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This Is Where I Leave You (2014)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 5 apr 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 28 ago 2021


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This Is Where I Leave You

USA 2014 commedia 1h43’


Regia: Shawn Levy

Soggetto: Jonathan Tropper (romanzo)

Sceneggiatura: Jonathan Tropper

Fotografia: Terry Stacey

Montaggio: Dean Zimmerman

Musiche: Michael Giacchino

Scenografia: Ford Wheeler

Costumi: Susan Lyall


Jason Bateman: Judd Altman

Tina Fey: Wendy Altman

Adam Driver: Phillip Altman

Jane Fonda: Hillary Altman

Corey Stoll: Paul Altman

Kathryn Hahn: Annie Altman

Rose Byrne: Penny Moore

Timothy Olyphant: Horry Callen

Connie Britton: Tracy Sullivan

Abigail Spencer: Quinn Altman

Dax Shepard: Wade Boulanger

Aaron Lazar: Barry Weissman

Ben Schwartz: rabbino Charles Grodner (“Erezione”)

Debra Monk: Linda Callen


TRAMA: La vita di Judd Altman è appena andata in pezzi: ha sorpreso la moglie Quinn a letto con Wade, il suo capo. Poco dopo questo evento, Judd riceve una telefonata da sua sorella Wendy, che gli comunica che il padre è morto in seguito a una lunga malattia. Gli Altman si riuniscono così per il funerale del capofamiglia e scoprono che nelle sue ultime volontà ha richiesto che venga celebrata la shiva, un periodo di lutto in cui per sette giorni l'intera famiglia dovrà stare sotto lo stesso tetto ricevendo parenti e amici per le condoglianze. La convivenza forzata tra i quattro fratelli e la madre porta ben presto a galla antichi dissapori e segreti inconfessabili.


Voto 7,5

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Basato sull'omonimo best seller di Jonathan Tropper e diretto da Shawn Levy, un regista canadese conosciuto per diversi film brillanti e pieni di tempi ritmici di comicità, spesso sfruttando le abilità di grandi commedianti (parlo di film come Una notte al museo, Una notte al museo 2 - La fuga, Notte folle a Manhattan, La pantera rosa, Una scatenata dozzina), questa simpaticissima commedia racconta le vicissitudini dei quattro fratelli Altman, costretti a tornare nella casa di famiglia in seguito alla morte del padre. Per una settimana, gli Altman dovranno condividere la residenza con la madre e un assortimento vario di coniugi, ex e amori futuri, tra relazioni complicate, isterismi, caos, angosce e redenzioni.

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È un film corale che vede non solo i quattro fratelli (Judd, Paul, Wendy e Phillip) riunitisi dopo anni, ma anche la mamma Hilary, nota psicologa infantile, che organizza secondo il volere del marito appena defunto (almeno per ciò che afferma lei, assecondando le ultime volontà del consorte, ma alla fine scopriremo che è una bugia) il classico lutto di una settimana chiamato shiva come previsto dalla tradizione ebraica. Loro non sono degli osservanti stretti, anzi alla religione non pensano mai, tanto che loro stessi, in occasione della riunione, ricordano che il patriarca di casa si definiva un ebreo ateo, ma il rito, almeno per le apparenze e per la tradizione dei parenti e degli amici, ritengono vada rispettato. Anche perché, come prima detto, pare che fosse la volontà del morto. Ma chissà. Arrivano tutti dalle rispettive vite, molto differenti, da posti diversi, da professioni le più disparate, ognuno con le proprie esperienze di coppia.

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La trama è centrata sul maggiore di loro, Judd, un produttore radiofonico che, illuso di avere una bella vita matrimoniale, scopre nel loro letto la moglie con il suo “boss”, come lui lo chiama. Gli crolla addosso il mondo, contemporaneamente alla funesta notizia della morte del padre. Quale migliore occasione per partire e lasciare la moglie? La settimana che rappresenta il lutto si trasforma così in una concitata occasione di confidenze, di litigi, di discussioni, di sfogo e di chiarimenti con il resto della famiglia, (trat)tenuta dalle briglie di una mamma volitiva e grintosa, che si è appena rifatto il seno, spesso messo in bella mostra tanto da far sentire imbarazzato proprio Judd che la prega di usare anche una seconda cintura. C’è chi va d’accordo, chi non riesce ad avere figli, nonostante la buona volontà e l’impiego dei mezzi medici, chi rimpiange gli amori lasciati, chi le occasioni perse nella vita. Ce n’è di ogni tipo tanto che pur essendo solo quattro figli sembrano una moltitudine viste la varietà delle problematiche personali e familiari.

