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Ti guardo (2015)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 8 set
  • Tempo di lettura: 4 min
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Ti guardo

(Desde Allá) Venezuela, Messico 2015 dramma 1h33’

 

Regia: Lorenzo Vigas

Sceneggiatura: Lorenzo Vigas

Fotografia: Sergio Armstrong

Montaggio: Isabela Monteiro de Castro

Musiche: Waldir Xavier

Scenografia: Matías Tikas

Costumi: Marisela Marin

 

Alfredo Castro: Armando

Luis Silva: Élder

Jericó Montilla: Amelia

Catherina Cardozo: Maria

Jorge Luis Bosque: Fernando

Greymer Acosta: Palma

Auffer Camacho: Mermelada

 

TRAMA: Armando, un uomo di cinquant’anni, cerca giovani a Caracas e li paga solo per avere compagnia. Un giorno incontra Élder, un ragazzo di diciassette anni e capo di una banda criminale, e quell’incontro cambia per sempre le loro vite.

 

VOTO 7


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Nel panorama del cinema latino-americano contemporaneo, l’opera di Lorenzo Vigas si impone come un’opera disturbante e magnetica, capace di raccontare l’intimità e il potere con una grammatica visiva spietata e silenziosa. È il primo film in lingua spagnola e il primo sudamericano a vincere il Leone d’Oro a Venezia: un debutto che non cerca consensi, ma scava sotto la pelle dello spettatore con la precisione di un bisturi. In particolare, è come uno studio, una contemplazione, l’anatomia, se si vuole, di un desiderio negato, bloccato.


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Armando (Alfredo Castro) è un uomo borghese e solitario, che vive in una Caracas caotica e frammentata. Gestisce un laboratorio di protesi dentarie, ma la sua vera attività è quella di adescare giovani ragazzi, offrendo loro denaro per spogliarsi nel suo appartamento. Non li tocca: li guarda. Il titolo italiano è diretto, quello originale, Desde allá, “da lontano”, esplica una distanza emotiva e sociale che permea l’intero film. Nella quotidianità di Armando c’è anche un lato misterioso, quando la storia è anche caratterizzata dallo spiare gli spostamenti di un uomo anziano con cui sembra avere un legame traumatico. Risiede lì l’origine di tutto?


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L’incontro con Élder (Luis Silva), adolescente proletario e aggressivo, rompe la routine di Armando. Tra i due nasce un rapporto ambiguo, fatto di tensione sessuale, manipolazione psicologica e un’oscura forma di affetto. Intanto, il ragazzo inizia a frequentare quella casa, spinto più che altro da interessi economici, ma con il tempo tra i due nasce un’intimità inaspettata, e si unisce sempre più all’uomo. Il film non offre spiegazioni, non cerca redenzioni. È un racconto di potere, di classe, di desiderio negato e di vendetta.


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Lorenzo Vigas adotta uno stile rigoroso e glaciale. La macchina da presa è spesso fissa, distante, con inquadrature che escludono i volti, che tagliano i corpi, che sfocano l’azione. I personaggi sono osservati come oggetti, come sagome. Il montaggio è ellittico, le scene si interrompono prima del climax, lasciando lo spettatore in uno stato di sospensione emotiva. È un cinema che non consola, che non spiega, che non giudica. È, indubbiamente, una regia ed uno stile visivo che lascia basiti ma ha effetto sullo spettatore, che credo sia proprio l’intenzione del regista.


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La fotografia di Sergio Armstrong è efficacissima perché serve precisamente ad accentuare il senso di claustrofobia e alienazione: luci fredde, ambienti chiusi, colori spenti. Caracas è presente, ma come rumore di fondo, come spettro urbano che incombe sui protagonisti. La città è un personaggio invisibile ma determinante, e rappresenta il caos, la violenza, la disuguaglianza. Che sono lì, fuori, fuori da questo anomalo rapporto che si è venuto a creare.


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Sollecita pietà e fa impressione osservare il protagonista e salta evidente ai nostri occhi che siamo davanti ad un film sulla solitudine, ma, allargando il pensiero, anche sul linguaggio del potere. Armando è il borghese che compra il corpo del proletario, ma è anche l’uomo ferito, il figlio traumatizzato, il carnefice che cerca redenzione. Élder è, in contraltare, il giovane rabbioso, ma anche il figlio non amato, il corpo desiderato, il vendicatore. È su questi temi che si sviluppa, sottile ma evidente e serpeggiante, il film che deriva da un soggetto scritto dallo stesso regista insieme al collega Guillermo Arriaga.


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Vi si esplora la sessualità come strumento di dominio, non come liberazione. Il desiderio è presente, ma non è mai consumato. È negato, represso, sublimato. La componente sessuale è sempre subordinata alla dinamica di classe, alla strategia psicologica. In questo senso, Lorenzo Vigas si inserisce in una tradizione di opere che hanno argomentato, con i loro film, registi come Losey e Fassbinder, oltre che scrittori come Jean Genet quando, nel suo romanzo autobiografico, Diario del ladro (1949), racconta la storia di un sé stesso ladro, omosessuale e marginale mentre vagabonda lungo l’Europa degli anni Trenta. Il corpo, in ogni caso, è come un campo di battaglia sociale. E si può anche aggiungere il recente Queer di Guadagnino.


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Non è un film facile. Non è un film che si fa amare, ma che si subisce. Vigas non cerca empatia, ma ci crea disorientamento: ricordo bene, quando l’ho visto, che alla fine non sapevo esattamente cosa provassi ed ero sconcertato, però ero scosso e incuriosito dall’origine del soggetto, dal perché, dal modo di filmare questo racconto disturbante sì, ma affascinante. Il finale, spiazzante e brutale, chiude il cerchio con una nota di ambiguità che lascia lo spettatore senza appigli. Opera che non offre risposte, ma che pone domande scomode: sul desiderio, sulla solitudine, sulla violenza invisibile che permea le relazioni umane.

Prodotto anche da Arriaga e Michel Franco, è un film che guarda, ma soprattutto costringe a guardare. Da lontano, ma senza scampo.


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Se Lorenzo Vigas è poco conosciuto ed è un peccato che non si sia ripetuto, l’interpretazione del cileno Alfredo Castro è magistrale, impressionante. L’attore perno su cui fa affidamento il connazionale Pablo Larraín, era saltato agli onori della gloria cinematografica con i film di quel regista: Tony Manero, Post Mortem, No - I giorni dell’arcobaleno, Il club (ed in seguito Neruda, fino al recente El Conde), dove si è sempre distinto, ma nel presente film dà, forse, il meglio di sé anche per la non semplice performance richiesta, intensa e significativa. Ottimo attore.


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Riconoscimenti

Venezia 2015

Leone d’oro

Goya 2017

Candidatura miglior film straniero in lingua spagnola

 


Commenti


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michemar

cinefilo da bambino

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