Quello che tu non vedi (2020)
- michemar

- 22 ago 2024
- Tempo di lettura: 6 min

Quello che tu non vedi
(Words on Bathroom Walls) USA 2020 dramma 1h50’
Regia: Thor Freudenthal
Soggetto: Julia Walton (romanzo)
Sceneggiatura: Nick Naveda
Fotografia: Michael Goi
Montaggio: Peter McNulty
Musiche: Andrew Hollander
Scenografia: Brian Stultz
Costumi: Mona May
Charlie Plummer: Adam
Taylor Russell: Maya
Molly Parker: Beth
Walton Goggins: Paul
Andy Garcia: padre Patrick
Beth Grant: sorella Catherine
AnnaSophia Robb: Rebecca
Devon Bostick: Joaquin
Lobo Sebastian: bodyguard
TRAMA: Al giovane Adam viene diagnosticato un disturbo mentale importante nel mezzo del suo ultimo anno di liceo. Costretto a cambiare istituto, mentre fatica a mantenere segreta la malattia. si innamora di una brillante compagna di classe a cui inizialmente non confida la sua condizione, ma che poi lo farà sentire uguale agli altri.
Voto 6,5

Nei quattro film del regista Thor Freudenthal salta evidente che l’oggetto delle sue attenzioni è l’adolescenza nelle diversificate manifestazioni e irrequietezze, trattando anche, nel terzo, il genere fantasy (Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo - Il mare dei mostri), quindi pur sempre un’opera più adatta ai giovani. La differenza sostanziale questa volta è che non è una commedia semplicemente romantica, anzi tutt’altro, dal momento che il film, come il romanzo da cui è stato tratto, tratta di un argomento del tutto serio, molto serio: le malattie mentali. E non quelle più discusse a proposito dell’adolescenza turbolenta e problematica di questi ultimi anni – gravata delle condizioni della pandemia e del lockdown conseguente – ma di una affezione molto grave. Per questo motivo il lavoro di Freudenthal non è un facile intrattenimento come tanti teen-movies e rom-com, ma un serioso e impegnativo intreccio tra questi generi e il trattamento della malattia, vista – e qui viene il difficile – sia dal punto di vista del protagonista che dei familiari e di chi gli vuol bene.
È la storia del liceale Adam (Charlie Plummer) che, dopo una serie di diagnosi sbagliate, scopre finalmente per quale ragione ha problemi di vista e udito: soffre di schizofrenia. Lo sfortunato giovane è afflitto da visioni e voci di personaggi ovviamente immaginari che lo spingono a comportamenti impropri, tra cui l’eterea ed ottimista Rebecca, un tizio duro e pronto a spaccare tutto con una mazza da baseball, detto bodyguard, e Joaquin, uno strampalato coetaneo che si visualizza nei momenti meno opportuni. Adam fa del suo meglio per non perdere di vista la realtà e, dopo aver stretto amicizia con la brillante compagna e migliore della classe, Maya (Taylor Russell), per la prima volta sente una nuova speranza crescere in lui. Nel tentativo di mantenere una parvenza di normalità, a causa dei fastidiosi effetti collaterali come il tremolio della mano o la perdita del gusto (un disastro per un appassionato futuro chef!), Adam smette di prendere le sue medicine facendo sì che le sue visioni riprendano prepotentemente il sopravvento. A peggiorar ancora di più la sua precaria situazione è l’annuncio dell’amorevole mamma Beth (Molly Parker) di aspettare un figlio dal compagno Paul (Walton Goggins), dopo che erano stati abbandonati dal padre e marito, altro trauma che ha lasciato strascichi al ragazzo.
Il cruccio del nostro protagonista è che, oltre alle vicissitudini che sta affrontando anche con la Maya che lo attira tanto, se non riuscisse a completare gli studi, senza il sospirato diploma non potrebbe frequentare la scuola di cucina che rappresenta il vero sogno della vita: vuole diventare chef per mettere in pratica l’eccellente dote di cuoco che sta dimostrando da tempo in casa e nelle piccole occasioni con la carinissima Maya. Il ballo di fine anno si avvicina e lui deve assolutamente essere in grado non solo di superare brillantemente gli esami, ma anche di accompagnare la ragazza, con cui si è definitivamente messo dopo una serata davanti al grande schermo all’aperto per rivedere l’amato Mai stata baciata con Drew Barrymore che corona il suo sogno.
Insomma, ci sono tutti gli elementi del cinema per adolescenti, romantico e di crescita, un vero test di formazione seppur particolare, ma due elementi caratterizzano e rafforzano la qualità del film: la questione psichiatrica, come detto, molto seria, e l’accento moralistico della presenza del reverendo nella scuola cattolica dove Adam è stato trasferito. Religioso che gli risulterà importante come sostegno morale. Fino al punto che, a prescindere dall’argomento sanitario, il personaggio più simpatico e più forte di tutti è proprio padre Patrick (un Andy Garcia fantastico, le confessioni con lui sono uno spettacolo) che assume il compito di saggezza e conforto psicologico per il giovane che vuole a tutti i costi raddrizzare la sua vita. Che non può guarire, dato che la malattia è invalidante, ma almeno dare un tono accettabile di vita e, soprattutto, essere accettato per come