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Togo - Una grande amicizia (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 7 feb 2024
  • Tempo di lettura: 6 min

Togo - Una grande amicizia

(Togo) USA 2019 biografico/avventura 1h53’

 

Regia: Ericson Core

Sceneggiatura: Tom Flynn

Fotografia: Ericson Core

Montaggio: Martin Pensa

Musiche: Mark Isham

Scenografia: John Blackie

Costumi: Wendy Partridge

 

Willem Dafoe: Leonhard Seppala

Julianne Nicholson: Constance Seppala

Christopher Heyerdahl: George Maynard

Richard Dormer: Curtis Welch

Michael Greyeyes: Amituk

Michael McElhatton: Jafet Lindeberg

Michael Gaston: Joe Dexter

Jamie McShane: Scotty Allan

Zahn McClarnon: Tulimak

Nikolai Nikolaeff: Dan Murphy

Thorbjørn Harr: Charlie Olsen

Shaun Benson: Gunnar Kaasen

 

TRAMA: La storia di Togo, il cane da slitta che guidò la corsa del siero del 1925 eppure era considerato dai più troppo piccolo e debole per condurre una corsa così intensa.

 

Voto 6,5

Ci si avvicina sempre scettici ai film che narrano di piccoli (grandi) eroi che compiono un’impresa titanica per il timore che il regista abbia la irresistibile voglia di esaltare troppo il fatto per renderlo appassionante al pubblico. Poi, magari, si scopre che non solo l’autore ha saputo confezionare l’opera in modo soddisfacente e inoltre che il fatto narrato è così stupefacente che meritava di essere ricordato e messo sullo schermo. In verità, di eventi eccezionali è piena la storia dell’uomo e quelle avvenute tanto tempo fa (in questo caso è trascorso un secolo) e in terre così lontane dalle città sviluppate e vissute da essere pressoché ignorati, sconosciuti. Qui siamo addirittura nella tundra glaciale dell’Alaska, dove oltre ai piccoli villaggi ci sono le fattorie sparse per il vasto e disabitato territorio, dove ci si muove con le slitte trainate dai cani e le mandrie di renne vagano alla ricerca di pascoli durante il periodo estivo. Qui, nei dintorni di Nome, una cittadina sulla costa meridionale della penisola di Seward che si affaccia sul Mare di Bering, scoppiò una grave epidemia di difterite tra i bambini e data la mancanza di medicine adatte a salvarli, bisognava andare a fornirsi, in pieno inverno, del siero necessario per guarirli: l’unico sistema che sembrava adatto, in un periodo dell’anno proibitivo, fu quello di una staffetta tra una ventina di slitte guidate dei cosiddetti musher (il conducente di una muta di cani da slitta, termine derivante dall’inglese mush (avanti), detto anche sleddog (da sled, slitta e dog, cane). Il percorso da compiere era di circa 1.100 chilometri! In inverno inoltrato.

Leonhard (Willem Dafoe) è un brav’uomo, e lavora allevando husky siberiani assieme alla dolce moglie Constance (Julianne Nicholson). Con la sua muta si sposta con coraggio, come gli altri, tra le nevi e le asperità della regione, in cui nella stagione più difficile si raggiungono temperature bassissime. Quando si sparse l’epidemia, nel 1925, si fece subito avanti per partecipare alla staffetta e la gente del posto sapeva di contare su una persona molto affidabile ed esperta. Anni prima avevano accolto un cucciolo appena nato e mentre lui insisteva nel darlo via immediatamente perché piccolo e debole la donna lo convinse a farlo crescere assieme agli altri. Il piccolo e paffutello Togo si rivelò presto essere simpaticamente indomabile, una peste che scappava costantemente dal canile per unirsi agli altri quando il padrone usciva per addestrarli. Non c’era verso di tenerlo chiuso: trovava sempre il modo per uscire da ogni costrizione e obbediva solo se lo si metteva al guinzaglio per tirare la slitta assieme al resto della muta. Crescendo dimostrò, e Seppala seppe intuirlo, di essere un vero leader del gruppo e di avere una forza fisica e istintiva incredibile, capace di resistere a qualsiasi sforzo. Il legame che nacque tra l’uomo e il cane, confortato dall’affetto della donna, diventò forte, potendo egli contare sempre sulla sua affidabilità.

