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Una volta nella vita (2014)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 10 gen 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 29 mag 2023


Una volta nella vita

(Les héritiers) Francia 2014 dramma 1h45’


Regia: Marie-Castille Mention-Schaar

Sceneggiatura: Ahmed Dramé, Marie-Castille Mention-Schaar

Fotografia: Myriam Vinocour

Montaggio: Benoît Quinon

Musiche: Ludovico Einaudi

Scenografia: Vincent Deleforge, Anne-Charlotte Vimont

Costumi: Isabelle Mathieu


Ariane Ascaride: Anne Gueguen

Ahmed Dramé: Malik

Noémie Merlant: Mélanie

Geneviève Mnich: Yvette Thomas

Stéphane Bak: Max

Amine Lansari: Rudy

Wendy Nieto: Jamila

Aïmen Derriachi: Said

Mohamed Seddiki: Olivier / Brahim

Naomi Amarger: Julie

Alicia Dadoun: Camélia

Adrien Hurdubae: Théo

Raky Sall: Koudjiji

Koro Dramé: Léa

Xavier Maly: preside

Léon Zyguel: sé stesso


TRAMA: Liceo Léon-Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi: una scuola che è un incrocio esplosivo di etnie, confessioni religiose e conflitti sociali. La professoressa Anne Gueguen propone alla sua classe più problematica un progetto comune: partecipare a un concorso nazionale di storia dedicato alla Resistenza e alla Deportazione. Un incontro, quello con la memoria della Shoah, che cambierà per sempre la vita degli studenti.


Voto 7

Quante volte si scrive di un film cominciando col dire che è basato su una storia vera! Una infinità di soggetti cinematografici nasce da vicende realmente accadute ma talvolta sembra più vero del solito forse perché più significativo, più toccante, più tangibile. Ed è proprio il caso della terza regia di Marie-Castille Mention-Schaar, una giornalista che ama essere anche produttrice e sceneggiatrice molto interessata ai temi sociali che riguardano non solo i problemi attinenti alla crescita culturale dei giovani, ma anche alle etnie e alle religioni, tanto da essersi fatta notare per aver scritto e diretto, dopo il film presente, Le ciel attendra, riguardante la radicalizzazione islamista. Nel caso specifico, è la vera storia di una classe di un liceo della banlieue parigina che nel 2009 affrontò la sfida di partecipare ad un concorso nazionale per iniziativa di un'intraprendente professoressa. Di fronte ad un tema che scuote le coscienze di tutti, la Shoah vista dalla parte delle vittime più piccole, la classe si scoprì sorprendentemente unita, volenterosa e capace.

Dopo l’inizio claudicante con due film stroncati dalla critica, la regista realizza un’opera riuscita con un lavoro non facile che sta tra il documentario, la riflessione sociale e anche i buoni sentimenti, elemento pericoloso che avrebbe potuto rovinare il tutto. Toccando l'ardente tema delle periferie-ghetto, delle scuole che fabbricano solo insuccessi a catena e ritiri dalle classi, dell'ascesa del fondamentalismo che serpeggia nelle strade e nei cortili dei palazzoni di quei quartieri dimenticati dal resto del mondo, Marie-Castille Marion-Schaar si sforza di lottare per una causa che sente giusta, affrontando con finezza, realismo e devozione questioni sociali che sembrano insormontabili e che vanno puntualmente a finire sui canali di news e articoli di quotidiani locali. Ecco allora installare la macchina da presa costantemente tra le mura della classe e dei corridoi della scuola, con l’obiettivo vicino al volto degli studenti per catturare l'allegria di una generazione che non ha punti di riferimento, che vive spensieratamente (com’è giusto che sia, ma fino ad un certo punto) tra inciviltà e comportamenti primari senza valori e senza una guida non solo di insegnamento ma soprattutto culturale, una generazione che non ha ancora assimilato il concetto basilare della comunità nazionale e mondiale dove prevale l'importanza della Storia e il dovere della memoria per uscire meglio dall'oscurantismo depositato nell’ignoranza. Vero, sono concetti un po’ troppo retorici, eppure senza questa basi le nuove generazioni crescono nel buio mentale e nella ristrettezza di una cultura povera e composta solo da frasi memorizzate, da gesti automatici, dalla noia che induce a delinquere. Se non provvedono la famiglia prima e la scuola poi cosa resterà dentro questi adolescenti?

