Un posto al sole (1951)
- michemar

- 26 gen 2023
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 25 mag 2023

Un posto al sole
(A Place in the Sun) USA 1951 dramma 2h2’
Regia: George Stevens
Soggetto: Theodore Dreiser, Patrick Kearney
Sceneggiatura Harry Brown, Michael Wilson
Fotografia: William C. Mellor, John F. Seitz
Montaggio: William Hornbeck
Musiche: Franz Waxman
Scenografia: Hans Dreier, Walter H. Tyler
Costumi: Edith Head
Montgomery Clift: George Eastman
Shelley Winters: Alice Tripp
Elizabeth Taylor: Angela Vickers
Raymond Burr: proc. distr. Frank Marlowe
Anne Revere: Hannah Eastman
Keefe Brasselle: Earl Eastman
Fred Clark: Bellows
Herbert Heyes: Charles Eastman
Shepperd Strudwick: Anthony "Tony" Vickers
Frieda Inescort: sig.ra Ann Vickers
Kathryn Givney: Louise Eastman
Douglas Spencer: barcaiolo
Walter Sande: Art Jansen
Ted de Corsia: giudice R.S. Oldendorff
TRAMA: George Eastman, giovane privo di mezzi, cerca di farsi strada nella vita. Se non avesse tra i piedi una ex fidanzata, operaia e per di più incinta, convolerebbe subito a ricche nozze con una bella ereditiera. Allora progetta di liberarsi di lei durante una gita in barca.
Voto 7,5

Specialmente negli anni Cinquanta, i melodrammi di Hollywood si potevano definire come le tragedie al tempo del teatro greco. Su questo possono disquisire molto meglio gli esperti in materia, ma riflettendo è un paragone sostenibile e lo dimostrano i tanti film drammatici che furono girati anche in seguito. Questo film ne è la dimostrazione.
George (Montgomery Clift) è il nipote povero di un ricco industriale di New York, che invita il giovane parente a casa sua anche per potergli offrire un lavoro da operaio nella sua fabbrica. Lì conosce e comincia e frequentare una collega ingenua e gentile, Alice (Shelly Winters) che rimane incinta di un bambino, mentre però lui perde completamente la testa per la bellissima ereditiera Angela (la splendida Elizabeth Taylor). La prima ragazza, ignara di ciò che sta succedendo, si attende che lui la sposi, ma questi non la ama e, da come si comporta e da ciò che esprime, si intuisce che si è reso conto che sposarla lo avrebbe mantenuto per sempre povero, mentre con la bella Angela la sua vita cambierebbe prospettiva: l’idea di accasarsi con una donna scialba e modesta, lo repelle. Ma diciamolo, Hollywood ha sempre avuto l'abitudine di rendere i ricchi più attraenti dei poveri e il pubblico si adegua sempre a questo invito. Questo fenomeno si accentua quando ci viene spontaneo simpatizzare per George nel momento in cui egli assume la decisione di eliminare, mediante una messa in scena, la ragazza che gli può impedire di realizzare il sogno di entrare in una famiglia benestante: è ora che subentra l’aspetto più intimo e psicologico della trama, che fa diventare il vile protagonista innocente di omicidio reale poiché Alice muore davvero ma casualmente. George si sente colpevole solo per non aver cercato di salvarla. Melodramma realizzato in pieno.

Le star della pellicola di George Stevens sono state storicamente Montgomery Clift e Liz Taylor ma chi raccolse presto i consensi fu la bravissima Shelley Winters, che purtroppo non poteva vantare la bellezza fulminante della collega, che infatti splendeva (d’altronde come oggi) su tutti i poster. Invece, i riconoscimenti furono proprio appannaggio della Winters, oltre che al protagonista maschile. Ma qui si rende necessario parlare soprattutto di Clift, che dette ancora una volta la prova del suo immenso potenziale interpretativo. Molto è stato scritto su di lui e sul modo di affrontare i ruoli, senza aver mai aderito a questo o quel metodo di recitazione: era un talento naturale.

