Tutti i battiti del mio cuore (2005)
- michemar

- 27 mar 2024
- Tempo di lettura: 7 min

Tutti i battiti del mio cuore
(De battre mon coeur s'est arrêté) Francia 2005 noir drammatico 1h48’
Regia: Jacques Audiard
Sceneggiatura: Jacques Audiard, Tonino Benacquista
Fotografia: Stéphane Fontaine
Montaggio: Juliette Welfling
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: François Emmanuelli
Costumi: Virginie Montel
Romain Duris: Thomas Seyr
Niels Arestrup: Robert Seyr
Jonathan Zaccaï: Fabrice
Gilles Cohen: Sami
Linh Dan Pham: Miao Lin
Aure Atika: Aline
Jian-Zhang: Jean-Pierre
Omar Habib: Assad
Emmanuelle Devos: Chris
Anton Yakovlev: Minskov
Mélanie Laurent: fidanzata di Minskov
TRAMA: Thomas, 28 anni, sembra aver seguito le orme del padre nel lavoro: si occupa di compravendite immobiliari, ricorrendo a metodi poco ortodossi per sgomberare le palazzine occupate dagli immigrati. L’incontro casuale con il suo vecchio maestro di pianoforte, lo spinge però a credere che potrebbe ancora diventare un pianista di talento. Per questo inizia a prepararsi seriamente al provino.
Voto 7,5

Il ventottenne Thomas conduce una vita che potrebbe quasi essere definita da criminale. In pratica, segue le orme di suo padre, Robert che guadagna soldi con affari immobiliari sporchi e spesso con metodi brutali. È un ragazzo piuttosto duro, nevrotico, ma anche stranamente premuroso nei confronti del genitore. In qualche modo sembra essere arrivato a un momento critico della vita quando l’incontro casuale con il vecchio insegnante di pianoforte ed agente di sua madre deceduta, una valente concertista, gli sveglia la voglia riprendere in mano lo strumento, sua vecchia passione, e torna a sognare di diventare davvero un concertista come l’amata mamma. Sente che questa potrebbe essere la sua ultima opportunità per riprendere in mano la vita e la fortuita conoscenza con una giovane e virtuosa insegnante di pianoforte recentemente venuta a vivere in Francia dall’estremo oriente, che ha studiato al Conservatorio di Pechino, pare l’occasione adatta. Questa, Miao Lin (Linh Dan Pham), non parla una parola di francese, solo vietnamita e cinese, lui solo francese, ma la musica diventa l’unica lingua che hanno in comune e, seppure con qualche difficoltà e attimi di nervosismo, le lezioni vanno avanti e lui ci prova con forte volontà, trascurando il lavoro e facendo innervosire i due colleghi senza scrupoli.
In breve tempo, il tentativo di Tom di essere una persona migliore significa tornare a desiderare il vero amore. Per coprire l’amico collega che tradisce la moglie, trova anche il tempo di incontrarla segretamente. Il giorno del provino musicale si avvicina e diventa ancora più irascibile, ma la sera precedente alla esibizione, invece di riposare come consiglia Miao Lin, è trascinato dai due colleghi in una notte di sgombero violento in una palazzina e la prova fallisce miseramente. Rovinando totalmente i sogni artistici. Due anni dopo, il suo dubbio passato, l’attività che gli fruttava denaro, torna prepotentemente alla vista del criminale russo che aveva commesso un gravissimo torto a lui e al padre. La sete di vendetta condurrà ad un finale piuttosto agitato, come il tempo musicale “prestissimo”, e forse sarà sul serio la svolta nella vita che stava cercando.
