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Nel nome del padre (1993)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 13 feb
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 13 feb

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Nel nome del padre

(In the Name of the Father) Irlanda/UK/USA 1993 dramma biografico 2h13’

 

Regia: Jim Sheridan

Soggetto: Gerry Conlon (autobiografia “Proved Innocent”)

Sceneggiatura: Terry George, Jim Sheridan

Fotografia: Peter Biziou

Montaggio: Gerry Hambling

Musiche: Trevor Jones

Scenografia: Caroline Amies

Costumi: Joan Bergin

 

Daniel Day-Lewis: Gerry Conlon

Pete Postlethwaite: Patrick Giuseppe Conlon

Emma Thompson: Gareth Peirce

John Lynch: Paul Hill

Corin Redgrave: Robert Dixon

Joanna Irvine: Ann Colnon

Anna Meegan: nonna Colnon

Anthony Brophy: Danny

Jamie Harris: Jim

Frankie McCafferty: Tommo

Beatie Edney: Carole Richardson

Mark Sheppard: Paddy Armstrong

Tom Wilkinson: pubblico ministero

Joe McPartland: Charlie Burke

Don Baker: Joe MacAndrew

 

TRAMA: Gerry Conlon, il suo amico Paul Hill e altri due, assieme a suo padre Giuseppe e alcuni parenti vengono arrestati dopo un attentato dell’Ira. Sotto tortura, Gerry e Paul confessano ciò che non hanno commesso e, malgrado prove evidentissime della loro estraneità, vengono condannati. Solo nel 1989, dopo quindici anni, durante i quali Giuseppe Conlon muore, una campagna di controinformazione porterà alla revisione del processo.

 

VOTO 8


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Regista di Dublino e protagonista inglese ma con cittadinanza e sangue irlandese nelle vene. Una coppia già molto proficua con i premi e i riconoscimenti ricevuti nel 1989 con Il mio piede sinistro (primo Oscar per l’attore) e poi riunitasi ancora in The Boxer (1997), altro soggetto attinente la questione politica angloirlandese. Jim Sheridan e Daniel Day-Lewis sanno e conoscono profondamente le relazioni storiche che hanno insanguinato le strade dei due Paesi e come nel terzo film ci immergono in questa tumultuosa storia di ribelli nordirlandesi, criminali o innocenti che furono. Ma, beninteso, non incappati in un errore giudiziario ma in una giustizia sommaria per punire nel mucchio coinvolgendo non solo persone non politicizzate, ma completamente estranee alla lotta, compreso un’intera famiglia, adulti e minorenni, arrestati, condannati e detenuti ingiustamente per anni, occultando e secretando le prove a loro discarico.



Le cronache del 1974 raccontano di un attentato terroristico in un pub di Guildford ad opera dell’IRA l’organizzazione clandestina irlandese che lottava per la riunificazione dell’Irlanda del Nord con l’Éire. Con il sostegno di prove debolissime, quando non addirittura inventate, dell’atto criminoso vengono incolpati Gerry Conlon e tre suoi amici, Paul Hill, Paddy Armstrong e Carole Richardson, oltre al padre di Gerry, Giuseppe Conlon, e un’intera famiglia residente a Londra, i Maguire, accusata di far parte di una rete di supporto ai terroristi. Nonostante le evidenti prove contrarie e la successiva testimonianza di un senzatetto con cui Gerry e Paul stavano parlando nel momento dell’esplosione, padre, figlio e gli amici di quest’ultimo furono condannati a vari anni e lui all’ergastolo.



C’è una vita prima e dopo per Gerry Conlon (Daniel Day-Lewis) e anche la seconda è forse suddivisa in almeno altre due, senza contare quella definitiva dopo la detenzione e quindi quando riammesso alla vita in libertà. Prima è uno scavezzacollo, un giovane senza pensieri che con l’amico di sempre Paul Hill (John Lynch) trascorre il tempo a bighellonare per le strade di Belfast cercando solo il divertimento, qualche furtarello per procacciarsi soldi. È il tempo degli hippies, della musica psichedelica, del sesso facile e felice, un po’ di erba per sballarsi mentre il maestro Bob Dylan declama Like a Rolling Stone, mentre il padre Giuseppe (Pete Postlethwaite) è all’opposto un uomo probo e buon cattolico, che lavora duro per mantenere l’intera famiglia, sempre preoccupato per il vagabondaggio del figlio e per la sua vita inutile. Un ladruncolo e un uomo mite mai sulla stessa lunghezza d’onda, dove però l’adulto confida, da buonuomo qual è, nel ravvedimento che non può tardare. C’è una vita prima e dopo per Gerry. La seconda si manifesta allorquando, in gita a Londra con l’amico, si trova a girovagare per i parchi della capitale nel momento dell’attentato mortale. Alla ricerca di capri espiatori per soddisfare la sete di giustizia del governo inglese, la polizia e i funzionari arrestano la combriccola di Gerry e i suoi parenti e obbliga con maltrattamenti a far “confessare” colpe non loro. Nel duro carcere lui ha un cambio di personalità, pur restando uno sbruffone senza timori, ma la sua vita è ormai cambiata, soprattutto dopo il processo-farsa, con prove false e quelle a favore nascoste, dopo la condanna a 30 anni, in cui anche il buon Giuseppe, sempre più malandato in salute, viene messo nella stessa cella. E se il vecchio confida nel riesame e vive con rassegnazione quei primi anni, Gerry matura come giovane consapevole e si allea con il vero terrorista Joe MacAndrew (Don Baker): insieme si spalleggiano e galleggiano nella prigione, spadroneggiando tra i tanti detenuti.



