top of page

Titolo grande

Avenir Light una delle font preferite dai designer. Facile da leggere, viene utilizzata per titoli e paragrafi.

Sopravvissuti (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 15 gen
  • Tempo di lettura: 6 min

Sopravvissuti

(Les Survivants) Francia 2022 thriller drammatico 1h33’

 

Regia: Guillaume Renusson

Sceneggiatura: Guillaume Renusson, Clément Peny

Fotografia: Pierre Maillis-Laval

Montaggio: Joseph Comar

Musiche: Robin Coudert

Scenografia: Karim Lagati

Costumi: Anne Kervran

 

Denis Ménochet: Samuel

Zar Amir Ebrahimi: Chehreh

Victoire Du Bois: Justine

Oscar Copp: Victor

Luca Terracciano: Stefano

Guillaume Pottier: Cédric

Roxane Barazzuol: Léa

 

TRAMA: Samuel si reca nel suo chalet sulle Alpi italiane per isolarsi e godersi la montagna ma trova una giovane donna afgana in cerca di riparo. Lui non vorrebbe noie mentre lei sta cercando di attraversare la frontiera per raggiungere la Francia. Samuel allora decide di accompagnarla nel percorso, senza immaginare che non è la natura quella che sarà loro più ostile.

 

VOTO 7



Due persone che non si sarebbero mai incontrate nella vita si incrociano, invece, in una situazione estrema. Samuel è un vedovo tormentato dal senso di colpa per l’incidente in cui è rimasta uccisa la moglie; Chehreh è una migrante afghana in fuga verso la Francia e quindi dalla polizia locale e dal gelo delle Alpi. L’uomo non è uno di quelli che per guadagnare o per generosità fa il “passatore” sulle montagne francesi, è solo un uomo che non riesce a superare il trauma di aver perso l’amata moglie in un incidente di cui si sente responsabile e che per la cui riabilitazione fisica, oltre che quella psicologica, non è ancora rientrato al lavoro. Lei sta scappando dai talebani e ha ancora in tasca le chiavi della casa abbandonata assiema al marito di cui, però, ha perso le tracce quando sono transitati dalla Gracia. Non ha più notizie e quelle chiavi rappresentano l’unico legame che la spinge sia nella fuga che nella speranza di riunirsi al congiunto “Sono le mie chiavi ma so che non tornerò mai a casa”. Forse a Briançon lo troverà. Almeno lo spera.



Nel fine settimana che precede il rientro al lavoro, Samuel decide, per cercare solitudine e riflettere sulla sua vita, di trascorrere un paio di giorni nella sua baita sulle Alpi italiane al confine con la Francia, lasciando la figlioletta al fratello. Ma giunto a destinazione trova il rifugio - ancora con il cappotto e la tavola apparecchiata dell’ultima occasione con la moglie - con tracce di qualcuno che si è lì rintanato. Sono quelle di Chehreh, assopitasi al riparo dal forte freddo e dalla neve abbondante dell’inverno alpino. La guarda, si osservano guardinghi, uno teme l’altra e viceversa, ma lui capisce che non può cacciarla in quella situazione e in quelle condizioni e, inizialmente controvoglia, decide almeno di accompagnarla per indicarle il percorso da compiere, difficile, anzi proibitivo, data la stagione e l’alto manto nevoso. Ma un drone, guidato da un trio che va a caccia dei migranti come i pionieri americani che ostacolavano e uccidevano i pellerossa, li inquadra minacciosamente, segno che i tre, che ha incontrato a valle e che si accingevano ad una battuta di caccia verso eventuali migranti, presto saranno sulle loro tracce con la motoslitta con cui setacciano la regione.



Siamo ancora nella tragedia della gente che cerca un riparo dalla vita nella solitudine e chi è alla ricerca disperata di un mondo dove sopravvivere. Come in Io capitano. Siamo sulle Alpi italiani a poca distanza dalla Francia, a 3000 metri di altezza, dove tutto è ghiaccio e gelo. Li l’afghana sta tentando di attraversare il confine per arrivare in Francia per una vita migliore. L’incontro fra i due non è facile: uno rifiuta contatti umani, l’altra cerca la sopravvivenza e il marito. È il parallelismo tra diversi dolori di perdita: quello di chi, come Samuel, ha perso qualcuno a cui teneva e soffre di depressione, e chi, come Chehreh, ha lasciato la sua terra perdendo tutto. Ma non è semplicemente il rapporto tra queste due persone così diverse, non è solo un affare privato: i due dovranno sfuggire a quel gruppo armato di residenti del posto che danno la caccia ai migranti irregolari come fossero cacciatori di scalpi: un uomo e una donna francesi e un terzo italiano, figlio di un vecchio conoscente dell’uomo. Ed il film, che era un dramma umano, diventa anche un western e poi anche un thriller.