Due anime abitano nel corpo di Tom (Romain Duris): assieme a Sami (Gilles Cohen) e Fabrice (Jonathan Zaccaï), i due colleghi, è prima di tutto uno speculatore di affari immobiliari poco puliti, per giunta con mansioni di picchiatore dei poveri derelitti immigrati che occupano appartamenti sfitti o invenduti; dall’altro lato, è un appassionato di musica classica per pianoforte, frutto degli insegnamenti della madre. Due aspetti contrastanti che mai si direbbero conciliabili. Eppure, quando si siede sullo sgabello del pianoforte e respira profondamente per concentrarsi con le dita sui tasti (è questo il momento in cui il cuore cessa di battere, come dice il titolo originale?) sembra mettere alle spalle il lato oscuro della sua esistenza. E sarebbe anche bravo se seguisse bene i consigli della dolcissima Miao Lin. Ma da una parte i due amici lo richiamano all’ordine per non perdere gli affari, da un altro deve badare, proteggere e controllare un padre (Niels Arestrup) che non si arrende alla vecchiaia e pensa di sposare una giovane donna approfittatrice, Chris (un cameo di Emmanuelle Devos). Nel frattempo, sfrutta il momento di debolezza della moglie del collega fedifrago Aline (Aure Atika) e comincia anche a trovare maggior empatia e sintonia, non solo musicale, con la occasionale insegnante orientale.
Dopo i primi due film, rimasti pressocché sconosciuti e reperibili solo su DVD esteri, Jacques Audiard si era fatto conoscere con il buonissimo Sulle mie labbra (con Vincent Cassel e Emmanuelle Devos) e nel 2005 ribadisce, come farà sempre in seguito, le sue idee di cinema coerente con questo film (ispirato dall’americano “Rapsodia per un killer” di James Toback con un giovanissimo Harvey Keitel), in cui il regista lavora sulla dicotomia di violenza e musica. Ed è una dicotomia che si ripete fino all’ossessione anche perché il Tom dell’eccellente Romain Duris è sempre presente sulla scena, dal primo all’ultimo istante e succede che agisce sempre di sponda con gli altri personaggi e a turno: con i due colleghi, con il padre, con la improbabile sposa Chris, con la bella Aline, con il malavitoso russo Minskov, con la ragazza di quest’ultimo (una giovane Mélanie Laurent), persino con la madre persistente nei pensieri, musa ispiratrice e stella polare del suo istinto artistico. Indole che non lo abbandona mai, sempre tambureggiando con le dite sul bancone dei bar, sullo sterzo o sul cruscotto dell’auto, sulla valigetta: il ritmo ossessivo delle più note “Toccata e fuga” di Bach, Chopin, Liszt, insomma, non lo abbandona mai e diventa presto il suo unico pensiero fisso. Anzi, diventa il frame per eccellenza del film.
Volutamente ho lasciato per ultimo, ma primo per influenza, importanza e determinazione per il futuro, il rapporto tra il protagonista e la gentile e paziente Miao Lin: inizialmente Tom non sopportava l’idea di andare a lezione in casa di una sconosciuta con cui era impossibile dialogare, di cui non capiva gli ammonimenti e le correzioni di tempo e postura, che gli dava fastidio sentirsela osservare alle spalle. Poi, lentamente, così come nasce un fiore in un campo incolto e aspro, che si abbellisce di colore naturale, che porta petali profumati, le distanze si accorciano e i cuori si avvicinano, senza che mai, ma proprio mai, Audiard ce lo mostri. Il regista non usa mai mezze misure e salta a piè pari dalla frenesia quotidiana di questi personaggi alle armonie sinfoniche, dalla violenza notturna al corteggiamento erotico di un bullo dalla faccia da schiaffi, dalla violentissima colluttazione finale alla galanteria affettuosa verso la pianista affermata. Ma sempre al centro lui, il Tom controverso e irrequieto, spietato negli affari ma indigente negli affetti di cui si accorge di avere bisogno. È la dolcezza orientale che lo piega, è la fragilità fisica di una signorina dalle maniere delicate che gli regolerà l’esistenza. Il pianoforte si manifesta come una speranza ultima oltre cui non c’è altro che la banalità del male, la brutalità che non lascia scampo e lui, come noi spettatori, resta ipnotizzato dal difficoltoso ritmo del pentagramma che ha sul leggio - metafora di una vita condotta a ritmo serrato e con alti e bassi - con pause esatte e riprese impetuose, dopo, sia ben chiaro, aver fermato i battiti del cuore, prima di posare con precisione i polpastrelli morbidi e ubbidienti sui tasti dell’amato pianoforte.
