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Il cavaliere pallido (1985)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 1 giu
  • Tempo di lettura: 3 min
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Il cavaliere pallido

(Pale Rider) USA 1985 western 1h55’

 

Regia: Clint Eastwood

Sceneggiatura: Michael Butler, Dennis Shryack

Fotografia: Bruce Surtees

Montaggio: Joel Cox

Musiche: Lennie Niehaus

Scenografia: Edward Carfagno

Costumi: Glenn Wright

 

Clint Eastwood: il Predicatore

Michael Moriarty: Hull Barret

Carrie Snodgress: Sarah Wheeler

Chris Penn: Josh LaHood

Richard A. Dysart: Coy LaHood

Sydney Penny: Megan Wheeler

Richard Kiel: Club

Doug McGrath: Spider Conway

John Russell: Stockburn

Charles Hallahan: McGill

Fran Ryan: Ma Blankenship

Richard Hamilton: Pa Blankenship

 

TRAMA: Un predicatore arriva in un paese tra le montagne dove un proprietario di miniere vorrebbe scacciare i cercatori d’oro indipendenti. Invece di usare le parole della Bibbia contro gli usurpatori, lo straniero senza nome ricorre al piombo della Colt.

 

VOTO 6,5


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Il film western del 1985 diretto e interpretato da Clint Eastwood si distingue per il suo chiaro riferimento ai quattro Cavalieri dell’Apocalisse. La trama si svolge in una zona montuosa del Far West degli Stati Uniti, dove il proprietario di miniere Coy LaHood cerca di scacciare i cercatori d’oro indipendenti per impossessarsi del loro terreno. L’arrivo di uno sconosciuto, che si presenta come un Predicatore, cambia le sorti dei cercatori, introducendo temi di redenzione e giustizia.


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Clint Eastwood crea un western che fonde elementi di altri simili dando vita a un film caratterizzato da un forte senso estetico e narrativo essenziale. La storia segue la figura misteriosa del Predicatore, un personaggio enigmatico che arriva in una comunità di cercatori d’oro minacciata dall’uomo d’affari Coy LaHood ed incarna la giustizia attraverso la violenza, agendo come un angelo vendicatore che, invece di offrire redenzione, porta una punizione implacabile.


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La regia di Eastwood si distingue per uno stile sobrio e minimale, simile a quello del suo mentore Don Siegel, contrapponendosi alla grandiosità visiva dei film di Sergio Leone. Questa scelta stilistica esalta la semplicità della narrazione, lasciando poco spazio a spiegazioni o sviluppi profondi dei personaggi. Il Predicatore, in particolare, è dipinto come una figura astratta, senza passato né futuro, mantenendo un alone di mistero che impedisce allo spettatore di comprendere pienamente le sue motivazioni.


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Un elemento distintivo del film è la sua tematica religiosa, con chiari riferimenti alla lotta tra il Bene e il Male. Il Predicatore viene visto dai coloni come un protettore inviato per risolvere la loro difficile situazione, ma il suo intervento è guidato esclusivamente dalla necessità di vendetta, piuttosto che da un reale senso di giustizia. La sua identità rimane sfocata dato che il film suggerisce un’origine fantasmagorica, ma non fornisce risposte chiare, lasciando il pubblico nel dubbio.


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Anche la dimensione romantica gioca un ruolo interessante, con Sarah e sua figlia Megan che sviluppano un’attrazione per il protagonista. Tuttavia, questa sottotrama rimane secondaria rispetto alla narrazione principale, centrata sulla vendetta e la violenza. Hull Barret, il principale sostenitore dei coloni, cerca di affrontare LaHood con razionalità, ma la sua presenza è oscurata dall’enigmatica figura di Eastwood, che domina il film senza mai rivelare nulla di sé stesso.


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Il confronto finale tra il Predicatore e Stockburn, il mercenario di LaHood, è il culmine della tensione del film. Il passato tra i due uomini viene solo suggerito, senza mai essere approfondito. Questo lascia il pubblico con molte domande irrisolte sulla vera identità del protagonista e sul significato della sua missione. La battaglia tra i due è un momento di pura resa dei conti, più legato alla vendetta personale che alla protezione della comunità.


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Ci troviamo davanti ad un’opera (certamente non tra le migliori di Clint autore) che incarna il minimalismo narrativo di Eastwood, mettendo in scena un protagonista che non evolve e rimane avvolto nel mistero. La sua struttura, basata su una concezione rigida della moralità e della violenza, porta il film a essere più un esercizio stilistico che una storia profondamente coinvolgente. Nonostante questo, la sua atmosfera e il suo simbolismo religioso lo rendono un western affascinante e visivamente potente.



Presentato al 38º Festival di Cannes, è stato apprezzato per la sua atmosfera quasi fantastica e per le performance degli attori, nonostante alcune critiche sulla sua originalità e ritmo. Ma ovviamente, a Clint, nel pieno delle sue regie western (veniva da Il texano dagli occhi di ghiaccio e polizieschi tipo Corda tesa) gli si perdona tutto: i suoi sono personaggi ormai mitici.



 
 
 

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