Al liceo Léon-Blum di Créteil, la banlieue parigina in questione, come dice il film “convivono 29 comunità differenti” e non esattamente in modo pacifico, con tutti gli attriti multiculturali che ci si può attendere, amplificati per giunta dalle turbolenze adolescenziali. In particolare, c’è una classe, una seconda superiore, che quasi tutti i docenti danno per insalvabile: è a questi allievi che la professoressa di storia Anne Gueguen propone la partecipazione a un concorso nazionale sul tema “I bambini e gli adolescenti dentro il sistema concentrazionario nazista”, incontrando inizialmente solo resistenze (anche tra gli altri insegnanti) e successivamente incredibili occasioni di crescita e reciproca comprensione. Tutto quello che succede nel film è come un diario perché il co-sceneggiatore, Ahmed Dramé, è stato uno degli studenti, è stato quel Malik che è spesso in primo piano rispetto ai suoi compagni, come sono vere le aule di quella scuola e vere le studentesse e gli studenti presi dalla realtà. Ogni sequenza è palpitante, è realismo vivente, è un dibattito di voci che si sovrappongono, dove non si riesce a distinguere ciò che è scritto nella sceneggiatura e ciò che è improvvisato dalla stupenda Ariane Ascaride (che brava!) e dagli studenti, da cui si deduce quanto sia stato coinvolgente per loro dare un contributo sincero e partecipato, che poi è il medesimo stato di implicazione e adesione che prova lo spettatore. Come un incanto, la macchina da presa insiste in una toccante ed emozionante lunga sequenza senza stop quando i giovani incontrano un superstite del campo di concentramento, Léon Zyguel, - deportato a 15 anni prima ad Auschwitz e poi a Buchenwald - a cui sarà dedicato il film, essendo venuto a mancare proprio poco dopo l’uscita nelle sale francesi.

Contro il parere di tutti, la professoressa Gueguen sceglie la classe di indisciplinati per partecipare all'annuale Concorso Nazionale della Resistenza e della Deportazione (CNRD), indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione. Il tema di quell'anno riguarda i bambini e gli adolescenti nei campi di concentramento nazisti ed è intuibile come essi resteranno colpiti scoprendo ciò che succedeva in quei posti, come si impegneranno nel concorso e quale risultato otterranno.

La regista: “Il film si pone delle domande su ciò che abbiamo ricevuto in eredità da chi ci ha preceduto e su questioni fondamentalmente rilevanti per le nostre società moderne, come ad esempio la religione (il film si apre con una scena in cui si invita una studentessa araba a non indossare il suo velo per essere ammessa in una scuola). La storia trae spunto dalla vera esperienza del giovane Ahmed Dramé, che ha partecipato alla stesura della sceneggiatura e ha preso parte alle riprese come coprotagonista a fianco di Ariane Ascaride. Per esser corretti, Ahmed ha scritto un primo copione di una sessantina di pagine che mi ha invitato a leggere: era la storia di un concorso letterario e del desiderio di una docente, appena arrivato in un liceo, di portare i suoi studenti a primeggiare nella competizione. Ho scoperto poi che la vita di Ahmed e dei suoi compagni era stata letteralmente sconvolta dalla partecipazione al CNRD. Mi sono messa in contatto con Madame Anglés, la professoressa, e ho cominciato a rimettere mano alla sceneggiatura: è venuta così fuori la storia di vita di un giovane francese musulmano, appassionato di cinema e desideroso di far qualcosa nella sua vita, e della professoressa Anne Gueguen, le cui azioni sono mosse dal rispetto reciproco con i suoi allievi e dalla voglia di comprensione nei loro confronti.

Molto bravi e spontanei i ragazzi, apprezzabilissimi, tra cui si affaccia la notevole Noémie Merlant (Ritratto della giovane in fiamme, Parigi, 13 Arr.) ma Ariane Ascaride giganteggia, come sempre.



 
 
 

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