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Le assaggiatrici (2025)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 29 set
  • Tempo di lettura: 7 min
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Le assaggiatrici

Italia, Belgio, Svizzera 2025 dramma storico 2h3’

 

Regia: Silvio Soldini

Soggetto: Rosella Postorino (romanzo)

Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Silvio Soldini, Cristina Comencini, Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Lucio Ricca

Fotografia: Renato Berta

Montaggio: Carlotta Cristiani, Giorgio Garini

Musiche: Mauro Pagani

Scenografia: Paola Bizzarri

Costumi: Marina Roberti

 

Elisa Schlott: Rosa Sauer

Max Riemelt: Albert Ziegler

Alma Hasun: Elfriede

Esther Gemsch: Herta

Jürgen Wink: Joseph

Emma Falck: Leni

Olga von Luckwald: Heike

Berit Vander: Ulla

Kriemhild Hamann: Sabine

Thea Rasche: Augustine

Boris Aljinovic: Krumel, il cuoco

Nicolò Pasetti: SS Gunther

Peter Schorn: SS Klaus

Gabriele Mazzoni: SS Franz

Paolo Grossi: SS Oscar

 

TRAMA: Sette donne vengono costrette ad assaggiare il cibo destinato a Hitler per verificare che non sia avvelenato. Tra loro si intrecciano rapporti che implicano solidarietà e tradimento.

 

VOTO 6,5


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Siano a Parcz, nella Prussia orientale, nel novembre del 1943, quando la giovane tedesca Rosa scappa da Berlino colpita dai bombardamenti per raggiungere il villaggio nel remoto paesino della zona ad est dove vivono i genitori del marito, soldato inviato sul fronte russo. Al suo arrivo, Rosa scopre in fretta che l’idilliaco villaggio non è quel che sembra. Nel bosco ai margini del paese, infatti, si cela il nascondiglio segreto di Hitler, la famigerata “Tana del lupo”. Improvvisamente, una mattina Rosa viene prelevata insieme ad altre sei donne del villaggio che vengono costrette a lavorare come assaggiatrici di Hitler, che teme di poter essere avvelenato con i pasti che lì consuma.


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Fa presto Silvio Soldini ad immergerci nel cuore della storia e nel luogo dove si svolge la maggior parte del film. Una manciata di minuti e la povera e giovane signora Rosa (Elisa Schlott), arrivata estenuata dalla fatica dell’ultimo tratto compiuto a piedi fino alla casa dei suoceri, neanche il tempo di ambientarsi, lei abituata alla città, riceve la visita di una squadra di soldati nazisti che la caricano su un furgone con altre donne spaventate e ignare dell’accaduto. Sono state scelte, chissà come e con quale criterio, per assolvere ad un compito tanto importante quanto spaventoso: ogni mattina vengono caricate sul mezzo militare per trascorrere diverse ore nella caserma situata nel cuore del bosco dove il führer si è fatto costruire un bunker vista la situazione bellica in peggioramento, nonostante che la propaganda sparga notizie di sicura vittoria finale e dell’avanzamento delle truppe tedesche nella lontana Russia.


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Spaventatissime, vengono istruite nel servizio che devono svolgere: ognuna di loro, tutte sedute a tavola, mangerà una portata differente prima che vengano servite al dittatore, sia per il pranzo che per la cena. Nell’intervallo sono tenute in osservazione in caso di malore e attendono chiacchierando e facendo amicizia – si conoscono poco, tranne qualcuna – in attesa che passino ad assaggiare i piatti per la cena, preparati dal fedele cuoco che, sebbene curi in prima persona la cucina, teme che qualcuno possa interferire e attentare alla salute di Hitler. Facile immaginare la paura che assale le donne, coscienti che se il cibo è contaminato rischiano la vita. Impaurite dal compito, tentennano al primo assaggio ma costrette dagli imperiosi ordini dei soldati e minacciate anche dalle armi iniziano tremanti a mettere in bocca le pietanze, tra l’altro molto accurate da parte del cuoco che le osserva attento. È vietato vomitare, è vietato allontanarsi fino ad un’ora dell’orario del pasto. La trado pomeriggio il rito si ripete e così tutti giorni, con il solo sollievo dell’abitudine e della tranquillità che subentra.


