Un traduttore (2018)
- michemar

- 15 feb 2023
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 20 mag 2023

Un traduttore
(Un Traductor) Cuba/Canada 2018 dramma biografico 1h47’
Regia: Rodrigo e Sebastián Barriuso
Sceneggiatura: Lindsay Gossling
Fotografia: M.I. Littin-Menz
Montaggio: Michelle Szemberg
Musiche: Bill Laurance
Scenografia: Juan Carlos Sanchez Lezcano, Zazu Myers
Costumi: Samantha Chijona
Rodrigo Santoro: Malin
Maricel Álvarez: Gladys
Yoandra Suárez: Isona
Nikita Semenov: Alexi
Genadijs Dolganovs: Vladimir
Milda Gecaite: Olga
Jorge Carlos Perez Herrera: Javier
TRAMA: Un professore di letteratura russa dell'università dell'Havana riceve l'incarico di fare da traduttore ai bambini russi che, colpiti dal disastro nucleare di Chernobyl, arrivano a Cuba per le cure mediche.
Voto 6,5

A Malin, un professore di letteratura russa dell'Università dell'Avana, improvvisamente e senza molte informazioni, insieme ai suoi colleghi del dipartimento, giunge l’ordine del governo a trasferirsi per lavorare come traduttore in un ospedale che accoglierà bambini sovietici che sono stati colpiti dall'esplosione della centrale nucleare di Chernobyl. A malincuore, ma senza possibilità di alternative, si lancia nel suo nuovo lavoro, non sapendo neanche quanto durerà. L'esperienza però con quella dura realtà lo trasforma e condiziona la sua vita in tutti gli aspetti, sia personali che familiari.

Il protagonista, durante il suo tempo libero, nel momento del forte cambiamento che subisce, sta lavorando a una tesi su Gogol, mentre sua moglie Isona è un'artista e curatrice d'arte. Hanno un figlio piccolo e vivono una bella vita tranquilla. Un giorno, all'improvviso, l'intero Dipartimento di Letteratura Russa dell'università viene chiuso e a tutto il personale viene ordinato di presentarsi a un indirizzo che non conoscono. Si rivela essere un ospedale, dove servono urgentemente interpreti tra il personale medico e un nuovo gruppo di pazienti: le giovanissime vittime del disastro nucleare di Chernobyl del 1986 in Ucraina. Infatti, tra il 1990 e il 2011, Cuba ha accettato e curato più di 25.000 di quelle vittime, la maggior parte dei quali bambini. Fatta eccezione per un articolo del 1995 sul New York Times, questa storia è stata ignorata dall'Occidente, principalmente per ragioni politiche. Malin viene assegnato al reparto dei bambini, dove viene in contatto con i malati più gravi, ormai considerati senza speranza, conoscendo anche i loro frastornati genitori. All'inizio, non prende bene questo nuovo lavoro sconvolgente e chiede di essere trasferito ma Gladys, un'infermiera fuggita a Cuba per evitare la dittatura militare argentina, convince Malin a resistere.

I fratelli Sebastián e Rodrigo Barriuso, la coppia dei registi, con il primo anche attore protagonista, basano la trama del film sull'esperienza realmente vissuta dal padre, Malin appunto. Sebastián, il maggiore, è stato, fin da giovanissimo, testimone di quegli eventi e si può quasi dire quasi vittima della situazione, al contrario di Rodrigo che invece non era ancora nato. La loro pellicola inquadra la trama anche dal punto di vista politico, con la situazione di quel periodo, e da quello sociale, con una piccola nazione come Cuba in piena crisi economica. Finanziariamente dipendente dall'Unione Sovietica, è possibile notare come, quando l'URSS crolla, gli aiuti vengono drasticamente ridotti e l'economia cubana vacilla. Non c'è benzina per le auto e il cibo scarseggia. Anche nella casa di Malin le cose non vanno tanto bene, un po’ per le preoccupazioni dell’uomo, un po’ per i rapporti all’interno dell’ospedale. La moglie Isona, spinta dalla sua passione e professione, sta organizzando una grande mostra e non è contenta per lo scarso sostegno da parte del marito, che tra l’altro sta trascurando persino il loro figlio, rendendosi conto che deve affrontare maggiori responsabilità domestiche proprio quando ne ha maggior bisogno.

Il film illustra bene, nella parte iniziale, la situazione politica, evidenziando come l’arrivo a Cuba dell’ultimo leader sovietico, il non dimenticato Mikhail Gorbaciov, viene festeggiato in pompa magna, al contrario dei bambini vittime del disastroso incidente della centrale nucleare che arrivano senza clamore. Ma ciò è l’unico momento del film che ci porta nella questione politica perché in seguito i registi dedicano più tempo al lato sentimentale e drammatico, puntando maggiormente sull’aspetto emozionale. Ovvio che le scene più forti al riguardo sono quelle dedicate alle malattie dei bambini e gli unici momenti leggeri sono quelli riguardanti il rapporto che nasce tra il protagonista e l’infermiera che gli è spesso accanto.

Inevitabile che la storia, essendo veramente accaduta e che riguarda la famiglia Barriuso da vicino, sia contaminata e forse rovinata dal proprio vissuto, inducendoci a pensare che un altro regista avrebbe posto “la giusta distanza”, come diceva il giornalista del film omonimo, tra i fatti e le proprie sensazioni.
In ogni caso, è un film realizzato con l’istinto e con buoni intenti, magari un po’ polemico nei riguardi del padre degli autori, ma sufficientemente appassionante ed emozionante. Almeno, serve a non dimenticare i disastri che derivano dal pericolo nucleare e le gravissime conseguenze sanitarie che ne sono conseguite allora, soprattutto ai piccoli innocenti, curati o accolti in ogni parte del mondo. Italia compresa.






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