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Itaca - Il ritorno (2024)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 30 giu
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 12 set

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Itaca - Il ritorno

(The Return) Italia, Grecia, UK, Francia 2024 dramma/avventura 1h56’

 

Regia: Uberto Pasolini

Soggetto: Omero (Odissea)

Sceneggiatura: Uberto Pasolini, John Collee, Edward Bond

Fotografia: Marius Panduru

Montaggio: David Charap

Musiche: Rachel Portman

Scenografia: Giuliano Pannuti,

Costumi: Sergio Ballo

 

Ralph Fiennes: Odisseo

Juliette Binoche: Penelope

Charlie Plummer: Telemaco

Ángela Molina: Euriclea

Claudio Santamaria: Eumeo

Tom Rhys Harries: Pisandro

Marwan Kenzari: Antinoo

Chris Corrigan: Polibo

Jamie Andrew Cutler: Eurimaco

Moe Bar-El: Elato

Nikitas Tsakiroglou: Laerte

Ayman Al Aboud: Indio

Amir Wilson: Filezio

Francesco Bianchi: Anfimedonte

Adel Ahmed: Agelaus

Nicolas Retrivi: Eleno

Bruno Cassandra: Promaco

Cosimo Desii: Euridamo

Maxim Gallozzi: Dulicheus

Stefano Santomauro: Thoas

 

TRAMA: Dopo vent’anni di assenza Odisseo decide di tornare. Il re è finalmente tornato a casa, ma molte cose sono cambiate nel suo regno da quando è partito per combattere nella guerra di Troia.

 

VOTO 7


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Non poche volte il cinema, il teatro, le miniserie televisive, si sono interessati alle mille avventure di Ulisse descritte poeticamente da Omero, spesso innestando la parte drammatica del ritorno e dei sotterfugi per far sì che l’uomo potesse riprendere il trono dell’isola di Itaca. Ma sempre con una narrazione animata dallo spirito avventuriero della storia e da quello mitologico di un uomo dipinto come audace, furbo e inarrendevole. Ricordiamo per esempio l’Ulisse di Camerini con Kirk Douglas e Silvana Mangano (nel miglior periodo dei peplum o l’Odissea televisiva di Franco Rossi con l’indimenticabile coppia Bekim Fehmiu e Irene Papas. Ma l’impronta era sempre quella classica. Ora l’attesa spasmodica è per la versione, sicuramente grandiosa, di Christopher Nolan.



Uberto Pasolini (apprezzatissimo regista di Still Life e Nowhere Special - Una storia d’amore) ha scelto una strada tutta sua, molto in linea con il suo cinema emozionante e coinvolgente, che punta dritto alle suggestioni e ai turbamenti intimi e passionali. Il suo Ulisse, che qui chiama Odisseo (Ralph Fiennes), è un uomo duramente segnato dalla lunga guerra di Troia, tornato in uno stato post traumatico alla pari dei veterani che vediamo nei film americani dopo le guerre in Medioriente. È tormentato non solo dalla durezza della vita vissuta fuori le mura della città fortificata dei nemici ma soprattutto dalla tragedia dei tanti morti e dal fatto che è riuscito a sbarcare avventurosamente sulle coste della sua amata isola da solo, avendo perso in guerra e nel faticoso e lungo viaggio di ritorno i compagni d’arme. Non si sente un privilegiato ma avverte la colpa di essere l’unico superstite fra i suoi uomini e di non essere riuscito a portarli in salvo. Sopravvissuto, traumatizzato mentalmente, pieno di ferite cicatrizzate sul corpo e non nella mente, che invece continua a sanguinare per il dolore e per ciò che ha visto.



Lo danno per morto o disperso, chi addirittura lo addita come traditore della patria, avendo sicuramente scelto di restare dove si è potuto rifugiare e vivere con altre donne, mentre il suo popolo geme sotto l’imperversare dei Proci, banditi di nobili famiglie, nonché tutti, uno per uno, alleati tra di loro ma segretamente nemici di tutti gli altri insidiando la regina Penelope (Juliette Binoche). Sposarla vorrebbe dire approfittare del trono e delle grazie di una donna ancora desiderata. Pochi sperano di rivedere il loro re e attendono fiduciosi, anche se il tempo trascorso in sua assenza si è troppo prolungato. Tra questi, irriducibile e ostinata, è ovviamente Penelope che, per guadagnare tempo, promette di scegliere il futuro sposo dopo aver completato il sudario per il suocero morente, uomo che sta spegnendosi a causa del dolore che prova per la mancanza di notizie del figlio.