Si tratta di un film che cammina sul filo dei confini, quello che uomini, donne, bambini, anziani (come non ricordare Green Border?) da altre parti del mondo cercano di varcare per accedere agli stessi diritti di cui godiamo nel vecchio continente. Lo scontro sarà inevitabile, perché i due sono a piedi e la fatica e il principio di assideramento sono i primi nemici da battere. Oltretutto la donna, coperta soltanto dal cappotto della moglie morta, non ha l’abbigliamento sufficiente: come può resistere vestita con jeans e scarpe da ginnastica?



Ci risiamo: emigrazione e solidarietà, xenofobia e indifferenza, inseguimenti come pulizia etnica. Frasi trite e ritrite che fanno male e che sentiamo ripetere dagli accaniti inseguitori, che si sentono in dovere di fare quello sporco lavoro: “non possiamo accoglierli tutti”, “in fondo questa è casa nostra”, eccetera. Oltralpe esiste qualcosa di parallelo: “les français d’abord”, i francesi per primi. Sono solo gli slogan usati dalle destre del mondo occidentale benestante, da chi ha tutto il necessario per vivere e teme l’arrivo di chi non ha più nulla. Nulla di nuovo, mentalità in espansione su un fenomeno di portata mondiale inarrestabile che andrebbe solo governato ma che viene utilizzato da governi che indicano il più povero come le cause delle crisi sociali e politiche. Ma questo è un altro discorso.



Nell’occasione, l’esordiente Guillaume Renusson ci mostra il lato umano più esasperato ma che è il più frequente, la fattispecie quotidiana e ci mette la situazione davanti alla coscienza, ponendo la figura di Samuel come nostro punto di vista, noi che osserviamo e che decidiamo se dare una mano o girarci dall’altra parte. Il nemico, a questo punto e nella trama, non è la povera Chehreh ma la mentalità rappresentata da una giovane coppia che con l’aiuto di un altro uomo vanno a caccia di altre persone con tanto di fucile che la donna non ha esitazioni a puntare verso il connazionale, reo di non rivelarle dove si trovi la migrante, che gli scaglia contro un feroce pastore tedesco, che viene trattenuta a stento dall’ucciderlo. Solo perché sta accompagnando, in condizioni proibitive in mezzo a persone ostili, una donna ad attraversare il confine.



Il bel film, a tratti straziante e commovente, affronta, come si arguisce, tematiche di rilevanza sociale e politica come l’immigrazione clandestina e la salvaguardia dei diritti umani attraverso il linguaggio del cinema di genere. Immerso nei suggestivi scenari montani innevati sulle Alpi italiane, il regista racconta il dramma di chi cerca ospitalità e trova solo odio e violenza, amplificato da una caccia all’uomo che coinvolge accidentalmente anche un estraneo inquadrato in un momento di estrema fragilità emotiva e psicologica. Il tema della sopravvivenza non è solo relativo ai terribili cacciatori di migranti, simbolo dell’umanità più gretta e razzista, ma anche alla Natura che porterà i protagonisti in condizioni che metteranno a dura prova il loro spirito di adattamento.



Il regista non nasconde che, a prescindere dalle tante interviste che ha raccolto in storie vere raccontate da migranti incontrati, ha preso numerosi spunti cinematografici da opere come Essential Killing (Jerzy Skolimowski), il meraviglioso Dersu Uzala – Il piccolo uomo delle grandi pianure (Akira Kurosawa), Il grande silenzio (Segio Corbucci). Come non ha voluto nascondere, a sentire le sue parole, la denuncia del fascismo imperante negli ultimi tempi. Per tutte queste riflessioni, il film, patrocinato da Amnesty International, diventa un thriller accattivante, minimalista e radicale che parla sia di lutto attraverso la storia di ricostruzione e guarigione di un uomo distrutto, sia di migranti che hanno lasciato tutto nella speranza di una vita migliore attraverso il ritratto di una donna coraggiosa e determinata. Ecco perché non sono solo due personaggi di un film qualsiasi. Mentre il terzetto infame si commenta da solo.



Guillaume Renusson è esordiente ma può vantare nel cast un duo da veterano. Denis Menochet (bravissimo, buono ma duro come in As bestas - La terra della discordia) e l’incantevole Zar Amir Ebrahimi, l’indimenticabile protagonista del formidabile Holy Spider (con cui ha vinto il premio miglior attrice a Cannes), del bellissimo Tatami - Una donna in lotta per la libertà e del recente Leggere Lolita a Teheran. Le chiavi nella tasca della protagonista del film? Sono quelle della vera casa dell’attrice, che, dice mestamente, che per ora non può rientrare nella sua Teheran. E non finiscono qui gli elogi: le musiche di Robin Coudert sono straordinarie, più che una colonna sonora è un accompagnamento agli incresciosi avvenimenti che vediamo, sono note e arrangiamenti che a volte assumono il ritmo del battito cardiaco e che esaltano i momenti più salienti. Formidabile!

E che esordio per Guillaume Renusson!


“Perché fai tutto questo per me?” “Perché hai bisogno di aiuto”.

Il contenuto del bellissimo film è tutto qui.



 
 
 

Comments


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

bottom of page