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Worth - Il patto (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 5 nov 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 10 set 2023


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Worth - Il patto

(What Is Life Worth) USA 2020 dramma biografico 1h58’


Regia: Sara Colangelo

Sceneggiatura: Max Borenstein

Fotografia: Pepe Avila del Pino

Montaggio: Julia Bloch

Musiche: Nico Muhly

Scenografia: Tommaso Ortino

Costumi: Mirren Gordon-Crozier


Michael Keaton: Kenneth Feinberg

Stanley Tucci: Charles Wolf

Amy Ryan: Camille Biros

Tate Donovan: Lee Quinn

Shunori Ramanthan: Priya Khundi

Laura Benanti: Karen Abate

Talia Balsam: Diane Shaff

Marc Maron: Bart Cuthbert

Chris Tardio: Frank Donato

Victor Slezak: John Ashcroft

Gayle Rankin: Maya

Catherine Curtin: Joan

Johanna Day: Ruth

James Ciccone: James


TRAMA: Kenneth Feinberg è un avvocato di successo nominato Special Master del fondo per il risarcimento delle vittime dell'11 settembre. Incaricato dal Congresso americano, ha il compito di distribuire compensi finanziari alle vittime della tragedia e di quantificare perdite incalcolabili di fronte al cinismo, alla burocrazia e alle politiche di divisione.


Voto 7

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Quanto vale la vita umana?

Se lo chiedeva anche il bel film di Paolo Virzì (Il capitale umano) e resta una domanda che ci si pone ogni volta che il sistema economico moderno deve valutare il risarcimento per la morte da incidente di vario tipo di una persona: è in questo momento che le formule e le stime si basano sulla professione, il reddito, il mutuo contratto (come viene citato proprio nel film) che riguardano il defunto. È un sistema cinico, freddo, impietoso, che tratta gli esseri umani come semplici anelli di quella catena che è la concezione economico-finanziaria della vita produttiva di un Paese. “La loro vita è finita allo stesso modo, ma i loro mutui erano diversi.” afferma il protagonista per giustificare il suo metodo. È agghiacciante ma tant’è. Qualche volta il problema si presenta in maniera eclatante e questo bel film, rifacendosi a ciò che è realmente accaduto dopo il crollo delle Torri Gemelle del World Trade Center dell’11 settembre del 2001 - giornata che l’umanità non dimenticherà mai, sia per la inutile ferocia con cui i piloti suicidi realizzarono il tremendo piano, sia per il numero delle vittime (circa 3.000 tra civili, agenti e pompieri) – ce ne dà una dimostrazione illuminante.

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Diretto da Sara Colangelo, l’autrice di Lontano da qui, il dilemma morale alla base del film nasce come una sorta di disagio filosofico ed etico nell'attribuire un valore in dollari alla vita delle persone. Si trattava di una sorta di "esercizio volgare" (come dice la regista) per monetizzare le perdite umane. Infatti, dopo l'11 settembre, il Governo aveva creato un Fondo incaricando l’avvocato Kenneth Feinberg di gestirlo, il quale, con l’aiuto della sua associata (e vice nel compito assegnatogli), Camille Biros e con tutto il suo avviatissimo studio legale, avrebbe dovuto aiutare le famiglie delle vittime ad andare avanti. Sarebbero stati risarciti, sebbene nulla poteva rimpiazzare la perdita di un individuo, ma si poteva aiutare a rimediare alle perdite economiche. Il viaggio mentale del gestore fu quello di passare dal cinismo dei calcoli finanziari all’interessamento dell’aspetto morale, studiando caso per caso, ascoltando ciascuno dei soggetti in causa, ogni sua storia e ogni sua necessità. È proprio sul percorso mentale del gestore che la regista punta tutta l’attenzione, sul suo mutamento di vedute nel complesso, passando da una iniziale fredda formula per stabilire il risarcimento ad una considerazione più umana e soggettiva studiando le diversissime situazioni familiari delle vittime, operazione molto complessa che richiese colloqui singoli con ogni nucleo interessato. Non fu un passaggio agevole né dal punto di vista psicologico per Ken Feinberg né organizzativo: la sua formula proposta all’inizio delle trattative sconcertò gli interessati e li fece allontanare da ogni ipotesi di accordo, ma sia gli avvocati dello studio che avevano sentito le prime testimonianze, sia l’intervento dell’avvocato Charles Wolf, che, rimasto vedovo dopo gli attentati aveva organizzato un comitato per difendere quei familiari, fecero ammorbidire la rigidità iniziale del gestore del Fondo.

