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L'ultima volta che siamo stati bambini (2023)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 9 feb 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

L'ultima volta che siamo stati bambini

Italia/Francia 2023 commedia 1h30’

 

Regia: Claudio Bisio

Soggetto: Fabio Bartolomei (romanzo “L’ultima volta che siamo stati bambini”)

Sceneggiatura: Fabio Bonifacci, Claudio Bisio

Fotografia: Italo Petriccione

Montaggio: Luciana Pandolfelli

Musiche: Aldo De Scalzi, Pivio

Scenografia: Paola Comencini

Costumi: Beatrice Giannini

 

Vincenzo Sebastiani: Italo

Alessio Di Domenicantonio: Cosimo

Carlotta De Leonardis: Vanda

Lorenzo McGovern Zaini: Riccardo

Federico Cesari: Vittorio

Marianna Fontana: suor Agnese

Claudio Bisio: federale Anacleto Barocci

Antonello Fassari: nonno di Cosimo

Fabian Grutt: sergente

Giancarlo Martini: oste

Nikolai Selikovsky: tenente tedesco

 

TRAMA: Difficile essere bambini se attorno a te il mondo è coinvolto in una guerra. Ne sanno qualcosa Cosimo, Italo e Vanda, che durante la Seconda Guerra Mondiale hanno appena dieci anni. L'unica loro certezza è quella di dover partire per una missione di soccorso, quando un loro amico scompare.

 

Voto 5,5

Dall’omonimo romanzo di Federico Bartolomei, l’esordio alla regia di Claudio Bisio è perfettamente in linea con il suo mondo artistico e il suo impegno politico e sociale nella vita quotidiana. Si è posto ad altezza di quattro adolescenti per guardare con i loro occhi la sciagura della guerra, la Seconda mondiale che ha funestato l’Europa lasciando rovine, tantissimi morti e innanzitutto la Shoah. Lo sguardo dei piccoli, come si sa, ha una visuale del tutto differente da quella degli adulti e osservano e deducono ciò che vedono in quei tremendi frangenti spiazzando il maturo giudizio degli altri, dei grandi, reagendo in modo così ingenuo da far tenerezza e commuovendo.

I quattro protagonisti, nella Roma del 1943 sotto la dittatura mussoliniana, sono Italo (Vincenzo Sebastiani), Cosimo (Alessio Di Domenicantonio), Riccardo (Lorenzo McGovern Zaini) e Vanda (Carlotta De Leonardis, già vista in L’arminuta), 2021, di Giuseppe Bonito. Il primo è un grassottello ragazzino figlio di federale fascista (Claudio Bisio) e fratello di un ufficiale ferito in guerra, Vittorio (Federico Cesari), totalmente imbevuto, poverino, delle frasi declamatorie, retoriche ed esaltate che sente in casa, che si veste da balilla e crede assolutamente nella potenza della nazione che vincerà di sicuro la guerra, ma che soprattutto cerca di guadagnare terreno nei confronti del fratello, considerato un eroe; il secondo vive col nonno (Antonello Fassari) dal momento che il padre è stato confinato; il terzo fa parte di una famiglia di ebrei e avverte la discriminazione che gira intorno a lui e ai suoi ma ovviamente non capisce l’ostilità della gente; l’ultima è un’orfana che vive in un convento amorevolmente accudita da suor Agnese (Marianna Fontana). Come si può notare, la storia raccoglie ragazzini cresciuti in contesti differenti che stanno bene insieme e si vogliono bene, al contrario di ciò che accade al di sopra delle loro vite e teste, universo in cui accadono nefandezze.

È Italo (nome patriottico) che ama vestire i panni del leader nei giochi in strada, che perlopiù consistono in pratiche fanciullesche di guerra, così come avviene nella realtà, che a loro non pare del tutto deleteria. Per loro la guerra è qualcosa di lontano, una cosa che non li riguarda, così come il razzismo, ma notando anche che la gente, sebbene a fatica, continua a cercare di vivere dignitosamente, pur se tanti in povertà e fame. Come tanti alla loro età, giocano con armi di fortuna, fionde con cui sparare pietre agli aerei degli Alleati, che si vantano di prodezze da bimbi, che commentano da par loro le vicende che osservano. Ma è Vanda che, con l’astuzia e l’intelligenza tutta femminile, fa pendere la bilancia delle decisioni dalla parte sua e accetta di buon grado le sfide degli altri per esserne all’altezza. Non è l’unica donna che nel corso della trama dimostra di saper prendere il comando nei momenti difficili: altrettanto farà suor Agnese. In effetti sono loro ad avere il vero spirito da leader, anche se fanno finta che a comandare siano i maschi.