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La trama, la spumeggiante sceneggiatura (scritta dallo stesso autore del romanzo Jonathan Tropper) perfettamente in pieno spirito di umorismo ebraico sempre a cavallo tra la ferocia e il sarcasmo, di comicità nera e spietata, total yiddish, e una regia felicissima contribuiscono a costruire un’opera che non conosce pause, tra un litigio e un bacio, un pettegolezzo a una carezza, tra verità nascoste e bugie urlate in faccia per ferire il congiunto. Una cattiveria tira l’altra comodamente smorzate da sinceri gesti di affetto. Ma anche di grande effetto, perché tutto risulta efficacemente brillante e divertente, come capita poche volte. Ogni personaggio viene descritto così bene, tramite i dialoghi e le (dis)avventure della loro vita che scopriamo man mano, che alla fine ci si accorge di averli conosciuti alla perfezione. Il buon Judd, sempre disponibile, pronto a dire sì a tutti, guardandoli con comprensione, bistrattato dalle sorti coniugali e perennemente innamorato del vecchio amore lasciato in città. Wendy, l’unica figlia femmina, che, come da quadro classico, si è spesso occupata come una seconda mamma dei fratelli, in particolare di Judd, di cui è la prima a scoprire la storia del tradimento e subito cerca di consolarlo; anche lei, irritata dal marito che pensa troppo al lavoro, ritrova l’antica fiamma. Paul ha ereditato il negozio del padre e non riesce ad avere figli dalla sua Annie e litiga sempre con il più piccolo fratello. L’ultimo di età è appunto Phillip, uno scavezzacollo, sempre dietro le gonne, instabile da punto di vista sentimentale, si presenta con la sua psicanalista, che ha quasi l’età della madre, a bordo di una potente Porsche (di lei, ovviamente). Più diversi di così non potrebbero essere. A questi si aggiunge il resto della fauna che abita un affollato racconto sempre frizzante, sempre sgusciante perché succede continuamente qualcosa, persino che la moglie fedifraga di Judd, Quinn, si presenti inopinatamente in casa e per un motivo eclatante.

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Al termine della settimana di lutto ognuno deve tornare alla propria base, alla vita di sempre e c’è qualcuno che torna caratterialmente più ricco, altri che riprendono la loro vita insipida ma piena di speranze. Judd sceglie di farlo con la rombante auto del fratellino, così imparerà a non lasciarla aperta e con le chiavi nel cruscotto come fa sempre. La mamma Hilary non resterà sola, però, perché lei sbalordirà tutti con il finale inatteso che scuote ancora una volta lo scenario: una trovata simpatica e adatta per una commedia che sorprende continuamente, quindi anche prima che ognuno riprenda il trantran che aveva momentaneamente lasciato.

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Il cast? Favoloso! Attori molto più che in palla: basta leggere la lista delle attrici e degli attori e ci si rende subito conto che prima di tutto non mancano i nomi più affezionati al bravo Shawn Levy, iniziando proprio da Tina Fey, presente anche in precedenza in alcuni altri film del canadese, a cui si aggiungono eccellenze come Jane Fonda, Adam Driver, Rose Byrne, il sorprendente Corey Stoll, Kathryn Hahn e vari altri, ma su tutti c’è un solo nome: Jason Bateman. Da standing ovation! Che fosse simpatico e bravo era risaputo, sono tante le dimostrazioni che ha dato, ma così in forma ed efficace veramente poche volte, e non perché era meno bravo quelle altre volte ma solo perché in questa occasione è andato oltre ogni aspettativa. Formidabile, degno di un premio speciale, qualsiasi, ma meritevole.

Una commedia intelligente e riuscita come poche, una vera scoperta di un film nascosto.


 
 
 

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