A Civil Action (1998)
- michemar

- 9 lug 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 6 set

A Civil Action
USA 1998 dramma biografico 1h55’
Regia: Steven Zaillian
Soggetto: Jonathan Harr (libro)
Sceneggiatura: Steven Zaillian
Fotografia: Conrad L. Hall
Montaggio: Wayne Wahrman
Musiche: Danny Elfman
Scenografia: David Gropman
Costumi: Shay Cunliffe
John Travolta: Jan Schlichtmann
Robert Duvall: Jerome Facher
Tony Shalhoub: Kevin Conway
William H. Macy: James Gordon
Mary Mara: Kathy Boyer
Željko Ivanek: Bill Crowley
Kathleen Quinlan: Anne Anderson
Bruce Norris: William Cheeseman
John Lithgow: giudice Walter J. Skinner
James Gandolfini: Al Love
Stephen Fry: Pinder
Dan Hedaya: John Riley
David Thornton: Richard Aufiero
Sydney Pollack: Al Eustis
Kathy Bates: giudice fallimentare
TRAMA: Jan Schlichtmann è un avvocato di successo specializzato in cause per lesioni personali, un uomo che si vanta di vincere cause su cause ed è orgoglioso della sua Porsche. Ma la sua vita un giorno cambia quando deve difendere otto famiglie di Woburn, Massachusetts, che, per colpa degli scarichi industriali di due aziende, hanno perso i loro figli per leucemia. La maggior parte degli avvocati del suo collegio non avrebbero accettato una causa del genere, ma Jan decide di mettersi in gioco.
Voto 7

Che tipo di uomo, prima che avvocato, sia Jan Schlichtmann (John Travolta) lo si intuisce immediatamente: spavaldo, vestiti firmati, tirato a lucido, sguardo in avanti, sicuro di sé ed infine, come marchio di casa, una Porsche che lo scarrozza in giro, pronto ad avventarsi come una iena sull’occasione da cogliere al volo. Le occasioni, per chiarire, sono quelle in cui, per via di un incidente automobilistico o qualcosa di simile e di qualsiasi altra natura, resta a terra un ferito, un claudicante, una persona in sedie a rotelle e via dicendo: quindi l’opportunità di difendere l’offeso e richiedere l’adeguato risarcimento per il danno ricevuto, rappresentato da una cifra importante, che almeno dia conforto alla persona offesa e rimpingua in percentuale le entrate dello studio legale di Boston in cui Jan opera assieme a Kevin Conway (Tony Shalhoub), James Gordon (William H. Macy) e Bill Crowley (Željko Ivanek), il trio di avvocati che lo supportano, ognuno con competenze specifiche. In più la segretaria Kathy Boyer (Mary Mara) che li segue con apprensione.

Tra un caso infortunistico e l’altro che Jan non si fa mai sfuggire, capita di essere invitato ad assumere il patrocinio in una causa contro due industrie, la Beatrice Foods e la WR. Grace & Co.: infatti, secondo l’opinione di Anne Anderson (Kathleen Quinlan) - rappresentante di otto famiglie che hanno perso i loro figli a causa della leucemia, che ha fatto anche altre cinque vittime - quelle malattie sono state causate dai loro scarichi che hanno inquinato la falda acquifera che serve la piccola comunità di Woburn. La richiesta della donna è quella di chiedere che le aziende siano condannate ad un risarcimento e che debbano chiedere scusa. Figuriamoci se l’esperto di piccole ma proficue cause si possa davvero interessare ad un caso così complesso e soprattutto difficile date le difficoltà a dimostrare la tesi degli abitanti di Woburn e la lunghezza dell’eventuale processo, che per essere vinto necessita di un costoso impianto probatorio! Lui è molto scettico e riluttante e i suoi colleghi sono del tutto contrari, ma l’ipotesi – alquanto lontana – di poter vincere in tribunale in un caso come questo darebbe loro più notorietà e successo. Per questo l’avvocato, alla fine, accetta.

