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Women Talking - Il diritto di scegliere (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 21 mar 2024
  • Tempo di lettura: 8 min

Women Talking - Il diritto di scegliere

(Women Talking) USA 2022 dramma 1h44’

 

Regia: Sarah Polley

Soggetto: Miriam Toews (romanzo)

Sceneggiatura: Sarah Polley

Fotografia: Luc Montpellier

Montaggio: Christopher Donaldson, Roslyn Kalloo

Musiche: Hildur Guðnadóttir

Scenografia: Peter Cosco

Costumi: Quita Alfred

 

Rooney Mara: Ona

Claire Foy: Salome

Jessie Buckley: Mariche

Judith Ivey: Agata

Ben Whishaw: August Epp

Frances McDormand: Scarface Janz

Sheila McCarthy: Greta

Michelle McLeod: Mejal

Kate Hallett: Autje

Liv McNeil: Nietje

Emily Mitchell: Miep

Kira Guloien: Anna

Shayla Brown: Helena

August Winter: Nettie/Melvin

 

TRAMA: Le donne di una comunità religiosa isolata lottano per conciliare la loro realtà con la loro fede. Nonostante il retroscena, il gruppo si riunisce per capire come potrebbero andare avanti insieme per costruire un mondo migliore per se stesse e per i loro figli. Hanno davanti a loro tre strade tra cui scegliere: restare, combattere o andare via.

 

Voto 7,5



È sicuramente superfluo e perfino retorico discettare sulla condizione della Donna nel corso della Storia. Da sempre è sfruttata e denigrata, avendo passato lunghi periodi nei secoli scorsi venendo considerata poco più che un oggetto a disposizione dell’uomo. Si dirà che ultimamente le cose stanno cambiando ma va anche precisato che siamo ben lontani dalla parità di genere: il cosiddetto gender gap si manifesta in molte maniere tutt’oggi. Per una donna non è facile trovare lavoro come l’uomo, avere una retribuzione paritaria, avere considerazione nella società e soprattutto nel lavoro alla pari del maschio, essere nelle posizioni di comando e dirigenziali anche meritando per competenza. È una lunga lista e poco migliora, per giunta lentamente, e le statistiche antropologiche parlano chiaro. La dovuta battaglia è portata avanti solo con i mezzi di cui dispongono le singole donne. La scrittrice Miriam Toews, per esempio (e come lei tante altre) ha scritto un romanzo da cui l’eccellente Sarah Polley ne ha tratto o, meglio, ne ha saputo trarre una magnifica sceneggiatura, completamente di stampo teatrale, che ha permesso alle attrici di questo straordinario cast di esibirsi al meglio, dando un buonissimo contributo al dibattito culturale e artistico. La scarsa trama, molto pregnante, inquadra immediatamente una pessima situazione rurale.



Ad introdurci nel film e nell’ambiente ci pensa la voce di Salome, che si sveglia con il sangue che le scorre lungo le cosce: “Quando ci svegliavamo con i segni di mani invisibili, gli anziani dicevano che era opera dei fantasmi o di Satana. O che mentivamo per attirare l'attenzione o che era frutto della sfrenata immaginazione femminile. Lo fecero per anni, a tutte noi. Ti sentivi priva di forza di gravità, ti sentivi sempre più lontano da ciò che un tempo era reale, sembrava una messa al bando come se la realtà non volesse più che noi ne facessimo parte. E mi chiedevo spesso chi sarei stata se non mi fosse successo questo. Mi mancava la persona che avrei potuto essere. Ora non più, perché è il giorno del giudizio, è un invito alla preghiera. Tutte e due le cose.”



Nel 2010, le donne e le ragazze di una colonia molto religiosa, di credo mennonita, per giunta isolata in una vasta campagna verdeggiante (la località è vaga e non viene mai rivelata) scoprono che diversi uomini della loro comunità adottano un riprovevole e disgustoso comportamento, avendo usato tranquillanti per mucche per stuprarle mentre dormono. Gli aggressori, in alcuni casi, sono stati anche colti in flagranza ma, una volta arrestati e incarcerati in una città vicina, il resto degli uomini della colonia parte per pagare la cauzione e farli uscire di prigione. Cogliendo l’occasione e quindi lasciando le sopravvissute sole per circa due giorni, esse si riuniscono in un grande fienile per trovare il modo più adatto per ribellarsi e liberarsi dalla ignominia. Amano comunque i piccoli così avuti e le altre incinte provano un identico senso di amore verso i nascituri, che, nonostante tutto, sono per loro pur sempre dei figli a cui dedicarsi con affetto.



