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Una storia senza nome (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 8 ago 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 30 ago 2021


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Una storia senza nome

Italia/Francia 2018 thriller drammatico 1h50’


Regia: Roberto Andò

Sceneggiatura: Roberto Andò, Angelo Pasquini, Giacomo Bendotti

Fotografia: Maurizio Calvesi

Montaggio: Esmeralda Calabria

Musiche: Marco Betta

Scenografia: Giovanni Carluccio

Costumi: Lina Nerli Taviani


Micaela Ramazzotti: Valeria Tramonti

Renato Carpentieri: Alberto Rak

Laura Morante: Amalia Roberti

Jerzy Skolimowski: Jerzy Kunze

Antonio Catania: Massimo Vitelli

Marco Foschi: Riccardo

Martina Pensa: Irene

Renato Scarpa: Arturo Onofri

Silvia Calderoni: Romeo Agate

Gaetano Bruno: Diego Spadafora

Alessandro Gassmann: Alessandro Pes

Giovanni Martorana: Mario


TRAMA: Valeria, giovane segretaria di un produttore cinematografico, vive appartata con una madre eccentrica e scrive in incognito per uno sceneggiatore di successo, Alessandro. Un giorno, Valeria riceve un insolito regalo da uno sconosciuto: la trama di un film. Ma quel plot è pericoloso, racconta infatti il misterioso furto - realmente avvenuto a Palermo nel 1969 - di un celebre quadro di Caravaggio: La Natività.


Voto 6,5


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I fatti misteriosi, pieni di risvolti nascosti e complicati hanno sempre attratto l’attenzione e l’opera di Roberto Andò, regista palermitano che ama evidentemente le atmosfere tipiche del racconto giallo. Già era parso dai suoi primi film ma la svolta decisiva per la sua carriera è stato il precedente film che ho apprezzato parecchio nonostante le varie critiche che ha dovuto subire. Le confessioni, infatti, è stato il film che mi ha più avvicinato al regista (qui potete leggere le mie riflessioni in merito) e in questa occasione egli ha avuto modo di poter lavorare ancora con il grande Daniel Auteuil con cui aveva girato nel 2004 l’interessantissimo Sotto falso nome. Non solo: anche con Toni Servillo gira due film, sia il corrosivo Viva la libertà che appunto il riuscito primo citato.


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La sua passione per il thriller si riaffaccia quindi con questo film, pieni di personaggi doppi e con una trama che contiene un film all’interno ed un finale che si scopre essere in realtà il finale di una proiezione in una sala cinematografica. Un thriller che implica sia l’ambiente della produzione del nostro cinema che quella della politica corrotta, collusa con il malaffare della mafia. Tutto nasce partendo da un fatto realmente accaduto quando nel 1969 a Palermo fu rubato in circostanze misteriose il celebre quadro di Caravaggio Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi. Una tela così preziosa che faceva gola alla cosca siciliana di Palermo e che, trafugata la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 dall'Oratorio di San Lorenzo a Palermo, non è stato ancora recuperata. Questa bellissima opera, il cui valore di mercato si aggirerebbe oggi intorno ai 30 milioni di euro, è inserita nella lista dei dieci capolavori più ricercati dalle polizie di tutto il mondo. Fantasticando su questo fatto di cronaca e imbastendoci intorno una buonissima ragnatela di avvenimenti, organizzati da personaggi di pura invenzione, Roberto Andò stila una discreta sceneggiatura assieme ai suoi collaboratori Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti, anche se il pregio maggiore è sicuramente costituito dall’ottimo cast.


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Chi tira i fili delle operazioni e della trama è un vecchio poliziotto in pensione, Alberto Rak, sulle spalle di un attore che personalmente ogni volta che vedo in primo piano in una pellicola gioisco, perché Renato Carpentieri merita ogni elogio per la bravura ma anche per la pazienza nell’attendere le giuste occasioni per potersi mettere in mostra e venir apprezzato per quel che merita. E soprattutto conquista gli elogi per la precisione con cui gestisce i ruoli affidati. Assieme al bravo attore irpino ritroviamo quella bravissima Micaela Ramazzotti – qui indubbiamente personaggio centrale – che già era stata al suo fianco nel bellissimo La tenerezza di Gianni Amelio (recensione). Un rapporto di quasi padre-figlia (e qui c’è la sorpresa!) che si ripete come nel film di Amelio.