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In realtà, Feinberg era in mezzo a due fronti con cui era difficile contrattare: da una parte appunto i familiari delle vittime, dall’altra l’arduo compito di evitare che questi ricorressero a vie legali per ottenere i risarcimenti, che, data la gravosa situazione, avrebbero fatto sicuramente fallire le compagnie aeree. Senza trascurare che gli interventi dei politici nella faccenda erano pesanti e non davano molto spazio alla libertà di movimento dell’avvocato incaricato. L’importante, comunque, era arrivare almeno all’80% delle adesioni delle famiglie al piano proposto, altrimenti il suo lavoro sarebbe stato un fallimento. La bravura di Sara Colangelo è stata quella di non ridurre la trama ad una faccenda di numeri, così come era il compito di Feinberg, che rischiava in uguale misura, ed entrambi hanno raggiunto efficacemente lo scopo preposto. Come anche c’è da osservare che il film non prende la piega del legal thriller, in quanto proprio il convincimento successivo dell’avvocato e la pietas umana che si impadronì dei suoi più stretti collaboratori portò a considerare ogni caso a sé e mediante i commoventi incontri con quella povera gente si riuscì ad arrivare a compromessi economici che, sebbene non potevano restituire la vittima alle loro famiglie (viene anche ricordato nel film che moltissimi dei corpi non sono mai stati ritrovati) almeno andavano incontro alle loro stringenti e imminenti esigenze. Tanti sono gli incontri che toccano il cuore dello spettatore (davvero toccante il colloquio con il partner gay di una vittima, che non aveva diritto ad alcun riconoscimento in quanto in Virginia, dove risiedevano, non sono ammesse le unioni civili) ma la bravura degli attori (Amy Ryan, Shunori Ramanthan e Ato Blankson-Wood) non rendono mai patetiche quelle scene, anzi ne rendono perfettamente il senso e il dolore.

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Percorso differente fu quindi quello di Ken Feinberg, prima rigido contabile incaricato, poi, mentre collezionava i piccoli ricordi dei morti che i familiari gli lasciavano nello studio, sempre più partecipe dell’aspetto umano e affettivo dei vari casi. Fino a giungere a cifre che soddisfacevano tutti e a raggiungere con un rush finale la quasi totalità delle adesioni alle proposte. Pochi non aderirono e a loro egli ricordava che potevano certamente ricorrere in tribunale ma in quel caso correvano sempre il rischio di perdere la battaglia legale, dopo aver anche rifiutato le sue offerte. Quell’avvocato andò oltre i suoi compiti, scoprì la dignità oltre il denaro, la pietà che non è prevista dalla giustizia. Parte del merito andò a quel bellissimo e quieto personaggio interpretato magnificamente da Stanley Tucci, l’avvocato Charles Wolf, che seppe essere il raccordo tra le famiglie e Feinberg e che alla fine riuscì anche a convincere i suoi assistiti dell’affidabilità e del cambiamento di visione di quest’ultimo.

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Se gli attori sono tutti all’altezza e veramente apprezzabili, gli applausi però sono quasi tutti per un Michael Keaton superlativo. Praticamente sempre in scena, ha saputo dare peso e senso di umana responsabilità ad un ruolo scomodo che poteva risultare antipatico (e a lui riesce facile, eh!) ma che invece sa mostrare il progressivo cambio di mentalità e la maturazione dell’uomo che deve gestire in altra maniera quel Fondo che gli hanno affidato. Tutto ciò, l’attore lo rende magnificamente, esaltando la recitazione in ogni momento, dosando sempre il tono e la gestualità, sapendo gestire i momenti di sconforto e quelli riflessivi, quelli della diplomazia e quelli di carattere per resistere alle ingerenze politiche ed economiche. Un attore che, oggi, non è solo il fenomenale Birdman di Iñárritu, ma anche un interprete di livello assoluto, capace di vestire molti ruoli non facili. Ma è tutto il cast che gira bene ed è ben coordinato da una attenta Sara Colangelo che si serve di una ottima sceneggiatura costellata di dialoghi efficaci.

Dice il personaggio di Stanley Tucci: “Signor Feinberg, lei si comporta come se la legge discendesse dal Sinai. La prego, non mi venga a dire che non può darci quello che vogliamo. Dica semplicemente che non siamo una priorità. Lo ammetta, a se stesso, qui e ora.

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Sara Colangelo: “Ho accettato di dirigere perché ero affascinata dalla complicata missione del Fondo di risarcimento e dalle motivazioni dell'uomo che lo gestiva, Ken Feinberg. Al centro del mio interesse c'era un dilemma morale. C'è una sorta di disagio filosofico ed etico nell'attribuire un valore in soldi alla vita delle persone. Parla del viaggio di un uomo dal cinismo all'apertura del suo cuore, dall'essere un rigido calcolatore e difensore delle formule attuariali al divenire uno in grado di valutare caso per caso, ascoltando ciascuno dei soggetti in causa, ogni sua storia e ogni sua necessità. Ken passa dal fare affidamento sulla razionalità al lasciar prevalere la compassione. Passa da un approccio abituale a uno più plastico e creativo. È dentro una struttura capitalista ma riesce a sovvertirla in nome dell'umanità. Mi auguro che permetta al pubblico di apprezzare tutte quelle persone straordinarie, dai vigili del fuoco agli avvocati, che hanno unito le loro forze e hanno cercato insieme di ricostruire il mondo.


 
 
 

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