Un tranquillo weekend di paura (1972)
- michemar

- 8 feb 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 14 giu 2023

Un tranquillo weekend di paura
(Deliverance) USA 1972 thriller 1h49’
Regia: John Boorman
Soggetto: James Dickey (romanzo ‘Dove porta il fiume’)
Sceneggiatura: James Dickey
Fotografia: Vilmos Zsigmond
Montaggio: Tom Priestley
Scenografia: Fred Harpman
Costumi: Bucky Rous
Jon Voight: Ed Gentry
Burt Reynolds: Lewis Medlock
Ned Beatty: Bobby Trippe
Ronny Cox: Drew Ballinger
Billy Redden: Lonnie
James Dickey: sceriffo Bullard
TRAMA: Quattro amici, uniti dalla passione per la natura, decidono di lasciarsi alle spalle la caotica città e di passare un tranquillo weekend ecologico recandosi in una remota vallata nel Sud degli Stati Uniti e discendono in canoa il fiume che l'attraversa. La scampagnata si trasforma ben presto in un inferno e la natura incontaminata mostra il suo volto più spietato.
Voto 8

Ossimoro così spietato nei titoli del cinema mai si era visto prima, e forse neanche dopo. Di film che iniziano tranquillamente e che senza aspettarselo diventano il più classico del genere del terrore, un vero nightmare senza mostri se non quelli di – come dice il poliziotto in Blob – “tranne noi mostri”, cioè l’uomo stesso, ne sono stati girati una infinità, ma l’operazione che magistralmente riesce a compiere John Boorman resta negli annali della storia cinematografica. Gli intenti iniziali sono semplici e amichevoli, da compagnia: quattro amici si organizzano perché vogliono trascorrere un weekend in canoa tra i boschi dei Monti Appalachi, una gita sana ed ecologica, si direbbe oggi, ma l’allegria iniziale diventa prima stupore e poi, dopo uno strano senso di allarme, la certezza del terrore, di certo incomprensibile.

Che i territori dei rednecks - termine usato per indicare numerose caratteristiche a sfondo razzista degli abitanti di etnia bianca caucasoide degli Stati meridionali degli Stati Uniti d'America, appartenente alla fascia economica medio-bassa della società, spesso senza cultura e dediti a vivere nelle roulotte o case di legno nei boschi – siano regioni da attraversare con cautela, il cinema ce lo ha mostrato diverse volte (indimenticabile la volta di Un gelido inverno del 2010 con la regia di Debra Granik con una magnifica e giovane Jennifer Lawrence) ma come stavolta mai. Quando il genere preferito di questo regista, l’avventura con tutti i suoi risvolti, assume le sembianze di un thriller che ammanta le sensazioni che provano i quattro quando capiscono che sono fortemente in pericolo, il film diventa agghiacciante e appassionante. I quattro protagonisti sono persone che vogliono semplicemente passare un paio di giorni immersi nella natura e pur essendo di carattere molto differenti vanno d’accordo e vogliono divertirsi: c’è Lewis, il leader del gruppetto che va a caccia con arco e frecce, poi c’è Drew, idealista e raffinato, c’è Bobby, grasso e sempliciotto e infine Ed, timido e imbranato.

Ciò che colpisce all’inizio è la bellezza della natura e i colori naturali che caratterizzano quei posti bellissimi e quasi incontaminati (grandiosa fotografia di Vilmos Zsigmond), dove non c’è mai un assoluto silenzio: i molteplici versi degli animali, lo scorrere rumoroso dell’acqua dei torrenti, anche impetuosi. Tutto è naturale, tranne il silenzio che si crea nello spettatore quando avverte il freddo glaciale della paura che riescono a trasmettere i gitanti, che, sulle canoe, cominciano ad attraversare la regione. Pare di rivivere quel paesaggio verde e rigoglioso che ci mostrerà anni e anni dopo Terrence Malick con La linea rossa.

Illude, ma nello stesso tempo avverte che non sarà una scampagnata come l’avevano immaginata, la sequenza del duello musicale tra Drew e un giovanottino di uno dei primi villaggi che i quattro incrociano, dato che vogliono chiedere ad una stazione di servizio chi può dare loro una mano per portare il loro fuoristrada più a valle, dove hanno intenzione di arrivare in canoa. Non potendo dialogare diversamente, Drew si rivolge al ragazzo suonando la chitarra e questi gli risponde con una musica veloce del suo banjo: ne scaturisce un gioco musicale che a seguito dell’enorme successo del film diventerà famoso e lo rappresenterà per sempre. La musica è piacevolissima, molto meno l’aria che si respira subito dopo. Ma si sa, uno pensa che è solo un’impressione, sarà tutto normale, ma avventurandosi sul fiume le sensazioni non sono le più tranquille, anche se la natura e l’allegria dei quattro fa ben presto dimenticare quelle sensazioni. Da lì avrà inizio l’inferno verde.

Come i dieci piccoli indiani, comincia il tragico torneo della eliminazione fisica. Essi non sono bene accetti, ombre si aggirano sulle alte rocce che costeggiano il fiume Cahulawassee, spari, frecce. Atterriti e stupefatti, gli amici cercano rifugio ma anche di reagire. La scena dello stupro di Bobby è l’indice chiarissimo della esplosione di violenza che investe il gruppo, una sequenza terribile che, se avessero avuto dei dubbi fino ad allora, adesso è tutto chiaro: sarà difficilissimo uscire indenni e tornare a casa in città. Il mito del ritorno alla natura da parte dell’uomo cittadino, così caro alla cultura americana, viene ribaltato violentemente e Boorman ce lo mostra in tutta la sua brutalità. È la fine dell’innocenza, è la continuazione della presa di coscienza di un popolo che sta da anni in Vietnam vivendo una situazione parallela, è la conferma dell’homo homini lupus. I rednecks (quelli dal collo rosso perché vivono sotto il sole dei boschi) non concedono spazio e ospitalità e lo dimostrano sin dal primo contatto. Loro quattro non avevano capito dove e cosa stessero iniziando a vivere, gli altri, i locali, si sono mossi come cacciatori e le loro prede erano incoscienti. Deliverance recita il titolo originale, liberazione. E chi la potrà godere?

Il film è bellissimo ed indimenticabile, l’ansia non è contenibile, la tensione è ai massimi, la paura blocca lo spettatore con la speranza che almeno qualcuno se la cavi. Più o meno quello che si ripeterà nel 1981 con l’altro bellissimo I guerrieri della palude silenziosa di Walter Hill, altro film imperdibile. Se John Boorman ha saputo girare altri film interessanti, questo è sicuramente il suo migliore e Hollywood se ne ricorderà con le tante candidature sia agli Oscar che ai Golden Globe. Merito anche del quartetto eccellente che scelse nel cast. Dopo le richieste esose di Jack Nicholson e Marlon Brando, l’occhio del regista cadde su Burt Reynolds, Jon Voight, Ned Beatty e Ronny Cox, quattro attori indovinati e in perfetta forma ad iniziare dal primo che già rappresentava per il cinema mondiale la virilità fatta uomo.
Una solo parola: imperdibile!
Riconoscimenti
1973 - Premio Oscar
Candidatura miglior film
Candidatura migliore regia
Candidatura miglior montaggio
1973 - Golden Globe
Candidatura miglior film drammatico
Candidatura migliore regia
Candidatura miglior attore in un film drammatico a Jon Voight
Candidatura migliore sceneggiatura
Candidatura miglior canzone (Dueling Banjos)






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