L’impresa eroica non la cercavano ma divenne necessaria perché, durante il trasporto della medicina necessaria al dottore di Nome per salvare la vita dei bambini, il viaggio di Leonhard divenne oltremodo difficoltoso dovendo, a causa delle condizioni climatiche impossibili, attraversare una zona inospitale durante una tempesta di vento e neve, con la superficie dei laghi e dei fiumi che si rompeva. Dovette, per necessità, percorrere un tragitto lungo addirittura di 425 chilometri mentre gli altri della staffetta ne avevano compiuto in media circa 50 ciascuno. Un gesto più che eroico perché più vicino all’impossibile che al concepibile. Una prodezza ai limiti dell’umano, un avventuroso viaggio che nessuno avrebbe mai pensato di completare. Togo era ormai anziano e nessuno avrebbe puntato su di lui, ma il suo padrone conosceva le qualità straordinarie di quel cane, dotato non solo di grande forza, ma anche di obbedienza cieca e dedizione non tanto al lavoro, quanto all’uomo che lo aveva accolto tanti anni prima. Se era ammalato guariva sempre miracolosamente, se era stremato e zoppicante non si arrendeva e non c’era modo di tenerlo a riposo. L’impresa fu titanica e ne scrisse tutta la stampa della regione e oltre. Purtroppo, alla storia e alla gloria fu portato un altro cane, Balto, il cui nome fu scritto sui giornali per un equivoco e su cui, nei decenni a seguire, nacquero storie e leggende, persino film. Questo di Ericson Core ne rende giustizia.

I nomi centrali, dunque, sono due Leonhard e Togo: una persona ferma e valoroso e un bellissimo cane che sullo schermo conquista il cuore del pubblico, che intenerisce da cucciolo e entusiasma da grande. La bravura del casting, se si può usare in questo caso, è di aver trovato e addestrato nel migliore dei modi il cane, tra l’altro molto bello, mentre il regista l’ha esaltato seguendolo da vicino e in primo piano per mostrare l’efficienza e la bellezza, quegli occhi chiari come due spie del suo spirito indomito e ardimentoso. Due personaggi legati come padre e figlio (la coppia protagonista non ne ha nel film, nella vita ebbero una figlia), che soffrono quando uno dei due non sta bene, che gioisce se l’altro è felice, che non possono mai più separarsi. L’ennesima dimostrazione di come, a volte, il rapporto tra un uomo e un animale sia più sincero, forte e duraturo che tra due persone.

È impressionante come la bestia esegua gli ordini del set e dà vita ad un vero personaggio che si fa amare sin dalla prima inquadratura, che commuove e diverte. L’uomo ha le rughe necessarie di Willem Dafoe per essere attendibile e duro, magari non proprio indigeno, ma si sa, negli Studios non fanno caso a queste cose e quando c’è da raccontare avventure eccitanti servono i divi amati, come del resto per quasi tutto il resto del cast, che vede solo qualche personaggio con i tratti somatici del luogo. Accanto a questi due eroi c’è una donna paziente e amante degli animali interpretata dalla bravissima Julianne Nicholson, mai sufficientemente ripagata per la sua bravura, donna che ha tutto la dolcezza idonea per essere il ruolo affidato. I registi non sbagliano mai a chiamarla dove serve e, secondo me, meriterebbe incarichi più importanti. Solo una volta l’ho vista in risalto pur se in presenza di attrici più importanti, nel meraviglioso I segreti di Osage County (2013) di John Wells.

Ericson Core è un regista solo alla terza prova nel lungometraggio, avendo perlopiù lavorato alla direzione della fotografia in diversi film di azione, ma se la cava egregiamente, curando in prima persona anche la sua specialità, la fotografia appunto, qui caratterizzata dal colore grigio che predomina la natura coperta dal cielo plumbeo e sempre minaccioso, ancor più nei momenti di grave difficoltà nel percorso da compiere, tra tormente, acqua ghiacciata, neve, impossibili salite ripide, banchine di ghiaccio che si rompono al passaggio veloce della slitta di Leonhard, Togo e di tutti gli altri cani che non sono passati alla Storia. Mai un raggio di sole, se non i sorrisi dei due padroni tra di loro e verso il loro eroe peloso e quelli del cane da interpretare quando guaisce per la felicità. Se i paesaggi risultano affascinanti e spettacolari lo si deve all’esperienza di direttore della fotografia di Ericson Core, il quale sa valorizzare l’ambiente e, assieme agli effetti speciali, filma bene i fenomeni naturali accentuando le enormi difficoltà oggettive dell’avventuroso e pericoloso viaggio, con straordinaria definizione e lunghezza di campo. Riesce, in poche parole, a tenere alta l’attenzione e a far appassionare il pubblico, pur se la storia è nota e, finalmente, facendo giustizia sui reali meriti della vera vicenda, da cui, come detto, ne uscì trionfante Balto (celebrato persino con una trilogia cartoon anni ‘90 prodotta da Spielberg). Buona anche la sceneggiatura scritta da Tom Flynn (abituato a temi sbalorditivi, vedi Gifted - Il dono del talento).

Una bella storia di sopravvivenza, perché quello che compie il protagonista assieme al suo cane e alla intera muta è davvero straordinaria, che sa di fantasy, e che invece è veramente accaduta e meriterebbe essere ricordata meglio. Ovvio che essendo una produzione Disney non mancano gli accenti zuccherosi per family ma sono molto digeribili, come anche apprezzabili sono le interruzioni dei lunghi momenti di azione con flashback che allentano la tensione e spiegano gli avvenimenti precedenti, anche di anni.


I veri protagonisti della vicenda del 1925





 
 
 

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