Inizia così un lungo calvario di ricerche e di studi per avere testimonianze sia di famiglie danneggiate che di tecnici specializzati che possano supportare la tesi da dimostrare. Alcuni operai delle ditte sono reticenti per paura di perdere il posto di lavoro, altri sono tentati di confessare le malefatte a cui hanno assistito (sversamenti di liquidi altamente inquinanti, fosse per i bidoni dei rifiuti tossici) perlomeno per compassione verso le vittime dei vicini di casa, ma anche perché sanno bene che l’acqua che scorre nei rubinetti non è che sia proprio potabile. Uno di questi è Al Love (James Gandolfini).
Il problema principale è, oltre alle prove scientifiche, quello di dover combattere una battaglia persa in partenza contro i potenti studi legali che difendono le due ditte, in particolare l’esperto Jerome Facher (Robert Duvall), professore di diritto penale all'Università di Harvard, il quale, assieme all’altro avvocato William Cheeseman (Bruce Norris), offre una sostanziosa ma non sufficiente transazione, che ai tre colleghi di Schlichtmann (essendo un piccolo studio) si rivela attraente ma che questi rifiuta per ottenere una somma decisamente maggiore. Può mai un manipolo di avvocati di medio livello vincere contro un’armata esperta, potente e preparata come gli studi che difendono le ditte incriminate? Giammai. E sarà la rovina finanziaria dei quattro, mandati sul lastrico per le eccessive spese sostenute nel frattempo, mentre le povere famiglie in attesa vedono sfiorire ogni speranza.
Il dramma umano è forte e ben raccontato da Steven Zaillian, mentre l’aspetto legale, con le scene in tribunale, non è pesante o noioso, anzi tutt’altro. Non è un film dagli effetti speciali, ma qualcosa di importante, a livello umano, avviene ed è rappresentato dalla virata che muove il protagonista Jan Schlichtmann, che da cacciatore di ambulanze diventa il paladino dei diritti della povera gente, impotente davanti alla forza degli avvocati avversari. Il film, che è basato sul libro di Jonathan Harr (che, a sua volta, racconta un caso vero) si apre mostrando quanto sia abile l’operato di Jan in tribunale, ma per spiegare a noi spettatori la reale situazione del mondo giuridico e legale degli USA bastano i primi minuti del film in cui la voce fuori campo del protagonista ci insegna alcune delle regole di base della legge sulle lesioni personali: “È un fatto. È raro che un querelante morto valga quanto uno vivo con una grave menomazione. Un morto ventenne vale meno di uno di mezza età, una donna morta meno di un uomo, un single meno di uno sposato, un nero meno di un bianco, un povero meno di un ricco. La vittima perfetta è un maschio bianco di quarant’anni all’apice del suo potenziale di reddito, stroncato nel fiore degli anni. E la più imperfetta? Beh, secondo i calcoli della legge un bambino morto vale meno di tutto.” Così è, se vi pare o no, questo è il sistema americano e se il film, tratto appunto da una storia vera, narra una vicenda insopportabile, è invece su questi aspetti che il regista volge la sua e la nostra attenzione. E fa impressione. Specialmente ai giurati della prima causa a cui assistiamo, in cui lui entra in aula con il suo cliente in carrozzella con scarpe slacciate, muto e abbattuto, con la giuria che guarda con commiserazione il ricco accusato che non può non avere avvocati di grido. Ed invece, con un riuscito gioco di campi e controcampi del regista, la sorte del verdetto sembra già segnata, con la conseguente richiesta di un risarcimento coi fiocchi. Il che fa anche gioire la compagnia di Jan. Vedere poi nel finale come lo studio si sia liquefatto, come siano spariti dalla circolazione i colleghi e la fine miseranda che ha fatto lui, costretto a lavorare su casi insignificanti e ristretto in un miniappartamento con la sua macchina da scrivere e muoversi con i mezzi pubblici fa impressione. Minore, ma la fa.
Il film è realizzato da Steven Zaillian con ordine e precisione, facendo appassionare parecchio alla storia, ed il cast fa il suo dovere molto, molto bene, a cominciare da uno dei migliori John Travolta che si possano vedere in giro, soprattutto nei giorni del benessere, delle cravatte di lusso e della sua potente fuoriserie: baldanzoso, azzimato, una sorta di Tony Manero dei tribunali. Per giunta recitare con sicurezza pienamente nel suo ruolo. Bravissimi i tre compari di studio che paiono i tre porcellini della celebre animazione: Tony Shalhoub, William H. Macy e Željko Ivanek sono simpaticissimi e strepitosi nel loro muoversi, ammiccare e litigare, riuscendo a mitigare il dramma e fornendo attimi da commedia che fanno sorridere, tranne poi vederli intristire vieppiù quando lo studio va a rotoli. Tutti bravi, anche il buon James Gandolfini e la ottima Kathleen Quinlan. Ma su tutti non può non emergere un grandioso Robert Duvall, nel ruolo di un maestro del sistema giuridico americano, che si crea un personaggio micidiale, metodico, inflessibile, impassibile, come un asceta dei codici giuridici. La scena in cui lo vediamo nei brevi intervalli di lavoro nascosto in un angolo dell’archivio, con la radiolina accesa, la palla da baseball, il panino bisunto e le espressioni da vecchio drago della magistratura è uno spettacolo a sé. E poi, in aula, col sorriso placido di chi sa che con grande efficacia e nel momento giusto tirerà fuori l’asso dalla manica, mentre l’imperterrito Jan combatte la sua guerra personale e per conto delle famiglie che ormai ha preso a cuore.

Un buonissimo film erroneamente trascurato e forse dimenticato e che invece andrebbe rivalutato e rimesso in circolazione almeno nelle reti televisive e nello streaming. Ottimo lavoro da parte di un regista normalmente votato alla scrittura (sue le sceneggiature di grandi successi di Martin Scorsese, David Fincher, Steven Spielberg, Sydney Pollack, Ridley Scott e nel suo esordio con John Schlesinger con il bel Il gioco del falco) e di un cast in piena forma.

Riconoscimenti (tra 5 premi e 10 candidature)
1999 – Premi Oscar
Candidatura miglior attore non protagonista a Robert Duvall
Candidatura miglior fotografia
1999 – Golden Globe
Candidatura miglior attore non protagonista a Robert Duvall


















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