è. Il che rappresenta il traguardo che la trama deve raggiungere per il buon fine a cui aspira. Quindi, anche teen-drama, ma con l’umorismo sufficiente per stemperare, con bei/belle caratteristi(che) di contorno: la mamma ed il di lei nuovo compagno comprensivo e partecipe, la severissima Sorella Catherine che dirige la scuola di Sant’Agata, i riferimenti cinefili di Will Hunting, la vena sentimentale, la voglia adolescenziale di ribellione alle regole rigide. Tutto sufficientemente ben mescolato per rendere interessante e attrattivo il film, che nella prima parte dà l’idea, sbagliata, di essere il solito e monotono ad uso adolescenziale, mentre la parte mediana è indubbiamente la più avventurosa e simpatica per la preziosa presenza appunto di don Patrick. La terza e ultima ha l’aspetto importante del dramma che argomenta con giustezza il problema della malattia psicopatica, delle relative cure e delle difficoltà umane e sociali che devono affrontare le famiglie e l’interessato stesso. E della vita che possono comunque godere, aspetto importante affinché il malato e i suoi non vengano abbandonati al loro destino. L’amore e l’assistenza, oltre che la medicina adeguata, concetto ipersfruttato ma sempre valido, sono le migliori delle terapie possibili.
“Tu non sei la tua malattia” è la frase chiave pronunciata ad un certo momento e consentirà ad Adam di uscire dall’abisso della patologia. Gli aspetti più oscuri sono presenti e ben articolati nella narrazione e la sensazione che le cose, nella realtà, potrebbero assumere uno sviluppo più drammatico è sempre viva nel film. Il messaggio è, però, chiaro: occorre addentrarsi nelle pieghe buie del proprio animo e riconoscerle, senza aver paura di affrontarle apertamente. Troppo spesso i pregiudizi ostacolano una soluzione che dia una vita degna di essere vissuta a persone affette da severe malattie mentali. L’approccio a questi disturbi deve essere rispettoso dei bisogni dei pazienti favorendo un potenziamento della resilienza in ambito sociale ed esistenziale. I trattamenti devono avere livelli d’integrazione che permettano non solo la riduzione dei sintomi, ma contribuiscano al processo di riabilitazione esistenziale e di partecipazione sociale. Mi spingo sino ad affermare che può perfino risultare un film utile a chi soffre e a chi è vicino: un film da un romanzo istruttivo. In definitiva, un’operazione apprezzabile, ma anche per come il buon Thor Freudenthal riesce a evitare tutte le trappole che il delicatissimo tema andava a tendere, a cominciare dallo strappalacrime, a cui – va però detto – si va molto vicino nel finale emozionante, inevitabile per un film come questo.
Assodati i meriti del regista, va assolutamente dato cenno della bravura di Charlie Plummer nel ruolo del protagonista: sicuramente qualcuno che lo ricorderà nella notevole prova in Charley Thompson di Andrew Haigh, per cui ha vinto il Premio Marcello Mastroianni a Venezia 2017. Prova non facile in cui spesso guarda e parla verso la quarta parete, dove noi spettatori assumiamo il ruolo di terapisti, pronti ad ascoltare il suo racconto (lui è grosso modo la voce che ci conduce lungo la trama), a cercare di capire le sue sofferenze e a giustificare i suoi deliri. Bravo veramente. Non gli è di meno Taylor Russell nel ruolo della ragazza, anche lei afflitta da qualche segreto familiare, fino a sembrare volutamente vanitosa e superba, giusto per mascherare i guai personali: attrice che conoscerà la popolarità nel tanto discusso Bones and All di Luca Guadagnino nel 2022. Giovane notevolissima e plasticamente malleabile, ad uso delle esigenze dei registi. Buone le prove di Molly Parker e di Walton Goggins, ma chi sale sul podio tra le migliori partecipazioni di contorno è senz’altro Andy Garcia. Interpretazioni vanificate, però, se il film va visto con il doppiaggio, che sacrifica gli sforzi recitativi di questi buoni attori.
Le parole di Thor Freudenthal: “Quando ho letto il romanzo, non ho potuto fare a meno di amarlo. Parlava in maniera inedita di una malattia mentale e dipingeva in maniera veritiera un protagonista dalla personalità onesta, divertente e sfacciata, che reagisce spesso ai momenti più dolorosi con disarmante umorismo. Nel trasferire la vicenda di Adam sul grande schermo ho voluto che le voci da lui udite diventassero personaggi in carne e ossa, in modo da trasformare le allucinazioni in realtà anche per lo spettatore, e che Adam stesso si rivolgesse al pubblico.”

E quelle di Julia Walton, l’autrice del romanzo: “Ha fatto notizia negli Stati Uniti la storia di un ventenne malato di mente che ha sparato in una scuola elementare di Newtown, nel Connecticut. Ho allora sentito l’esigenza di raccontare la storia di un giovane malato di mente che non fosse violento: c’era bisogno di capire e conoscere meglio un male di cui si sa troppo poco e su cui aleggiano mille pregiudizi dettati dalla paura.”
Buon film.






























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