Montgomery Clift. A questo proposito val la pena rileggere quello che ebbe a scrivere anni fa quel regista italiano che amo citare spesso, gran scrittore di critica, Gianni Amelio.
“Pare che Chaplin (!), quando uscì Un posto al sole, abbia detto che si trattava della cosa migliore mai prodotta da Hollywood. Dubito che fosse serio ma, se lo era, raccontava, con tutto il rispetto, una balla. Non che sia un brutto film, per carità, e all'epoca fu accolto benissimo: ma il tempo l'ha un po' appannato, lo ha messo, per così dire, in ombra. Indubbiamente è molto ben fatto, come quasi tutto ciò che è uscito dalle mani di George Stevens, regista impeccabile ma poco ispirato, abbastanza accademico. Montgomery Clift. Il divo più bello del suo tempo? È probabile. L'attor giovane più dotato degli anni '50? È sicuro. Una recitazione, la sua, che poco o niente aveva da spartire con certi manierismi allora di moda, giocata invece a sottrarre, asciutta, invisibile. In Italia, il doppiaggio livellava inesorabilmente certe sfumature della sua voce, certi fiati spezzati, l'affanno dietro la parola. Ma basterebbe sentirlo in una delle sue ultime apparizioni, seduto sul banco dei testimoni di Vincitori e vinti, per capire di che stoffa era fatto il suo talento: una scena di pochi minuti che impressionò anche il grande Spencer Tracy. Il quale forse in Clift riconosceva la stessa naturalezza senza fronzoli della vecchia generazione con in più l'inquieta sensibilità dei tempi nuovi. Per i suoi tormenti personali, Clift ha alternato ruoli memorabili ad occasioni perdute. Per recitare a teatro la parte di Konstantin nel Gabbiano (lo pagavano cento dollari la settimana...) rinunciò al cinema per un paio d'anni, lasciando ad altri gloria e denaro. Con John Huston fece Gli spostati (dove con Marilyn e Gable compose un terzetto miracoloso) e Freud - Passioni segrete, affascinante e mancato. Anche con Kazan, che lo voleva in Fronte del porto, si ritrovò molti anni dopo, già consumato dalle sue angosce. E ne nacque un capolavoro misconosciuto, Fango sulle stelle. Clift morì a 45 anni e non fu mai, si racconta, un uomo felice.”

Montgomery Clift. La leggenda racconta che James Dean lo chiamasse al telefono solo per sentire la sua voce; che durante i set de Gli spostati, il co-protagonista Clark Gable lo elogiò, ma in maniera molto offensiva, arrivando ad esclamare: “Quel frocio è un inferno di attore!”. Clift era anche, in maniera naturale, un protagonista romantico devastante, modellando su di sé una attrazione erotica basata quasi tutta sulla sua evidente vulnerabilità. La sua collaborazione con Elizabeth Taylor in questo film, interpretando il disperato arrampicatore sociale, fu celebrata, come definita sui giornali dell’epoca, “la coppia più bella della storia del cinema”. Le scene importanti sono tante, ma il culmine della tensione e della drammaticità avviene sulla barca, nel lago dove doveva attuarsi il piano di George, con l’eccellente Shelley Winters che non realizza immediatamente i pericoli che sta correndo e lui è tormentato da ciò che sta compiendo, fino a restare immobilizzato nel momento in cui deve invece intervenire. Quel senso di colpa se lo trascinerà fino in fondo, fino in tribunale, fine alle estreme conseguenze. Quanti film hanno trovato il culmine melodrammatico su di un lago!

Il film è ispirato al romanzo Una tragedia americana (An American tragedy) scritto da Theodore Dreiser nel 1925 e al dramma An American Tragedy di Patrick Kearney a loro volta ispirati alla storia vera dell'omicidio di Grace Brown da parte di Chester Gillette nel 1906. Ed è anche un riadattamento di Una tragedia americana di Josef von Sternberg del 1931.
1952 - Premio Oscar
Migliore regia
Migliore sceneggiatura non originale
Migliore fotografia
Miglior montaggio
Migliori costumi
Miglior colonna sonora
Candidatura miglior film
Candidatura miglior attore protagonista a Montgomery Clift
Candidatura miglior attrice protagonista a Shelley Winters
1952 - Golden Globe
Miglior film drammatico
Candidatura migliore regia
Candidatura miglior attrice in un film drammatico a Shelley Winters
Candidatura migliore fotografia






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