Qualcosa di meraviglioso (2019)
- michemar

- 18 gen
- Tempo di lettura: 5 min

Qualcosa di meraviglioso
(Fahim) Francia 2019 commedia drammatica 1h47’
Regia: Pierre-François Martin-Laval
Soggetto: Fahim Mohammad, Xavier Parmentier, Sophie Le Callennec (Un roi clandestin)
Sceneggiatura: Thibault Vanhulle, Philippe Elno
Fotografia: Régis Blondeau
Montaggio: Reynald Bertrand
Musiche: Pascal Lengagne
Scenografia: Franck Schwarz
Costumi: Marielle Cholet-Ganne, Valérie Le Hello
Gérard Depardieu: Sylvain Charpienter
Assad Ahmed: Fahim Mohammad
Isabelle Nanty: Mathilde
Mizanur Rahaman: Nura
Sarah Touffic Othman-Schmitt: Luna
Victor Herroux: Louis
Tiago Toubi: Max
Alexandre Naud: Alex
Pierre Gommé: Eliot
Axel Keravec: Dufard
Didier Flamand: Fressin
Pierre-François Martin-Laval: Peroni
TRAMA: Costretto ad abbandonare il natio Bangladesh, Fahim a otto anni è già un prodigio degli scacchi quando arriva a Parigi con il padre. Poiché viene rifiutato loro asilo, vivono come immigrati clandestini e piombano in una spirale di vagabondaggio e disperazione. Con un colpo di fortuna, però, Fahim viene presentato a uno dei più importanti coach di scacchi di Francia, Sylvain, che lo trasformerà in un campione.
VOTO 6,5

Da qualche anno, il cinema francese sforna film di belle storie di gente in difficoltà che rinascono a nuova vita, vicende costruttive ed educative come La mélodie, 7 uomini a mollo, The Specials - Fuori dal comune e via dicendo. Sullo stesso argomento, ecco un’altra vicenda, perfino realmente accaduta, una storia vera, quindi, che si trasforma in un film simil-sportivo che non rifugge dalla melodrammaticità, ma anche da ogni possibile cliché del genere. Non solo è un’altra storia simile ma la particolarità è che il giovanissimo protagonista è un immigrato irregolare in fuga con suo padre per sfuggire alle violenze militari in patria. A maggior ragione, quindi, una vicenda penosa e sconvolgente che vuole sfociare in libertà, sopravvivenza e affermazione nella specialità prediletta

È la storia di Fahim Mohammad (Assad Ahmed), un ragazzo del Bangladesh che ama gli scacchi e gioca con una intelligenza sorprendente, con una velocità sbalorditiva, che ha proprio nel sangue la dote necessaria per emergere con estrema facilità. Lui, costretto dalle pessime circostanze sociali che stanno minacciando l’esistenza della famiglia, si trasferisce clandestinamente, tramite il ben conosciuto viaggio pericoloso e inaffidabile, con suo padre – ricercato dall’esercito - in Francia, rischiando praticamente subito il rimpatrio e diventando, come tanti di loro, i cosiddetti sans papier, fin quando il destino riserva loro una bella sorpresa.

Succede infatti che la sua enorme abilità nel gioco che ama viene notata quasi per caso (questo è uno schema sempre utilizzato nel cinema) e scatta inevitabile l’invito a frequentare una piccola scuola di scacchi a Créteil, un grande comune nella Valle della Marna nella regione dell'Île-de-France. Lì c’è un’aula dove alcuni ragazzini, di varia estrazione e cultura, si riuniscono sotto la guida di un maturo insegnante e vecchia gloria del settore, Sylvain Charpienter (Gérard Depardieu). Questi è uno scontroso e impaziente uomo con una vasta cultura degli scacchi che mai avrebbe pensato di incrociare, per pura casualità, un giovane così dotato, molto oltre la media di chi aveva mai allevato. Anzi, il migliore in assoluto, un sicuro campione in grado di battere qualunque affermato asso della sua generazione. Intuisce che deve solo educarlo, insegnargli i binari su cui muoversi in quel mondo e portarlo ai campionati per fargli raggiungere i traguardi che merita.

