American Fiction (2023)
- michemar
- 6 mar 2024
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 11 mar 2024

American Fiction
USA 2023 dramma 1h57’
Regia: Cord Jefferson
Soggetto: Percival Everett (romanzo “Cancellazione”)
Sceneggiatura: Cord Jefferson
Fotografia: Cristina Dunlap
Montaggio: Hilda Rasula
Musiche: Laura Karpman
Scenografia: Jonathan Guggenheim
Costumi: Rudy Mance
Jeffrey Wright: Thelonious "Monk" Ellison
Tracee Ellis Ross: Lisa Ellison
Erika Alexander: Coraline
Leslie Uggams: Agnes Ellison
Sterling K. Brown: Clifford Ellison
Myra Lucretia Taylor: Lorraine
John Ortiz: Arthur
Issa Rae: Sintara Golden
Adam Brody: Wiley
Keith David: Willy the Wonker
Raymond Anthony Thomas: Maynard
Okieriete Onaodowan: Van Go Jenkins
Miriam Shor: Paula Baderman
Michael Cyril Creighton: John Bosco
Patrick Fischler: Mandel
Neal Lerner: Wilson Harnet
J.C. MacKenzie: Carl Brunt
Jenn Harris: Ailene Hoover
Bates Wilder: Jon Daniel Sigmarsen
TRAMA: Il professore Monk è un romanziere frustrato stufo dell’establishment che trae profitto dall’intrattenimento imperniato sulla mentalità dei neri e che si basa su cliché stanchi e offensivi. Per dimostrare la sua tesi, usa uno pseudonimo per scrivere il suo stravagante libro “Black”, che lo catapulta finalmente nel successo editoriale ma anche nel cuore dell’ipocrisia e della follia che tanto disdegna.
Voto 7

Il professore e scrittore di buon successo Thelonious Ellison (un eccellente Jeffrey Wright), per tutti Monk come il celebre musicista jazz (l’idea di partenza dell’autore del soggetto è la crasi tra Thelonious Monk e il romanziere Ralph Waldo Ellison) è stufato e scoraggiato da quel concetto tanto di moda da qualche anno che viene definito “politicamente corretto”. Non sopporta più il fatto che non si accetti, per esempio, il termine nigger, atteggiamento che lui giudica ipocrita, dato che la gente di colore viene trattata da molti, comunque, con scarso rispetto se non proprio razzismo e discriminazione. Proprio su questa parola inizia il film, nella sua aula di letteratura in cui scoppia una polemica discussione con i discenti. Giusto per mettere in chiaro, da parte del regista esordiente nel lungo – dopo diverse esperienze in serie TV -, di qual argomento tratterà il film. Anzi, sempre più spesso il docente-scrittore si irrita per la sensibilità culturale dei suoi studenti, fino al punto che rischia di mettere a repentaglio la sua posizione accademica, motivo per cui il collegio dei colleghi lo invita a prendersi una vacanza e di rilassarsi. Nel frattempo, peggiorando la sua tranquillità, il suo ultimo romanzo viene rifiutato da molti editori, che rispondono genericamente allo scrittore che il suo racconto non è abbastanza nero come ci si attenderebbe. La sua irritazione, che ormai si trascina da qualche tempo, lo ha reso arrogante e nello stesso tempo sfiduciato verso il prossimo e la sua passione nella scrittura. Neanche il suo agente Arthur (John Ortiz) riesce più a tenerlo calmo, a invitarlo ad adeguarsi e a fargli scrivere qualcosa che finalmente venga accettato dalle case editrici.