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Intanto si creano nuove amicizie, alleanze e antipatie, prima con la diffidenza verso Rosa, che è la sconosciuta del gruppo, poi verso chi mette più agitazione a causa delle brutte esperienze vissute ultimamente. Come, per esempio, chi è già vedova di recente e chi è in ansia per la mancanza di novità dei propri cari in guerra. Anche la stessa Rosa è molto preoccupata, dato che pure il suo Gregor non dà notizie da molto tempo. C’è chi è pessimista e chi spera in meglio, chi è disponibile al dialogo e chi si isola, ognuna coi suoi problemi e per il fatto di essere costrette a stare fuori casa gran parte del giorno, tenute quasi come ostaggi. La quasi totalità è devota al führer, visto come un padre della patria ed eroe comandante immortale, ma ciò che loro rischiano, per adesso, è più preoccupante. Tra le sette c’è anche Elfriede (Alma Hasun), la più taciturna e triste, sempre con la sigaretta tra le dita, isolata. Solo Rosa riesce ad entrare in sintonia con lei, facendo nascere una amicizia complice che fa bene al loro morale. Questa misteriosa ragazza non parla volentieri di sé e la sua provenienza resta dubbia, ma dopo tanti giorni il clima interno tra tutte migliora per forza di cose, aiutandosi nei momenti più neri, soprattutto quando una di loro si sente male a tavola e vomita.


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Episodio che fa scattare l’allarme per un probabile avvelenamento, obiettivo di queste assaggiatrici, si scatenano gli ordini per appurare l’accaduto, poi rientrato perché la donna sta meglio: in verità, come ammette questa, la solitudine l’ha spinta verso le braccia di un uomo del luogo ed ora si ritrova incinta. Come fare adesso con la situazione che si è creata? Nonostante la severa legge tedesca che punisce l’aborto e condanna a morte chi lo procura, proprio Elfriede, che afferma di essere infermiera, si offre di praticarglielo in gran segreto, di notte, pur di salvare la donna dai rischi di accuse di tradimento con il marito al fronte. Insomma, succedono tante cose nel frattempo, ma quella che destabilizza la vita di Rosa è l’inaspettata simpatia che nasce tra lei ed il tenente Albert Ziegler (Max Riemelt), il comandante del posto e responsabile dell’operazione di sicurezza alimentare. Dalla simpatia e dalle due solitudini (l’autoerotismo precedente al primo incontro tra i due, Soldini ce lo poteva risparmiare, un surplus inutile) nasce una vera relazione, soprattutto di natura sessuale: lei sbandata come una reduce, lui davvero reduce dalla catena di eliminazione attuata nei campi di concentramento, che lo ha mandato in confusione mentale e per prudenza è stato trasferito in quel bosco.


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Assaggi e appuntamenti notturni nella stalla, tribolazioni femminili e gite sul fiume, solidarietà e malori. È la vita nelle retrovie dove Hitler si scopre vegetariano perché, come racconta il cuoco, è rimasto disgustato dalla carne a causa della visita ad un mattatoio, dove le sue galosce si sporcarono di sangue. Poverino! Evidentemente essere lontano dal mattatoio umano dei campi di concentramento lo faceva sentire meglio e mangiava solo verdure e legumi con la coscienza a posto. Nel frattempo riceveva la solidarietà non solo delle donne assaggiatrici ma anche della popolazione di quel villaggio vicino, a cominciare dalla suocera di Rosa che immaginava il suo führer invincibile, sicura della vittoria finale. E quando nel luglio del 1944 esplode la bomba dell’attentato organizzato dagli ufficiali oppositori con a capo il colonnello von Stauffenberg, a cui Hitler scampa per miracolo, un’idea si rafforza mentre un’altra si affaccia. La prima è che lui sia davvero immortale, salvato da Dio per il suo compito (diamine, mi ricorda Trump ed altri simili), la seconda dimostra che evidentemente qualcosa sta scricchiolando nella solidità del regime e all’interno della Wehrmacht. Che non è poco, anzi è il segnale del cedimento totale e finale.



