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Maria (2024)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 15 ago
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 9 set

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Maria

Italia, Germania, Cile, USA 2024 dramma biografico 2h4’

 

Regia: Pablo Larraín

Sceneggiatura: Steven Knight

Fotografia: Edward Lachman

Montaggio: Sofía Subercaseaux

Scenografia: Guy Hendrix Dyas

Costumi: Massimo Cantini Parrini

 

Angelina Jolie: Maria Callas

Haluk Bilginer: Aristotele Onassis

Pierfrancesco Favino: Ferruccio Mezzadri

Alba Rohrwacher: Bruna Lupoli

Kodi Smit-McPhee: Mandrax

Stephen Ashfield: Jeffrey Tate

Valeria Golino: Yakinthī Callas

Caspar Phillipson: John F. Kennedy

Alessandro Bressanello: Giovanni Battista Meneghini

Vincent Macaigne: dott. Fontainebleau

 

TRAMA: Gli ultimi giorni di vita di Maria Callas, che riflette sulle proprie passioni e i drammi privati.

 

VOTO 5


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Dopo alcuni interessanti film che lo hanno fatto conoscere in campo mondiale (Fuga, Tony Manero, Post Mortem) e dopo il film politico sul referendum cileno del 1988 (No - I giorni dell'arcobaleno) e quello sul caso scabroso dei preti pedofili (Il club), Pablo Larraín si è dedicato unicamente a biopic di personaggi famosi iniziando dal poeta e politico connazionale Neruda senza mai smettere. In particolare, con questo film chiude quella che è stata definita la trilogia sulle donne che hanno lasciato un’impronta importante nel XX secolo: Jackie (2016), Spencer (2021) ed il presente. Nel mezzo, il dramma Ema (2019) ed il sottovalutato El Conde (2023) altro biopic per maltrattare il dittatore Pinochet stavolta raffigurato come un vampiro. Ma ancor più curioso è che con questo film il regista ha trattato della vita di entrambe le donne più influenti nell’esistenza del magnate miliardario Onassis: la Callas che egli ha amato ma che non ha mai sposato optando per la vedova Kennedy. Nel mezzo ai due film quello sulla agitata vita dell’amatissima Lady D.


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Come piace ad alcuni registi e sceneggiatori (qui c’è la mano del richiestissimo Steven Knight), il film inizia con la scena che verrà ripresa nel triste finale girata nell’ampio salone della casa parigina della Callas al 36 di Avenue George Mandel. È il 16 settembre 1977 e una delle più grandi cantanti liriche del mondo è deceduta. La più grande o no è un’antica accesa discussione che non vedrà mai la fine, da cui è meglio restare fuori. L’inquadratura del totale, con il corpo non visibile sdraiato a terra, è accompagnata da un silenzio doloroso e attonito. Maria (Angelina Jolie), come viene chiamata per tutto il film, è deceduta all’età di 53 per un arresto cardiaco fermata da un cuore indebolito per il maltrattamento subito dall’organismo tempestato da medicine di vario tipo ma soprattutto da tranquillanti e droghe per combattere depressione e dolori interiori. In primis il Mandrax, così importante e presente nella vita della donna da materializzarsi nelle sue allucinazioni - di cui soffre negli ultimi tempi - in un giovane giornalista (Kodi Smit-McPhee) che deve realizzare un servizio basato da un’intervista che lei concede, a più riprese. Ogni volta, cioè, che lei lo vede accanto a lei e a cui concede molti segreti personali, che il pubblico rivede con vari flashbacks.


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Dunque, siamo nel 1977, quando Maria Callas vive in un appartamento a Parigi con il maggiordomo Ferruccio (Pierfrancesco Favino) e la governante Bruna (Alba Rohrwacher). Non si è del tutto arresa e tuttora prova cantare dopo una pausa di anni nella sua carriera a causa del declino fisico. Mentre il fedele maggiordomo e autista insiste affinché lei venga visitata dal dott. Fontainebleau (Vincent Macaigne) e prenda la giusta quantità di farmaci, Maria continua a fare un uso eccessivo del suddetto Mandrax, sostenendo che la aiuti nonostante i suoi effetti collaterali. Intanto il fegato peggiora giorno dopo giorno. Inoltre, durante la settimana, partecipa anche a sessioni private con il direttore d'orchestra Jeffrey Tate (Stephen Ashfield) per rendersi conto se può salire di nuovo sul palco. Lei continua ad affermare che ora canta solo per sé, dopo essersi esibita nei teatri di tutto il mondo, ma pare più che altro una bugia, perché come si sa bene per una fuoriclasse è difficile rassegnarsi all’idea di doversi ritirare. Oltretutto, Aristole Onassis (Haluk Bilginer) non c’è più e non ha più riferimenti.


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Spinta dalle interviste inventate e dalle allucinazioni di Mandrax, Maria inizia a ricordare la sua precedente storia d'amore con il magnate greco, che alla fine avrebbe sposato Jackie Kennedy facendola restare molto delusa, anche se in fondo non è mai stata sicura di amare quell’uomo. Anche se inizialmente rifiutò le sue avances nel 1957, se ne innamorò rapidamente e lasciò il marito Giovanni Battista Meneghini. Alla fine ha lasciato anche Onassis mentre lui e l’opinione pubblica la limitavano sulla loro relazione. Tuttavia, lo vide ancora segretamente sul letto di morte e ammise di amarlo.