Stravagante l’uomo, intelligente e ribelle il piccolo, quasi indomabile, anche perché è nervosissimo a causa della situazione molto difficile in cui sta sopravvivendo alla giornata con il padre, anche alla nottata, se è per questo, dato che non hanno dove dormire e come mangiare se non alla mensa dei poveri. Se non è tranquillo, se il padre non trova un lavoro, verranno espulsi e, quindi, a che serve pensare ai campionati, a che serve dare retta a Sylvain e alla adorabile segretaria della scuola, Mathilde (Isabelle Nanty) che si sta preoccupando per lui e per il padre? Il futuro non è grigio: è nerissimo ed ogni giorno è difficile e bisogna sempre correre e non farsi identificare dalla polizia, soprattutto quando i permessi sono scaduti.

Il giovane protagonista inizia come un personaggio dinamico e indisciplinato ma alla fine supera le difficoltà contro ogni previsione e realizza il suo sogno. Se a questo aggiungiamo le implicazioni sociali alla francese, con messaggi antirazzisti ben intenzionati e non nascosti, emerge questo piccolo eroe. Un ragazzino vispo che attira simpatia e comprensione, diventa il simbolo di tutti i giovani che cercano libertà e affermazione delle proprie inclinazioni in tutto il mondo, quello degli invisibili che scappano dalla guerra, dai regimi, dalla fame e sanno di avere le doti per emergere. Ma se non gli si dà la possibilità, loro restano prima un numero ed un foglio di carta, poi diventano banditi con un foglio di via.

Per salvare i milioni di Fahim serve sempre qualcosa di positivo, di bello, diciamo pure di meraviglioso, che può anche semplicemente essere rappresentato dal cuore conquistato di un burbero insegnante e da quello generoso e affezionato di una donna. Vedere le difficoltà di entrambi in un mondo diverso dove parlano una lingua che non capiscono, così come Pierre-François Martin-Laval ci mostra in varie occasioni, è imbarazzante per il cittadino occidentale e se il piccolo se la cava egregiamente e alla svelta è solo perché quelli della sua età sono veloci e predisposti dalla mente fresca di cui sono dotati a imparare in fretta. Buon per lui e suo padre lui, perché Fahim diventa il tramite tra l’autorità che deve valutare il permesso di soggiorno ed il padre che ormai era sfiduciato e rassegnato a tornare nelle grinfie del potere bengalese. Si fa il tifo, tanto tifo, come in uno stadio, perché il regista è anche furbo a farci schierare facilmente a favore di quel viso furbo dagli occhi scuri e saettanti. Quelli del re clandestino, come dice il titolo originale.


Mentre non mancano le comodità della sceneggiatura (ce n’è sempre bisogno in questi casi), c’è però un abbellimento intrinseco che probabilmente risiede nella chimica tra l’impetuoso e crudo protagonista e il veterano Depardieu. Assad Ahmed è il solito e sorprendente piccolo attore che stupisce (ma che hanno questi ragazzi, come fanno ad essere sempre superlativi al primo impegno recitativo?) per la naturalezza e la spontaneità, mentre Gérard Depardieu è a dir poco stupefacente, simpatico, travolgente. Lui è veramente un attore di razza pregiata, ce ne dimentichiamo sempre perché sopraffatti dalle varie disavventure private, ma lui è un cavallo di razza e qui ne dà ancora una prova. Piacevole e carina Isabelle Nanty, che dà il tocco giusto di bontà e sentimenti nel mondo barbaro in cui viviamo, da cui si salvano solo i compagni di gioco che formano il gruppo di amicizia, protezione e accoglienza verso Fahim, ad ennesima dimostrazione di come i bambini e i ragazzi non badano alle differenze che gli adulti chiamano diversità.

Le due interpretazioni si fondono bene insieme, mentre la leggerezza dell’umorismo francese le tiene con i piedi per terra, salvando il film dalla serietà drammatica. Si tratta di una biografia molto ben filmata e piacevole da guardare, senza allontanarsi dai soliti, sicuri e ingenui percorsi del cinema commerciale. Complimenti anche al regista e agli sceneggiatori.






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