Ma la vera svolta dell’uomo Gerry avviene quando, dopo i tanti e continui dissidi con il padre e la diversità delle vedute, capisce la grandezza del genitore, la sua bontà d’animo, l’amore che gli ha sempre riservato e soprattutto quando si accorge che la malattia polmonare del vecchio sta peggiorando, ormai vicino alla fine. La morte avvenuta nell’ospedale dopo il malore in cella lo fortifica e lo matura e si affida totalmente all’avvocatessa Gareth Peirce (Emma Thompson) che ha preso a cuore la storia e che ha iniziato una battaglia personale con il capo della polizia venendo a conoscenza delle prove d’innocenza occulte nell’archivio riservato e portando la questione davanti all’opinione pubblica e ad un nuovo processo clamoroso, che determinerà l’assoluta estraneità ai fatti di tutti gli ex condannati. Dopo 15 anni di galera!



Il metodo della narrazione del film scelto da Jim Sheridan si sviluppa attorno all’arresto, il processo e la detenzione di Gerry e dei Quattro di Guildford (come vennero definiti), includendo appunto Paul e gli altri due innocenti conosciuti a Londra. Il regista, con grande maestria, intreccia le vicende legali con il dramma umano, focalizzandosi sull’evoluzione del rapporto tra Gerry e Giuseppe. Inizialmente estraneo e freddo il giovane verso il genitore, inutilmente cercato dal cuore del vecchio, i due uomini, attraverso le sofferenze condivise, intraprendono un viaggio di riconciliazione e redenzione personale. Gli anni di ingiusta detenzione permettono loro di affrontare i propri demoni e di stabilire un legame autentico e profondo.



La formidabile interpretazione di Daniel Day-Lewis rende Gerry Conlon un personaggio vivace e irresistibile. Parallelamente al suo personaggio colorito e vivace, anche lui affronta l’impegnativo ruolo con due registri differenti: la sua trasformazione da giovane ribelle a uomo consapevole e tormentato è resa con una forza emotiva travolgente capace di trasmettere la rabbia, la frustrazione e infine la speranza. In più di un’occasione mostra la sua intera ed immensa gamma di recitazione, da nervoso e schizzato giovane scapestrato e persona votata ad ogni sacrificio pur di riabilitare la memoria di quel galantuomo del padre. Non bada a se stesso ma alla battaglia NEL NOME DEL PADRE, come ripeterà alla fine del processo corretto.



Accanto a lui, Pete Postlethwaite offre una performance memorabile e straordinaria nei panni di Giuseppe, un padre i cui amore e determinazione rimangono intatti nonostante le avversità. Credo convintamente che sia qui, sebbene i tanti film alle spalle e in futuro, che il buon Pete resterà nella memoria del cinema: mai visto recitare in questa maniera, anche per merito di un bellissimo personaggio, magnificamente scritto dalla sceneggiatura. Lui si fa trovare pronto e se il divo è Daniel, è Pete che brilla di luce propria, con una prova commovente e intensa, incarnando la dignità e la forza di un uomo che lotta per la verità senza mai perdere la fede cristiana e l’amore verso la moglie cha ha paura di abbandonare.



Il film non si limita a raccontare una storia di ingiustizia, ma esplora anche il ruolo delle istituzioni e la complicità della polizia nel perpetuare tali ingiustizie. La sceneggiatura di Terry George e Jim Sheridan si distingue per la sua profondità e la capacità di presentare ogni situazione con le sue sfumature di grigio, evitando una visione manichea dei fatti, quando invece verrebbe comodo adottare un atteggiamento più netto. Le scene processuali sono ricche di discorsi appassionati, tipicamente inglesi (c’è anche qualche minuto per l’accusa impersonata dal grande Tom Wilkinson) tra cui spicca la performance di Emma Thompson, con il personaggio appassionato e passionale dell’avvocatessa come le viene sempre spontaneo. Pare infatti l’attrice ideale per il ruolo. Il suo discorso in tribunale è uno dei momenti più intensi e memorabili del film. E anche in quel luogo si assiste ancora ad uno degli exploit di Daniel Day-Lewis: un frangente commovente che segna il film ed il finale. IN NOME DEL PADRE!