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Le allucinazioni le fanno ricordare la sua adolescenza durante la Seconda Guerra Mondiale, costretta da sua madre a cantare per gli ufficiali tedeschi in cambio di denaro. Un giorno, incontra sua sorella maggiore Yakinthi (Valeria Golino), e si riconciliano su come la madre li ha trattati. Le varie fasi della sua vita vengono divise dal regista con l’inserimento dei ciak come per stabilire i vari capitoli biografici, che sono riassumibili in questi avvenimenti: la relazione con Aristotele Onassis, il matrimonio fallito con Giovanni Battista Meneghini, i traumi dell’adolescenza durante la guerra, il difficile rapporto con la madre, la riconciliazione con la sorella in un breve incontro in un bar di Parigi in cui questa la sollecita “a chiudere la porta”: pressante invito a Maria a chiudere con il passato, con il dolore, con l’ossessione per la perfezione e il mito che la imprigiona.


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Grande eleganza di abiti e di interni ben illustrati dalla bella fotografia e sontuosità della messa in scena come richiesto dai personaggi che abitano la trama: sono queste le caratteristiche che timbrano il film. Non ho sopportato il rumore delle scarpe di Ferruccio che paiono stivali della Gestapo sul pavimento di legno del lussuoso appartamento parigino, come anche dei tacchi della protagonista: entrambi si muovono rumorosamente fino al punto che danno l’impressione di dettare il ritmo della scena. I due comprimari più importanti sono Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher che però vedo fuori ruolo in maniera eclatante: il primo troppo rigido e troppo giovane per gli acciacchi che si porta dietro il suo personaggio, la seconda truccata da vecchia dai capelli grigi che non la premiano. Ma non c’erano attori più adatti e dell’età richiesta? Le loro prestazioni non le ho gradite.


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Capitolo a parte per Angelina Jolie, che ha confessato di essersi preparata per sette mesi studiando canto e postura e ha dichiarato di aver temuto di deludere i fan della Callas. E ci credo! La Callas fu una cantante (mi sbilancio in un giudizio personale non richiesto e per questo ampiamente confutabile) sui generis, dalla voce così particolare che usciva dai canoni consueti delle cantanti liriche. I tanti biopic che sono usciti nelle sale negli ultimi anni (da Elton John e Freddie Mercury in poi) sono stati, tra alti e bassi, interpretati da attori e attrici molto bravi anche a cantare e se la sono cavata grosso modo egregiamente. Ma cantavano. In questa occasione non è stato possibile prima di tutto perché una voce lirica famosa non è imitabile ed inoltre, secondo motivo, la Callas - che ebbe sempre una presenza scenica straordinaria, come e meglio di un’attrice - è più che mai inimitabile, proprio perché così personale, distante da altre giganti della lirica storica. Fu amatissima ma anche da tanti non stimata, proprio per la sua particolare voce, e di conseguenza più che mai inimitabile. Motivato a ragione il fatto che il regista abbia deciso, giustamente, di filmare l’attrice in playback. Ciò fa schifo, anche perché infastidisce, anche se la Jolie è brava a sincronizzarsi al suono.


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Le arie sono meravigliose e allietano il cuore dello spettatore musicofilo ma la Jolie è fuori posto: capisco che bisognava scegliere qualcuna che rassomigliasse o che sapesse ricordarla, ma pare troppo impostata allo scopo e alla fine risulta solo una banale imitatrice. Ma il vero peccato capitale del film sta nel fatto che non commuove, non coinvolge, non trascina il pubblico nel dramma personale della protagonista. Si resta scettici, freddi, semplici osservatori. Eppure, la Voce di quella donna era potente, emozionante, era un’attrice su un palco di lirica, cosa inconsueta. Smuoveva lo spirito di chi l’ascoltava. Non si può certamente pretendere che ciò succedesse con un film, ma altri biopic hanno fatto e reso molto di più: qui tabula rasa. Peccato. Che serva da esperienza. Ci si contenta di cogliere l’occasione per risentire arie di opere di grandi personaggi femminili: Norma, Tosca, l’Ave Maria di Desdemona nell’Otello, la Violetta della Traviata. E l’eterna “Vissi d’arte, vissi d’amore” che Pablo Larraín fa cantare alla Diva prima di morire con un’ipotetica orchestra, ascoltata dai passanti, fermi come statue estasiate. Ci si poteva scommettere che sarebbe stato il cavallo di battaglia del film.


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Unica scusante è quella di Pablo Larraín (notoriamente esperto di musica lirica): “Non si può fare un film su Maria Callas senza usare la sua voce”, regista che ha voluto raccontare “una donna che ha bruciato la sua voce e la sua vita facendo il suo lavoro”.


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Riconoscimenti

Oscar 2025

Candidatura per la miglior fotografia

Golden Globe 2025

Candidatura miglior attrice in un film drammatico ad Angelina Jolie

 


Commenti


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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