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È lui, quindi, l’ex poliziotto Alberto, che coordina con vari mezzi tecnologici avanzati le operazioni per poter recuperare la preziosa tela e per aiutare Valeria (Ramazzotti) a capire in quale ginepraio è caduta, assieme al suo fidanzato e sceneggiatore, che lavora proprio per conto della società cinematografica, Alessandro Pes (il solito eccellente Alessandro Gassmann). Le operazioni della mafia intorno al dipinto coinvolgono, all’insaputa dei due, molte persone e diversi politici di primissimo piano. Basti pensare che una sequenza riguarda una segreta riunione a Palazzo Chigi in cui ministri e alti funzionari di polizia tramano per poter guidare – una sorta di trattativa Stato/mafia - il recupero del famoso dipinto. “Quella tela diventerebbe la metafora di un paese che rinasce e ritrova la sua grandezza perduta.”


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In verità per la realizzazione del film non è andato tutto per il verso giusto. I difetti principali sono un po’ nella regia che bada molto al risultato spettacolare facile (come alcuni movimenti della macchina da presa in funzione dello spostamento degli attori, o convenzionali ed elementari inquadrature, troppo scolastiche per dare tono alla qualità) e come anche nella sceneggiatura, che rende quasi favolistiche alcune soluzioni del racconto, fino a sfiorare la banalità dello sviluppo dell’azione. Pare per esempio troppo facile che nei momenti più concitati il poliziotto in pensione, come un novello mago della lampada di Aladino, appaia d’incanto in ogni dove e miracolosamente per risolvere le situazioni di difficoltà, trovare prontamente la soluzione ideale e salvare l’incolumità della protagonista Valeria. La quale a sua volta ha un intuito strepitoso (troppo) per capire in un battibaleno gli aspetti più inspiegabili: ha un sussulto, alza le sopracciglia e dice di aver capito tutto. E per giunta ha sempre l’idea giusta per la soluzione necessaria. Sempre! Forse troppa carne al fuoco per Andò, troppe piste da seguire. Forse bastava procedere lungo il binario principale con meno scambi, riducendo all’essenziale l’ossatura principale. In ogni caso, sia per la bravura di tutti gli interpreti, sia perché l’opera nel complesso risulta intrigante e piacevole, il film alla fine si fa ben guardare e apprezzare, risultando un’opera sufficientemente pregevole nonostante i suoi peccatucci.


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Alessandro Gassamnn è bravo di suo, Laura Morante se la cava meglio, molto meglio delle sue ultime apparizioni, Renato Carpentieri è superlativo, come sempre. Ma tutta la mia attenzione è andata alla bellissima e sempre più brava Micaela Ramazzotti, la quale, secondo il mio modesto parere, può fare molto ma molto di più. È sicuramente capace di prestazioni ancora migliori, purché trovi ruoli e sceneggiature adatte a farla emergere, sperando allo stesso tempo che la facciano recitare maggiormente con una dizione più neutra: quell’accento tanto simpatico romano fortemente (ancora???) contaminato dalla cadenza e dalle vocali livornesi (retaggio di Paolo Virzì?) lo deve abbandonare e diventare una vera attrice di pregio, perché è nelle sue possibilità. Infine da notare la importante ospitata da parte del regista Jerzy Skolimowski proprio nel ruolo del regista del film in produzione della trama.


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Ma, ripeto, il film si lascia vedere e godere nonostante tutto, apprezzando anche gli omaggi e le citazioni chiare e devote che il regista dedica a Hitchcock e De Palma da cui Roberto Andò sembra aver preso ispirazione, anche se la suspense celeberrima del maestro del brivido lui la sfrutta proprio al minimo, bruciando spesso le attese e portandoci velocemente al cambio di scena. Ma la musica di Marco Betta che accompagna le sequenze più importanti e la voglia di sorprendere lo spettatore con colpi di scena mi hanno ricordato parecchi i due grandi autori. Almeno due citazioni sono degne di nota: quella in cui Alessandro Gassmann ripete la celebre frase di suo padre Vittorio: “Mi non te dise proprio un bel nient!” (soldato Giovanni Busacca ne La grande guerra, quando decide di non cedere alle torture dei soldati austriaci) o come quando la Valeria della Ramazzotti fa notare che una certa frase risale ai dialoghi di Viale del tramonto di William Wyler: “Lo dicevo, che nel cinema c'è qualcosa che non va. È finito, distrutto. Un tempo, col nostro mestiere, gli occhi di tutto il mondo erano stregati da noi. Ma non era sufficiente per loro, oh no! Dovevano impadronirsi anche degli orecchi. Allora aprirono le loro bocche bestiali e vomitarono parole, parole, parole…”.

C’è sempre da imparare dai grandi registi e Andò non ne fa mistero.

Film discretamente sufficiente, ma mezzo voto in più perché gli attori sono bravi.



 
 
 

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