Un giorno, però, anche su Roma si abbatte la tragedia della Shoah e, misteriosamente ai loro occhi, senza mai capire il motivo, i tre vedono sparire dalla circolazione e dalla casa rimasta vuota il gentile ed educato Riccardo. Trovano solo un biglietto, scritto a mano, proprio come avvenne realmente in quel tempo, da parte dei fascisti italiani che collaboravano con i tedeschi per la deportazione degli ebrei dai quartieri della capitale. Tutto ciò che fanno e che faranno sarà spinto dalla loro ingenuità, dalla loro innocenza e con questa mentalità decidono di partire segretamente, abbandonando i loro vicoli, per andare a salvare il caro amico. Salvare il loro amico… partito con i camion e caricato sui treni blindati con altri ebrei invitati a portare loro averi e gioielli, quelli che saranno espropriati una volta giunti nei campi di lavoro, come li chiamano i tedeschi. Per i tre è una faccenda incomprensibile ed è per questo che intuiscono di seguire i binari della ferrovia per arrivare in Germania, luogo che non capiscono bene quanto sia lontano. L’importante è arrivare lì e liberare e riportare a giocare l’amico di cui avvertono la mancanza. Oltretutto perché non è giusto che ciò che è accaduto. È la visuale ad altezza di bambino.

Lì si è piazzato Claudio Bisio con la scrittura a quattro mani assieme a Fabio Bonifacci, attratti dal romanzo di Fabio Bartolomei (autore tra l’altro anche del soggetto di Noi e la Giulia) e ne è scaturita una storia che fa sorridere (poco), commuovere (poco) e riflettere (come altre volte) che promette bene ma si trascina a fatica fino al finale che sicuramente è la cosa migliore dell’intero film. Sì che la partitura è scritta con dialoghi elementari e diversamente non poteva essere (mai metter in bocca ai ragazzini idee troppo evolute) ma qualcosa di meglio doveva venir fuori. Ed invece si viaggia sulla normalità, anche mediocrità a voler essere più severi. Non entusiasmo molto e non è che sia recitato in maniera memorabile. Io, che apprezzo sempre la bravura dei piccoli, stavolta sono davvero perplesso, sia per la interpretazione stretta, sia per la gestualità. Scolastica, poco spontanea.

Da premiare le intenzioni e l’impegno, ma purtroppo quando si scrive così è sempre perché se ne resta delusi. Viene comoda la narrazione quando si libera la tragedia dalla misura che vedono gli adulti e la visuale diventa leggera, da fiaba, mentre aleggia l’aria della satira lieve (tipica del bravo Bisio) e quella della commedia. Nel frattempo, la sciagura del fascismo e dell’alleanza con il führer si abbatte sull’Italia su cui incombono tempi duri e di sopravvivenza: è per questo che i morti sono quasi del tutto fuori campo (c’è solo una scena con due corpi di partigiani sul percorso dei ragazzi) e una fucilazione eccessivamente prospettata viene sventata in modo rocambolesco e fanciullesco.

I ragazzini sono discreti ma non memorabili, come del resto gli altri del cast. Invece di Marianna Fontana devo ancora capire dove provenga la stima che spinge alcuni autori a chiamarla sul set.

Insomma, è una tragedia presentata come una commedia e ciò potrebbe anche andar bene, ma in buona sostanza resta poco alla fine della visione. Tranne appunto l’ultima sequenza, nella stazione ferroviaria dove Italo compie un gesto tanto avventato quanto inconsapevole e innocente, la più bella, che spiega perché quella fu l’ultima volta che erano ancora bambini. Dopo, non lo furono più.

Provaci ancora, Claudio!



 
 
 

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michemar

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