Si intuisce subito che il film abbia tanta voglia di sbertucciare con intelligenza, arguzia e tanta ironia i tanti stereotipi legati alla rappresentazione della comunità nera nel cinema, nella letteratura o in televisione. Non per nulla il regista Cord Jefferson è un nero e quindi, sicuramente, conosce l’argomento da trattare, come d’altronde l’autore del romanzo Percival Everett. La famiglia del protagonista Monk è composita e da diversi anni non la frequenta e non la cerca, ma il periodo di pausa che lo sta costringendo a tornare da Los Angeles nella natale Boston significa riprendere i contatti con la madre, affetta ora da un inizio di Alzheimer, l’anziana ed affezionatissima governante Lorraine ed il fratello Clifford (Sterling K. Brown), che ha abbandonato moglie e figli da quando non ha più nascosto la sua identità sessuale, essendo un gay proclamato e che vive continue avventure con uomini occasionali. L’unica vera novità che gli capita è di conoscere la bella ed attraente Coraline (Erika Alexander), una donna separata che vive di fronte alla casa degli Ellison. È una relazione che potrebbe tranquillizzarlo e magari ispirarlo meglio per un impossibile nuovo romanzo ma la sua irritazione cresce quando viene al corrente dell’enorme successo che sta avendo una scrittrice nera, Sintara Golden (Issa Rae), il cui libro, dal titolo in slang “Lives in Da Ghetto”, è diventato un vero best seller. Non, lui non è fatto per scrivere un romanzo che debba per forza piacere e seguire la corrente black, non è la persona adatta per seguire lo stereotipo tanto richiesto, ma una volta provocato dalle varie vicissitudini e dalle discussioni domestiche, ora che fa la spola tra la propria di casa e quella di Coraline, si decide provocatoriamente a scrivere un libro alla moda, tanto richiesto dagli editori. Si chiamerà “My Pafology” (da tener presente che nello slang dei neri la “f” sostituisce spesso la “ph”) che poi decide a scopo polemico e provocatorio di cambiarlo addirittura in… “Fuck” e si firmerà con lo pseudonimo di Stagg R. Leigh, facendosi passare (per riscuotere maggior attenzione da parte degli editori e dei lettori) per un carcerato evaso. Il massimo per cavalcare l’onda! Ed ecco il boom e anche tanti soldi come anticipo, necessari più che mai ora che il peggioramento dello stato di salute della madre richiede il ricovero in una clinica specializzata. E nessuno dei familiari ha intenzione di occuparsi neanche delle bollette.
È evidente quanto Monk sia borghese e snob, paternalistico e scollato dalla realtà che lo circonda, ma come dargli torto quando si infuria perché i suoi romanzi - in cui, come dice lui, la cosa più nera è l’inchiostro - vengono esposti nelle librerie nella sezione dei tipici libri della narrativa afroamericana, quando invece lui scrive tutt’altro? Oppure quando si indigna per l’ipocrisia dei libri di grande successo che parlano dei ghetti ma sono falsi e per nulla sinceramente autentici? Il segreto della sua doppia autorialità resta tra lui e l’agente Arthur e per questo i parenti e la sua donna non capiscono i motivi del comportamento che ha assunto negli ultimi tempi. Per giunta è stato invitato (è pur sempre uno stimato letterato) a partecipare con altri quattro scrittori e critici a leggere una lista di romanzi appena editi (uno dei quali si intitola “White Negroes”…) per scegliere il vincitore di un premio importante: The Literary Awards. E quale libro entra nella selezione a grande richiesta degli altri esaminatori? Facile indovinare, dopo l’esplosione del successo di “Fuck”! E chi potrebbe mai vincere per completare la missione di un film siffatto?
Sono tanti i temi, sebbene attigui e complementari, che il film della coppia Cord Jefferson - Percival Everett vuole toccare, ma tutti partono dal concetto basilare del pensiero pulito e politicamente corretto che riguarda la discriminazione razziale ammantata dal perbenismo ipocrita che domina nella società odierna. Ciò che Monk non sopporta è chiaro sin da subito, in questo film, e il protagonista lo ribadisce ad ogni piè sospinto: in primis la cosiddetta woke culture, e poi perché la gente fa finta di non essere razzista (qual è allora il motivo per cui il tassista non si ferma alla sua chiamata e sceglie invece il bianco appostato venti metri più in là?); e ancora perché i neri vogliono sembrare non neri; perché scrivono libri dell’ambiente black in quanto piacciono ai bianchi; perché scrivono cose che devono piacere e seguono l’onda in voga; perché la blaxploitation ha fatto più danni invece che facilitare l’accettazione; perché i comitati letterari discutono animatamente di bazzecole riguardanti libri abbastanza mediocri; perché si scrivono libri che possano un giorno diventare anche film, realizzati da registi e produttori a cui non interessa la qualità dell’opera ma il profitto scaturito da un soggetto che va per la maggiore. Ma anche il perversare dello show business, o il dramma di una famiglia (tutti medici) in frantumi con un padre fedifrago, un fratello separato, una sorella inesistente, lui stesso perennemente assente ingiustificato e solitario. A cui aggiungere una bella e liberatoria relazione con una donna intelligente e vivace che lui non tratta al meglio e che arriva a cacciarlo. C’è tanta roba, forse anche troppa, ma tutta raccolta e avvolta intorno a Monk, il quale si mostra forte e resistente ma non decide mai di rilassarsi e affrontare la vita com’è e come andrebbe presa per vivere con una parvenza di felicità. Perché, oltre tutto, rovinare il bel rapporto instaurato con Coraline è davvero una pessima colpa, tutta sua.
