ai compromessi dei genitori e della loro quarantennale relazione (la storia è ambientata negli anni Novanta ma ci sono continui flashback agli anni Cinquanta e Sessanta)."

Come sempre Jonathan Pryce è ammirevole, ma sullo schermo appare un gigante di nome Glenn Close a cui è stato scippato in maniera scandalosa lo scettro del Premio Oscar quale miglior attrice 2019. Una sequenza impressionante di movimenti minimi delle sopracciglia, di sguardi lanciati come frecce, di smorfie che parlano da sole, di ammiccamenti che incantano. Una interpretazione (da ascoltare ovviamente in originale) memorabile, frutto di tanti anni di set e di palcoscenici, un’attrice sempre brava ma che è arrivata al top, dopo tanti tipi di donne che hanno segnato la carriera: dalla Sarah, moglie traditrice de Il grande freddo, all’amante folle e inarrestabile di Attrazione fatale, e poi alla Marchesa di Merteuil de Le relazioni pericolose, alla moglie de Il mistero di Von Bulow, al travestimento di Albert Nobbs. Tanti personaggi diversificati fino ad arrivare a questo capolavoro di recitazione.

Un apprezzamento lo farei volentieri anche a quell’eterno ragazzone che è Christian Slater, il giornalista insospettito, le cui sopracciglia arcuate e gli occhi spiritati ben si confanno a quel personaggio che ricorda un diavoletto che è arrivato all’improvviso per scoperchiare la pentola delle menzogne.
Un dramma coniugale quindi, di chiara impronta teatrale, che poteva essere un’opera più compiuta se Björn Runge non si fosse accontentato del minimo della regia, ma che comunque resta un buonissimo film ingigantito da due attori eccellenti.

Riconoscimenti
2019 - Premio Oscar
Candidatura per la migliore attrice protagonista a Glenn Close
2019 - Golden Globe
Migliore attrice in un film drammatico a Glenn Close






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