Ognuna di loro ha la sua amara esperienza, ma nello stesso tempo è anche accomunata dalla violenza subita e perpetrata da anni nei confronti delle altre, e questi due giorni di assoluta libertà appaiono e devono essere ben sfruttati per decidere il da farsi, non potendo più sopportare tale situazione. Per intendere facilmente le loro condizioni, si apprende subito che non hanno diritto neanche all’istruzione, e tutte loro sanno a malapena leggere o scrivere solo qualcosa, ed il maestro della comunità mennonita (rigidamente cristiana in maniera radicale, composta da persone estremiste della religione) è lì solo per i maschietti. Lui è August (Ben Whishaw) riammesso nel villaggio, dopo essere stato scacciato con la madre ribelle, solo perché nel frattempo si è diplomato in un college. Per le sue disavventure trascorse è stimato dalle donne e c’è anche chi, come Ona, se ne sente attratta, benevolmente ricambiata. Hanno quindi deciso di riunirsi lì e hanno invitato anche quell’unico maschio rimasto, con il compito di redigere un verbale delle cose che verranno dette.



Ovviamente ogni donna ha un suo carattere e una sua esperienza negli incresciosi e violenti accadimenti; quindi, ognuna di loro ha una reazione e una mentalità differente, proprio in virtù di ciò che ha dovuto vivere. La riunione servirà a discutere e quindi a scegliere quale via intraprendere tra le tre soluzioni proposte: restare e sottomettersi; restare ma combattere per ribaltare la situazione; organizzarsi per scappare via. Tutte, o perlomeno quelle che sono d’accordo, per trovare una vita migliore altrove. Non ci sono altre soluzioni, è innegabile. L’unica loro titubanza deriva dalla convinzione religiosa che le ha sempre obbligate ad obbedire, ma ora, con lo stesso spirito di fede e dagli insegnamenti derivati dalla bibbia e dalle epistole degli apostoli e dei discepoli, cercano di trarre il beneficio del beneplacito celeste, affinché possano raggiungere la libertà fisica e morale.



Son tante e, come detto, ognuna diversa dall’altra.

C’è la dolcissima Ona (Rooney Mara), incinta, quieta e sorridente, ma determinata, anche a tenere il bambino che ha in grembo, seppure frutto della violenza.

C’è Salome (Claire Foy), la vittima dello stupro con cui si apre il film, madre di un bambino di tre anni. Si era ribellata quella notte aggredendo gli uomini con una falce. Una guerriera dallo sguardo buono che sogna la libertà.

Poi c’è Mariche (Jessie Buckley), una tipa tosta che litiga con tutte, la più rabbiosa, talmente indecisa su quale soluzione adottare che le capita pure di cambiare idea, pur restando la meno accondiscendete a venire a patti, la più istintiva. Ha le sue ragioni per essere così: a suo tempo, aveva perdonato le intemperanze del marito su suggerimento di Greta e, per questo motivo, adesso è questa ad essere stata messa da lei sotto accusa

Agata (Judith Ivey), donna matura, saggia, che si ispira sapientemente alle citazioni religiose e cerca di tenere la calma nelle discussioni animate, dà consigli preziosi e tranquillizza le più agitate.

Greta (Sheila McCarthy) è un’altra signora meno giovane e usa con intelligenza e nel momento opportuno le sue simpatiche metafore a proposito del comportamento dei suoi due cavalli nei casi di pericolo o di indecisione. Donna preziosa nel contribuire alla discussione.

Poi tutte le altre, ragazzine comprese, che parlano poco ma assistono con interesse cercando di capire e carpire quanto più possibile, data la loro età; Nettie, la ragazza che si sente nata e cresciuta nel corpo sbagliato ed oggi, vestito con la salopette maschile da lavoro, si fa chiamare Melvin: l’unica che non partecipa al lungo dibattito è Scarface (Frances McDormand), una donna scontrosa che si è tirata fuori dalla mischia e preferisce l’isolamento.

Infine, come detto, c’è il verbalizzante, l’unico che sa scrivere, il maestro August, un giovane sensibilissimo e gentile, sempre sull’orlo del crollo psicologico.



