Tutti lo sanno (2018)
- michemar

- 24 giu 2019
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 2 ott 2024

Tutti lo sanno
(Todos lo saben) Spagna/Francia/Italia 2018 dramma 2h13’
Regia: Asghar Farhadi
Sceneggiatura: Asghar Farhadi
Fotografia: José Luis Alcaine
Montaggio: Hayedeh Safiyari
Musiche: Javier Limón
Scenografia: María Clara Notari
Costumi: Sonia Grande
Penélope Cruz: Laura
Javier Bardem: Paco
Bárbara Lennie: Bea
Ricardo Darín: Alejandro
Carla Campra: Irene
Eduard Fernández: Fernando
Elvira Mínguez: Mariana
Inma Cuesta: Ana
Sara Sálamo: Rocio
Roger Casamajor: Joan
Ramón Barea: Antonio
José Ángel Egido: Jorge
TRAMA: Laura torna con i suoi due figli dall'Argentina nel suo paese natale, in Spagna, in occasione del matrimonio della sorella minore. Un evento drammatico fa tornare a galla vecchi rancori e segreti del passato che coinvolgono tutta la sua famiglia.
Voto 6

Avevo visto il trailer a cinema e mi ero spaventato e anche rimasto male: ma come, un regista di questa portata che fa un film del genere? Attori esagitati che urlano, che si muovono come invasati, in un ambiente così lontano dai soliti di Asghar Farhadi? Ben mi son guardato di andare a vederlo, ma mi è sempre rimasto il pallino di andare a fondo alla strana situazione. L’occasione finalmente è arrivata tramite Sky che l’ha trasmesso e ho così potuto scoprire che i miei dubbi erano fondati: il doppiaggio! Il maledetto e da me odiato doppiaggio! Vedendolo nella versione originale sottotitolata, mi sono accorto che gli attori, piuttosto bravi, non recitavano per nulla con quel brutto over-acting come pareva nella versione italiana. Anzi, data la situazione drammatica in cui si svolgeva la trama mi è sembrata una recitazione piuttosto adeguata e per niente sovraeccitata.

La situazione drammatica è presto spiegabile. Laura, bella signora spagnola, ritorna in patria dall’Argentina dove vive con marito e due figli, per il matrimonio della sorella minore e la sera della grande festa sparisce, rapita e per chissà quale motivo misterioso, la figlia maggiore Irene. Questo plot dà la possibilità ad un regista di grande valenza come l’iraniano Asghar Farhadi di riportarci sui suoi temi preferiti: i rancori, i dissidi, i litigi, le cattiverie, i segreti malcelati, tutti elementi assopiti nell’animo dei vari componenti della famiglia presa in esame. È ancora un excursus nei sentimenti sprofondati nell’intimo delle persone: tutte gentili, tutte amorevoli, sì, però fino alla prima occasione in cui la pialla che scivola nella nostra vita legnosa non incontra un nodo e si blocca. Facendo male, molto male. Cosa ne è dei bei sorrisi scambiati fino ad un minuto prima? Cosa ne è degli abbracci affettuosi, delle parole d’affetto o perfino d’amore tra i due partner della coppia entrata in crisi profonda o di una famiglia apparentemente in perfetta armonia sino al giorno prima?

È bastato quindi un inghippo, un incidente, un evento sfortunato, la fine di un amore per scatenare sensi di vendetta e di odio, di rancore che si nascondeva come una serpe nel seno di un rapporto che era malato da tempo. Nella fattispecie, una famiglia di viticultori, solo superficialmente in armonia, ai primi problemi finanziari va in sussulto psicologico e affettivo e nell’occasione dell’evento traumatico accaduto durante la festa va letteralmente in guerra. Asghar Farhadi ci mostra ancora una volta come si “armano” le persone entrate in conflitto per una motivazione qualsiasi, così come era successo per About Elly, Una separazione (recensione), Il passato (recensione), Il cliente. Dal punto di vista psicologico è un film molto interessante, che anzi fa male allorquando scopre la carne viva che brucia sotto la pelle graffiata a sangue. Un dramma che si tinge di noir, le verità nascoste che saltano chiare a tutti e non solo perché vengono rivelate: perché molto semplicemente TUTTI LO SAPEVANO, ne erano già al corrente ma tutti facevano finta di non sapere. Il che fa male due volte.

Il solito e apprezzato Asghar Farhadi, quindi? Decisamente no! Troppo artificioso, forse perfino banale. La causa è difficile saperla, senza escludere il caso in questione che sia una produzione internazionale, fuori dal contesto domestico che il regista conosce bene e ciò gli è accaduto anche la volta in cui ha girato in Francia con l’interessante Il passato già citato. Ma stavolta con i capitali francesi, spagnoli e italiani e l’ambientazione in una bella cittadina contadina nei dintorni di Madrid qualcosa non ha funzionato a dovere. Gli elogi maggiori vanno ai due machi alfa di Javier Bardem e Ricardo Darín, il cui peso attoriale domina la scena, oltre alla bravura e all’impegno drammatico infuso dalla solita Penélope Cruz e alla interessante Bárbara Lennie. I giochetti artificiosi di campanili vecchi e di colombe che escono ad ogni rintocco dal buco dell’orologio sviliscono una autorialità riconosciuta in tutto il mondo. Peccato.

Comunque, pur rimanendo un’opera al di sotto delle attese alla fine non mi è dispiaciuta e la sufficienza, anche se strappata per i capelli, va data perché il film si fa guardare fino in fondo, almeno per capire il motivo per cui quella disgrazia è accaduta. E a pensarci bene non è che Farhadi lo voglia spiegare del tutto: la sfumatura dell’inquadratura finale non promette nulla di pacifico, anzi è un regolamento di conti, ma lascia un tocco di sospeso.

Tra i vari riconoscimenti, tante le candidature ai Goya 2019:
miglior attrice Penélope Cruz
miglior attore Javier Bardem
miglior attore non protagonista Eduard Fernández
miglior regista, sceneggiatura originale, montaggio, canzone originale e miglior film






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