È una lunga stoffa che la donna sta confezionando, di colore rosso come il sangue, che lavora con poca lena di giorno e poi, nottetempo, disfa per allungare i tempi di attesa, con il nervosismo dei tanti ospiti non desiderati che bivaccano costantemente a corte, tra cibo, vino e schiave a disposizione, approfittando delle sostanze della famiglia reale. L’unico arrabbiato davvero è il figlio Telemaco (Charlie Plummer), che non ha mai conosciuto il padre e su cui poco conta che possa tornare. Nel frattempo, resiste alle derisioni continue e alle provocazioni dei Proci, che vedono in lui un ostacolo, anche se facilmente sormontabile.



A Pasolini non interessa ciò che è successo prima e punta tutta l’attenzione al periodo che inizia con lo spiaggiamento di Odisseo sino alla lenta penetrazione in quell’ambiente ostile per poter intervenire al momento giusto e con la strategia adeguata, con un piano che solo la sua mente, notoriamente intelligente, può escogitare. E quindi azione sì, inseguimenti e malversazioni sulla popolazione che soccombe sotto la dittatura instaurata dai Proci, uccisione degli uomini ritenuti un intralcio ai loro piani, ma molta attesa e profondo studio tramite una sceneggiatura misurata per studiare a fondo i caratteri e le reazioni intime dei personaggi principali.



Uno di questi è il buon porcaro Eumeo (Claudio Santamaria), costretto a fornire i maialini per le volgari cene dei pretendenti al trono, fedele da sempre al re e perennemente confidente all’idea che un giorno o l’altro tornerà. Infatti, il film inizia con una scena in cui vediamo un uomo che giace sulla spiaggia dell’isola, spinto a terra da quel mare che ha fatto strage dei suoi compagni d’avventura: è, appunto, Odisseo, re di Itaca, finalmente approdato sulle rive del regno lasciato per andare a combattere nella guerra di Troia, accolto umanamente dal porcaro che capisce subito chi sia veramente. Ben presto, appena messosi a malapena in piedi, barba lunga e capelli incolti, pieno di cicatrici, si accorge che gli anni di lontananza hanno cambiato lui e la sua terra. L’Odissea è un viaggio ma quella di Pasolini è un viaggio interiore fatto di sofferenze psicologiche di un uomo che fa fatica a tornare quello che era ma soprattutto che ha difficoltà a poter riprendere possesso del suo regno, ostacolato anche da Telemaco che non può riconoscerlo e che odia di aver avuto un padre che lo ha abbandonato in quelle immense difficoltà. Sarà già un’impresa rivelarglisi e conquistare la sua fiducia, mentre Penelope, alla vista di quel mendicante, ha una strana sensazione, ma neanche lei riesce a riconoscerlo.



Sulla famiglia vigila la tenace Euriclea (Ángela Molina), la nutrice fedelissima di Odisseo, che lo ha cresciuto fin da bambino e ha sempre custodito la sua memoria e la sua casa durante la lunga assenza dell’eroe. Uno dei momenti più toccanti del film è infatti quando la donna si offre di lavare pietosamente i piedi di quel poveraccio arrivato da chissà dove. In quell’istante lei riconosce una vecchia cicatrice sulla sua gamba, segno di una ferita ricevuta da ragazzo durante una caccia al cinghiale, diventando così la prima persona a riconoscerlo, ma Odisseo le impone il silenzio per non compromettere il suo piano di vendetta contro i Proci. La donna rappresenta la memoria affettiva e la lealtà domestica: è un ponte tra l’infanzia del re e il suo ritorno da eroe maturo. La sua figura è da vedere come simbolo della fedeltà silenziosa e della saggezza delle donne anziane nella cultura greca antica. In questo, il regista coglie in pieno la figura, non solo retorica, della servizievole e devota seconda madre dell’eroe.



Come si evince, il film di Uberto Pasolini non è la consueta e conosciuta storia di Ulisse, ma è ben altro. È un discorso più ampio e politico, anche sociale, persino contemporaneo in cui si possono riscontrare i cambiamenti della società moderna, dei cambi di regime, dei momenti e luoghi senza governanti, vuoti che lasciano il potere a bande (partiti estremisti e nazionalisti) organizzate, che si coalizzano pensando un giorno di salire al potere. Diventa, allora, confortante pensare – come dicevano i greci – il nóstos, il ritorno non solo di un re ma del governante giusto e democratico, che deve sovvertire l’ordine imposto con la violenza e la prepotenza. Chissà se il regista ha pensato anche ad un discorso politico così ampio. Di certo ha affermato: “Proponendo un film basato sull’epopea di Omero, sappiamo che il pubblico può sia venire a vedere il film per il mito o non volerlo vedere perché ritiene di conoscerlo già. Con il nostro film vorremmo dare qualcosa a entrambi, a coloro che vogliono ricordare e a coloro che vogliono essere sfidati, offrendo loro questa emozione di riconoscimento, anche se si tratta di qualcosa che non si conosceva prima, si riconosce che è vero. Abbiamo voluto scavare nella psicologia dei personaggi, enfatizzando i conflitti esterni ed interni e dando a una storia di 3000 anni fa l’immediatezza di un thriller contemporaneo.”


