Train to Busan (2013)
- michemar

- 4 feb 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 16 mag 2023

Train to Busan
(Busanhaeng) Corea del Sud 2013 horror 1h58’
Regia: Yeon Sang-ho
Sceneggiatura: Yeon Sang-ho, Park Joo-Suk
Fotografia: Lee Hyung-deok
Montaggio: Yang Jinmo
Musiche: Jang Young-gyu
Scenografia: Lee Mok-won
Costumi: Gweon Yu-Jin, Im Seung-Hee
Gong Yoo: Seok-woo
Kim Su-an: Soo-an
Jeong Yu-mi: Seong-kyeong
Ma Dong-seok: Sang-hwa
Kim Eui-sung: Yon-suk
Choi Woo-shik: Yong-guk
Ahn So-hee: Jin-hee
Choi Gwi-hwa: senzatetto
Ye Soo-jung: In-gil
Park Myung-sin: Jong-gil
Jung Suk-yong: capotreno
Jang Hyuk-jin: Ki-chul
Kim Chang-hwan: Kim Jin-mo
Shim Eun-kyung: ragazza infetta
Woo Do-Im: hostess Min-jin
TRAMA: Un disastroso virus, che parte da un senzatetto alla stazione di Seoul, colpisce la Corea del Sud. I passeggeri su un treno diretto a Busan cercano di sopravvivere all'improvvisa pandemia.
Voto 7

Corre veloce un treno, parallelo a quello di Snowpiercer del regista connazionale. Il sudcoreano Yeon Sang-ho ci porta nell’ennesimo film di zombie, dove succede ancora una volta che un virus malefico di origine ignota sta impestando la nazione, motivo per cui il governo ha deciso di imporre la legge marziale. Di questi tempi, leggere la parola “virus” fa sobbalzare ma il cinema è da sempre interessato a questo argomento: servono solo variazioni e registi che lo sappiano usare per evitare di diventare monotoni. Ebbene, l’allora giovane autore questo l’ha saputo fare e come l’altro film, di tre anni prima, vi ha inserito di nuovo la lotta di classe, anche se in maniera meno appariscente ma sempre incisiva.

Anche questo abitato da personaggi dei più vari ceti sociali e ambientato a Seul, il film ci porta in un mondo chiuso, come può essere un lungo treno moderno in cui i ricchi viaggiano nelle carrozze migliori e più servite mentre il resto dei viaggiatori sono sistemati nelle seconde classi (sociali?). Yeon Sang-ho ci introduce immediatamente nell’atmosfera mostrando un personaggio emblematico: Seok-woo, un gestore di fondi finanziari, è il padre di Soo-an, troppo preso dal suo lavoro 24 ore al giorno per badare al meglio alla sua dolcissima bimba, a cui regala un dono di compleanno che però già possiede. Troppo distratto dagli affari, non ha neanche tempo per soddisfare il suo desiderio, il vero regalo che si aspetta, quello di andare a trovare la mamma, da cui il papà è separato: lei lo implora di essere accompagnata a trovarla a Busan per poter festeggiare meglio il suo giorno. Cercando di accontentare la figlia, in un risicato lasso di tempo, la mattina dopo salgono sull’ultraveloce treno KTX per quella città.

Non sanno che nel frattempo una fuoriuscita di sostanze chimiche nelle vicinanze ha causato un'ondata di infezioni e contagi gravissimi. E una volta a bordo, ignorano che una ragazza infetta è salita su quel treno eludendo il capotreno. Che la storia abbia inizio! Questo incipit rapido e veloce non è solo chiarificatore, ma diventa parte integrante dell'impostazione del ritmo di tutta la storia e mentre i vagoni di classe inferiore diventano l’habitat dell'epidemia di zombi, le cabine di classe superiore che fanno? Adottano il comportamento che si ripete all’infinito nella Storia dell’umanità e si asserragliano per tenere fuori i “non morti” e sfuggire alla contaminazione.

Tutto normale, tutto prevedibile nel genere (dis)umano, è il cocktail vincente, è quello consueto, per cui quando il virus della trasformazione in zombie si è diffuso in maniera incontrollabile, i pochi sopravvissuti, anziché mostrare il proprio lato migliore, consegnano il prossimo al nemico, in un tripudio di feroce egoismo. Adesso, dal punto di vista registico, l’importante era piazzare la trovata geniale per destare interesse e magari pure divertire, la mossa a sorpresa. I mostri, se così li vogliamo chiamare, scopriamo che sono sensibili ai suoni e si disorientano al buio e quindi, quando il lungo convoglio attraversa una galleria a luci spente, restano bloccati e interrompono immediatamente il loro inseguimento famelico di sangue.

Una novità nel cliché tradizionale è che mentre nei disaster-movies di Hollywood o nei film apocalittici, il protagonista principale tende sempre a prendere il comando e si mette, come per dire, eroicamente sulla linea di fuoco, il nostro personaggio resta un po’ sulle sue, preoccupandosi inizialmente di proteggere solo la sua piccola. Riesce però a trovare un buon alleato in una coppia, il cui uomo, troppo spiritoso in quella situazione estrema (nel meccanismo del film serve a interrompere il lato drammatico), gli dà man forte per organizzare la difesa verso il nutrito gruppo degli appestati, il cui numero va aumentando con una progressione spaventosa. Le più serie difficoltà vengono da un tizio che non solo non collabora ma pensa solo a salvare la pelle, muovendosi soltanto come gli suggerisce il suo istinto elitario e autoconservativo, disposto a dare in pasto ai mostri chi gli sta vicino pur di salvare la pelle. Devono subentrare i ragazzi di una squadra di baseball, la nuova generazione quindi, che invece impartisce una lezione di generosità creando un buon baluardo, alla pari della bimba che riesce a dare perfino una bella lezione morale agli adulti, anche al padre, dimostrando come solo la cooperazione, l'altruismo e l’unione possano assicurare la sopravvivenza durante una catastrofe come quella.


Se il film risulta interessante e piacevole (eh sì, ci si può divertire anche con questo genere) è perché il regista e sceneggiatore è abilissimo a dare un ritmo d’azione incessante, senza pause, senza che però questo sia a sé stante come un puro esercizio tecnico, diventando l’ossatura della veloce narrazione che precipita sempre più nell’irreparabile. Ma è sul comportamento della folla che è puntato l’obiettivo, sull’isterismo collettivo, sulle reazioni dei singoli davanti alla moltitudine scatenata. Tutto sul treno? No, a differenza dell’opera più celebre, il panico è anche nelle strade, nelle stazioni, sui suoi marciapiedi dove, dal finestrino, i passeggeri osservano spaventati gli assalti. Quanti ne resteranno? Come nei film eroici, qualcuno si sacrificherà. E siccome necessitano uno slancio positivo e un afflato di speranza, saranno le figure che rappresentano il futuro dell’umanità ad attraversare a piedi la galleria che porta alla liberazione dall’incubo e alla salvezza.
Presentato a Cannes 2016, non è un film di orrore, è semplicemente terrore che si lascia vedere perché è ben fatto e sa offrire passaggi persino divertenti.






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