La fotografia di Peter Biziou è un altro elemento di grande valore. Due scene in particolare meritano menzione: la rappresentazione caotica e realistica della rivolta di Belfast, che immerge lo spettatore nell’immediatezza del conflitto, e una scena più intima e toccante in prigione, dove tutti i detenuti, per solidarietà e affetto verso Giuseppe (che bello quando lui racconta perché la madre gli ha dato quel nome!), lanciano pezzi di giornali incendiati dalle sbarre delle finestre, che sembrano piangere lacrime di fuoco, rispecchiando il dolore interiore dell’immobile e distrutto Gerry.



La colonna sonora, composta da Trevor Jones, si integra perfettamente con l’atmosfera del film, alternando momenti di riflessione a passaggi più violenti e dissonanti. Questa scelta musicale aggiunge ulteriore profondità emotiva alla narrazione. Senza dimenticare il contributo molto incisivo dei brani scritti da Bono, anche lui dublinese.

Serrato ed efficace il montaggio Gerry Hambling.



Siamo al cospetto di un’opera cinematografica potente che, pur trattando temi politici e sociali di grande rilevanza, riesce a mantenere un focus intimo sui suoi protagonisti, descrivendo con precisione il loro carattere e la loro indole, il loro pensiero e l’atteggiamento alle varie situazioni. La sapienza di Jim Sheridan è quella, dirigendo ottimamente gli attori del buon cast britannico, di non far perdere mai di vista l’impatto degli eventi storici sulla relazione tra Gerry e suo padre, in nome della quale si combatte la battaglia finale. Ed è anche tanto abile nel mescolare il dramma personale con la critica sociale, creando un ritratto potente e incisivo di un sistema giudiziario corrotto e ingiusto.



In sintesi, il film è una potente riflessione sulle ingiustizie del passato, ma anche un tributo alla resilienza umana e alla forza del legame familiare, un film che continua a risuonare con il pubblico, offrendo lezioni importanti sulla giustizia, la verità e l’importanza di non arrendersi mai di fronte all’oppressione.



Didascalia prima dei titoli di coda:

Gerry Conlon abita a Londra. Dal momento del suo rilascio dalla prigione, insieme a Gareth Peirce e Sarah Conlon, si é battuto perché l’innocenza di Giuseppe Conlon fosse riconosciuta ed il suo nome riabilitato.

Paul Armstrong ritornò in Irlanda. Ora vive a Dublino.

Carole Richardson vive in Inghilterra. É sposata e ha una bambina.

Paul Hill ha di recente sposato Courtney Kennedy, la figlia di Robert Kennedy. Abitano a New York.

Il governo aprì un’inchiesta sulle accuse mosse a Giuseppe Conlon e alla famiglia Maguire. L’inchiesta mise in dubbio l’affidabilità e la credibilità degli esperti della scientifica consultati dall’accusa, ed esclusivamente basandosi su queste scoperte determinò che la condanna in Corte d’appello era inconsistente.

I membri dell’IRA che confessarono di essere responsabili per la bomba nei pub di Guilford, non sono mai stati dichiarati colpevoli del reato. Rimangono tuttora rinchiusi in un carcere britannico.

Tre ex-ispettori di polizia furono assolti dall’accusa di cospirazione e deviazione del corso della giustizia con un processo il 19 maggio 1993.

Nessun membro della polizia é stato dichiarato colpevole di qualche crimine in questo caso.

I resti di Giuseppe Conlon giacciono nel cimitero di Miltown Belfast.


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Riconoscimenti

1994 - Premio Oscar

Candidatura miglior film

Candidatura migliore regia

Candidatura miglior attore protagonista a Daniel Day-Lewis

Candidatura miglior attore non protagonista a Pete Postlethwaite

Candidatura miglior attrice non protagonista a Emma Thompson

Candidatura migliore sceneggiatura non originale

Candidatura miglior montaggio

1994 - Golden Globe

Candidatura miglior film drammatico

Candidatura miglior attore in un film drammatico a Daniel Day-Lewis

Candidatura miglior attrice non protagonista a Emma Thompson

Candidatura miglior canzone ([You Made Me the] Thief of Your Heart) a Bono, Gavin Friday e Maurice Seezer

1994 - Premio BAFTA

Candidatura miglior attore protagonista a Daniel Day-Lewis

Candidatura migliore sceneggiatura non originale

1994 - Festival di Berlino

Orso d’oro a Jim Sheridan

1994 - David di Donatello

Miglior film straniero

Candidatura miglior attore straniero a Daniel Day-Lewis



 
 
 

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