Il film di Soldini mira quindi prima di tutto a narrare la vicenda delle sette donne di cui si è sempre parlato poco ma non trascura di aprire un varco drammatico nella relazione nata tra l’ufficiale e la protagonista femminile che ha un primo aspetto dovuto alla necessità di affetto e di sesso che pesa sui due, ma diventa in un secondo momento la merce di scambio per la salvezza di lei, che però non rinuncia ad aiutare la fuga di Elfriede, ragazza che rappresenta la vera sorpresa del prefinale. Quando questa, infatti, svela i suoi segreti a Rosa, le due diventano ancora più legate e come sorelle provano a portarsi in salvo nel momento in cui arriva la ormai matura notizia del crollo della Germania nazista. È la fine, è il trionfo della libertà e della democrazia, del regime, dell’oppressione, soprattutto la fine della Guerra Mondiale. Ma per gli ebrei il destino è sempre segnato, è l’odio dei nazisti.



Tratto dall’omonimo romanzo di Rosella Postorino sulla storia vera di Margot Wölk, che prima di morire, nel 2012, rivelò di essere stata una delle giovani tedesche costrette ad assaggiare i pasti di Hitler, il nuovo film di Silvio Soldini, il primo in costume e il secondo diretto in una lingua straniera, non fa altro che confermare il senso del regista per l’universo femminile (Le acrobate, Pane e tulipani, Agata e la tempesta, Giorni e nuvole, Il colore nascosto delle cose, per fare degli esempi), e attraverso questa opera lo spettatore vive l’orrore e l’assurdità della guerra senza vedere scene che appartengono propriamente al genere bellico. Attento alla costruzione formale e alle inquadrature rigorose e precise, diligente nel configurare il tempo narrativo necessario per spiegarci i personaggi, orchestra una storia corale dove l’impatto emotivo fa i conti col pudore che contraddistingue il suo cinema, mettendo in relazione paesaggi, ambienti e stati d’animo e scegliendo ancora una volta di mettere in scena donne non oggetto, ma portatrici di desiderio. Interessante anche come abbia saputo costruire l’atmosfera adatta per far capire come, partendo da un’iniziale indifferenza al limite con l’antagonismo, quelle sette donne stringono un’alleanza da cui dipenderà la loro sopravvivenza. Together we stand, divided we fall cantano i Pink Floyd e quelle sette donne lo avevano capito.



Silvio Soldini, per il film italiano recitato in tedesco, adotta una regia sobria, priva di impennate autoriali, e costruisce un’atmosfera cupa e inquietante per evocare l’angoscia di una mansione effettivamente disumana. Peccato che la messinscena, greve e talvolta evanescente, è però appesantita da una narrazione troppo esplicativa, che non riesce a valorizzare la forza evocativa delle immagini, lasciate respirare solo nella drammatica sequenza conclusiva. A distanza di quattro anni dal buon 3/19 (altro esempio come quelli di prima), il regista si volge al passato per ammonire il presente, ma manca quel guizzo di coraggio che avrebbe reso il film davvero incisivo.



Si poteva far di meglio ma resta comunque un buon film, anche istruttivo, con la bella fotografia di Renato Berta, l’adeguata colonna sonora dell’esperto Mauro Pagani, e con due attrici sugli scudi. Elisa Schlott è brava e sa benissimo come affrontare il suo ruolo importante, mentre chi mi ha colpito particolarmente è l’ottima Alma Hasun, che attira su di sé l’attenzione per bravura, personalità e presenza scenica, già apprezzata in parti più secondarie in Il corsetto dell’imperatrice e Woman in Gold.



Riconoscimenti

Globo d’Oro 2025

Candidatura al miglior film

Candidatura al miglior regista

Candidatura alla miglior sceneggiatura

 

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cinefilo da bambino

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