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Può sembrare non idoneo un attore come Ralph Fiennes in un ruolo del genere, eppure, dopo qualche perplessità iniziale (troppo vecchio?, poco muscoloso per come deve agire?), lentamente conquista – anche per i significativi primi piani dedicatigli – la sua notevole interpretazione, densa, riflessiva ma nello stesso tempo essenziale, come il film, d’altronde, che è asciugato da ogni orpello e per poter essere introspettivo non solo verso il protagonista il regista (che difatti ci fa conoscere benissimo molti personaggi) dedica il tempo e i dialoghi giusti ad ognuno. Ed ecco perché alla fine sappiamo tanto di Eumeo, di Antinoo (l’ultimo a morire, almeno dignitosamente), di Euriclea e di Telemaco, oltre alla forte personalità della regina Penelope, che si impegna fino in fondo per guadagnare il tempo della speranza.


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Ralph Fiennes è eroico non come Odisseo/Ulisse ma come attore, dandosi tutto come fa sempre, offrendo la sua profonda esperienza nell’espressività e nell’adeguarsi ad un personaggio magro, scavato nel volto e ferito, che deve sapersi esprimere anche nei momenti violenti, specialmente nel finale, ovviamente cruento, che raffigura il definitivo Ritorno tanto atteso. Che è avvenuto senza trionfalismi perché lui è disorientato e debole, gli orrori della guerra lo hanno segnato e appare afflitto dai sensi di colpa, ma il mantello che lo copre per la gran parte del film nasconde un vigore che non è piegato dal dolore e con cui riesce a trasformare in forza il turbamento causato dalla scoperta dei danni che la sua prolungata assenza ha procurato a coloro che ama e alla sua patria tutta. Questo Odisseo è il simbolo di una virilità vetusta, sconfitta, che sa però porsi in ascolto per dirigere la propria forza nella corrente giusta.


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Juliette Binoche sa ottimamente rappresentare una donna la cui interiorità sembra vasta e imperscrutabile come quella dell’oceano. Apparentemente vinta dell’insistenza brutale dei Proci, sembra sul punto di cedere alle loro mire, ma nasconde risorse sempre impreviste. La sua ostinazione si rivela saggia tenacia e le sue riflessioni tragiche sulla guerra riassumono con semplicità tutta l’insensatezza di tanta violenza, opponendo a questa una forza superiore anche a quella delle armi. L’attrice è granitica, statuaria nella sua bellezza, eppure, profondamente umana nel suo sentire, emozionante anche nella loquacità di piccoli gesti o semplici sguardi.


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Il figlio, il giovane irrequieto Telemaco, è interpretato da Charlie Plummer, attore che ho apprezzato in Quello che tu non vedi e Charley Thompson. La sua relazione con il padre è complessa e molto diversa da quel legame quasi cieco che troviamo nell’originale racconto epico. Se il padre è un uomo che non ha mai conosciuto e da cui non si è mai sentito difeso o protetto, al contrario la sua figura rappresenta per lui solo un inarrivabile termine di paragone. Inizialmente riluttante, compie però assieme al padre un percorso che lo porta a conoscere se stesso anche come uomo, oltre che figlio e principe. Bravo attore che cresce di volta in volta.


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Da ammirare anche l’interpretazione di Claudio Santamaria che dà il fisico e la forza espressiva al suo Eumeo, impegnandosi nella recitazione in un inglese molto accettabile. Buonissimo il suo lavoro. Come anche quello del migliore, ma non per questo meno insidioso e presuntuoso, tra i cattivi, l’Antinoo interpretato da Marwan Kenzari, una buona presenza ben lavorata.



In ultima analisi, il bel film di Uberto Pasolini – che indubbiamente ha spiazzato con la scelta del soggetto – non è solo mitologia o scrittura epica: va guardato come Storia di Paesi contemporanei entrati nel caos delle dittature mascherate che hanno bisogno di un Ulisse che rimetta la democrazia al centro della vita dei cittadini, per le loro libertà essenziali di espressione e di movimento, affinché ognuno si realizzi come crede opportuno. Dov’è il nostro Odisseo?

 


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Il Cinema secondo me,

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