Davvero arduo trovare un accordo tra tutte e ci si arriva solo dopo tante discussioni aspre, votando i pro e i contro per ogni soluzione, per giungere a capire i vantaggi e i lati negativi di ognuna delle tre vie d’uscita. Il dibattito è duro ma molto ben argomentato, con tesi plausibili per ogni teoria, facendo pendere la bilancia una volta di qua ed una volta di là a seconda dei momenti e dei convincimenti singoli, che inevitabilmente fanno cambiare idea anche a chi ce l’aveva chiara prima, insinuando dubbi e ripensamenti, ma con la consapevolezza che una volta raggiunta una decisione definitiva, di sicuro sarebbero rimaste tutte compatte e senza pentimenti. Perché i patimenti, le sottomissioni, le violenze dovevano cessare, perché tutte le donne erano arrivate al capolinea della sopportazione.



La bravura strepitosa di Sarah Polley è stata quella di ridurre il romanzo ad una vera e propria piéce teatrale, che ha richiesto, di conseguenza, una recitazione con l’atteggiamento da palcoscenico con tutte le sue peculiarità: quasi sempre in un ambiente (il fienile), movimenti ridotti al minimo, campi e controcampi, dialoghi fitti. L’eccellente sceneggiatura, premiata infatti da molti trofei, tra cui l’Oscar, è impegnativa sia per le bravissime interpreti (ma proprio tutte) che per i contenuti, destandomi solo qualche perplessità a proposito del linguaggio forbito e preparato dei personaggi, che trovo, mi si permetta, incongruo con la preparazione culturale delle stesse, dal momento che erano state lasciate ignoranti e senza scolarità dai prepotenti maschi. Ciò, però, non toglie nulla all’opera per la sua importanza sociologica nei confronti dell’affermazione della personalità femminile. Se la battaglia femminista in quel luogo e in quel tempo era lontanissima, è già un primo segnale della giusta ribellione.



Rilevante è l’atto di immaginazione femminile che conduce alla possibilità di creare uno spazio e un tempo limitato dove solo le donne hanno la facoltà di discutere, di confrontarsi, e infine di decidere come agire, a fronte delle tre sole pensabili alternative già menzionate. Quelle donne, in quella porzione di tempo che sembra rubato agli uomini, estrapolano dal loro intimo ogni tema che le affligge, dalla dolorosa consapevolezza di aver perdonato fino ad allora e troppe volte i violentatori al desiderio – quasi un sogno – di educare gli adolescenti affinché quel dramma non si ripetesse. Ma fanno ancora in tempo? E se quel fienile è un palcoscenico, esso rappresenta anche la ristrettezza e la riduzione dello spazio umano e sociale concesso a loro, accentuato dalla importante fotografia dai colori ridotti all’essenziale, fino ad una sorta di desaturazione da sembrare quasi un film in chiaroscuro. Per questi motivi, la regia della encomiabile Sarah Polley si riflette sulla messa in scena ridotta ai minimi termini, con la maggior parte del film in quel luogo ristretto e solo diversi flashback che servono a spiegare con le immagini le malefatte o l’ingenuità dei bambini che giocano ignari nei campi della campagna circostante. Fondamentale, infine, la scena finale dei saluti tra il mite August e l’affannata Salome (che in pratica apre e chiude il film), la quale gli spiega quanto sia importante che il resoconto da lui trascritto rimanga nelle sue mani affinché il loro trauma diventi una testimonianza, una storia, da raccontare. Che non resti un segreto.



Le donne finalmente parlano e, come dice il sottotitolo aggiunto in italiano, è arrivato il momento di scegliere perché ne hanno il diritto.

I fatti sono reali: tra il 2005 e il 2009, 150 tra donne e bambine appartenenti a una comunità mennonita in Bolivia sono state drogate, con un sedativo per bestiame, e stuprate mentre erano incoscienti da nove uomini della stessa congregazione. Da qui il libro di Miriam Towes, da cui ne è scaturito un film impegnato e impegnativo per tutti: per chi lo ha scritto, diretto e recitato, e per chi si siede per guardarlo e, soprattutto, ascoltarlo. Chi si deconcentra e non ascolta con massima attenzione lo troverà noioso, quando invece è, a parer mio, bellissimo, supportato dalle straordinarie musiche di Hildur Guðnadóttir, tra il registro country e il drammatico.

Davvero eccellenti tutte le attrici e il buon Ben Whishaw, ma su tutte si ergono Rooney Mara, Claire Foy e la strepitosa Jessie Buckley.



Riconoscimenti

2023 – Premio Oscar

Miglior sceneggiatura non originale

Candidatura per il miglior film

2023 – Golden Globe

Candidatura per la migliore sceneggiatura

Candidatura per la migliore colonna sonora originale

2023 – Writers Guild of America Award

Miglior sceneggiatura non originale

2023 – Critics' Choice Awards

Migliore sceneggiatura non originale



 
 
 

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