Come a conferma delle sue scelte filosofiche, prova ne è che, quando Monk esce dallo studio cinematografico in cui il regista Wiley (Adam Brody) sta iniziando a girare il film del suo “Fuck” e lo attende la rossa spider del fratello Clifford, lui incrocia lo sguardo di un attore, quello che impersona uno schiavo afroamericano in un film. Che fa uno schiavo afroamericano. Visto che non cambia nulla? Lo erano stati, erano stati trascinati in America per essere tali e forse lo sono ancora. Del resto, lui ha scritto un libro che non voleva scrivere, lo ha fatto solo per dileggio, e ora è diventato un boom commerciale ed addirittura un film. Ora è sempre più convinto di avere ragione.
Il bel film di Cord Jefferson non è, come appunto dice il protagonista, nero solo nell’inchiostro del soggetto di Percival Everett: è il colore dei due autori, della quasi totalità degli attori del cast, della visione negativa del protagonista. È un film scritto con intelligenza e tanta autoironia, con dialoghi davvero brillanti e citazioni scherzose di attori celebri (ovviamente black), che scorre in una visione molto piacevole, ma ha un finale incerto, che prima scherza sui risvolti finali differenti del film che scaturisce dal romanzo di Monk (sempre per dover accontentare i gusti del pubblico), e poi si avvia alla vera conclusione deludendo lo spettatore che vuol sapere anche come va a finire la storia d’amore con Coraline. Un funerale, un matrimonio impensabile, la famiglia perlomeno unita in una cerimonia importante, ma quale strada prendono i vari personaggi non interessano al regista. Un film che scorre veloce e fluido, eccetto qualche scricchiolio che nel transito tra un registro e l’altro dimostra alcuni attriti, e ci lascia senza il tradizionale lieto fine. Ed ognuno sulla sua strada. Com’è giusto che sia.
Il pubblico americano, e non solo, ha gradito pure più di me l’esordio del regista, a cui va il merito anche di aver scelto con oculatezza il cast, ad iniziare dal magnifico Jeffrey Wright (sullo schermo dal primo all’ultimo istante), da sempre un ottimo comprimario (comparso già in ben 84 opere, tra cinema, serie, TV e videogames), sempre nella seconda fila dietro i famosi protagonisti (a qualcuno però sarà sfuggito l’altra occasione che ha avuto come primattore in un discreto film passato sottotraccia, O.G. - Original Gangster). È bravissimo in ogni circostanza, ora misurato ora più rafforzato, gestualità da attore esperto, recitazione ottimale: una prova che non è passata inosservata e che gli ha dato qualche riconoscimento ampiamente meritato. Cosa che è successa anche al bravo Sterling K. Brown. Se quindi gli attori (tutti eccellenti) sono stati apprezzati nella loro esibizione, il film nella sua interezza ha riscosso plausi e stime positive e non è sfuggito alle giurie dei primi più importanti.
Buonissimo film di impronta indie mille miglia lontano da Green Book (commedia bella ma troppo buonista sull’amicizia tra un autista bianco e un pianista di colore negli Anni ’60) con ottima recitazione da parte di tutti, regia promettente. Da seguire, quindi, l’evoluzione del buon Cord Jefferson.

Riconoscimenti
2024 - Premio Oscar
Migliore sceneggiatura non originale
Candidatura per il miglior film
Candidatura per il miglior attore per Jeffrey Wright
Candidatura per il miglior attore non protagonista per Sterling K. Brown
Candidatura per la migliore colonna sonora
2024 - Golden Globe
Candidatura per il miglior film commedia o musicale
Candidatura per il miglior attore in un film commedia o musicale per Jeffrey Wright
2024 - Screen Actors Guild Award (SAGA)
Candidatura per il migliore attore protagonista per Jeffrey Wright
Candidatura per il migliore attore non protagonista per Sterling K. Brown
Candidatura per il miglior cast cinematografico
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