Da sempre e per sempre, dal primo all’ultimo film, gli uomini di Jacques Audiard sono anime vagheggianti per l’universo umano, perse nella giungla metropolitana o della banlieue periferica, tra pericoli manifesti ed altri occulti. Anime aride molto spesso inaridite dall’ambiente in cui sono cresciute, che nell’intimo posseggono un minimo di germoglio per essere migliori: l’acqua per crescere, se sono fortunati, la trovano con persone migliori, quando, se hanno fortuna, riescono ad incrociarle nella strada della vita. E, se facciamo caso, sono sempre protagonisti maschili, è un cinema virile: Paul Angeli che aggancia l’impiegata disabile e mesta affamata di mélo (Sulle mie labbra), Malik (Il profeta), Ali, buttafuori straniero con la possibilità del ring, compagno di sventura di Stéphanie (Un sapore di ruggine e ossa), Dheepan (Dheepan - Una nuova vita), il maggior simbolo della autodifesa di una persona che voleva solo migliorarsi e redimersi, un guerriero in cerca di salvezza altrove, ed infine gli assoldati de I fratelli Sisters. L’unica eccezione resta l’ultimo film ad oggi mentre scrivo, Parigi, 13Arr., il film meno personalizzato e l’unico corale, ma sempre di giovani alla ricerca di qualcosa e del futuro. Qui è Tom che cerca la autosantificazione per liberarsi di una vita irregolare che pare lo soddisfi ma che alla fine lo fa rimanere sempre solo e insoddisfatto: eccettuata l’avventurosa relazione clandestina con Aline, lui non ha uno straccio di ragazza, non ha nessuno che gli dica che gli vuol bene. E come i santi e i martiri, gli sta bene anche presentarsi in teatro ad ascoltare la sua amata sporco di sangue, sul colletto, sul viso, sulle mani. Lo osserviamo sedersi, calmarsi, respirare quieto, mentre il pubblico accanto non si accorge di nulla. Il cuore, finalmente, si è fermato di battere velocemente, adesso ha il ritmo giusto, come quello che Miao Lin sa rispettare sul palco. Bellissima ed elegantissima, che sicuramente lo guiderà senza mai più alzare la voce, come invece le è capitato solo una volta: perché anche i giusti perdono le staffe.
Camera in spalla, come sempre, Audiard, autore spesso giudicato in patria come reazionario, personaggio contestato e controverso, rileva ogni minima mimica di Romain Duris, mai così bravo, mai più (proprio come Tahar Rahim): ha l’espressione, anche minimale, sempre giusta, parla parecchio ma sarebbe efficace anche zitto, e non ha più avuto un’occasione migliore di questa, preferito dagli altri registi come commediante o bell’imbusto, persino alla Lupin. Peccato, uno spreco di talento. Gli altri, pur sempre bravi, valgono solo come contorno ad un protagonista (pre)potente, invadente, spettinato come la sua mente, che ha sempre la soluzione a seconda delle difficoltà, che si arrende solo alla partner ideale, l’unica che può placare la sua smania di vivere con il ritmo che imprime sempre alle dita sui tasti (“Troppo rubato” lo rimprovera durante una lezione, continuamente ad anticipare i tempi previsti invece dai celebri autori). Discorso a parte merita l’eccellente Niels Arestrup, che, quando deve fare il lavoro sporco, ne è il principe, in ogni occasione. Siamo ancora agli inizi della carriera sia per il regista che per l’attore ed il primo rimarrà fedele al suo stigma, mettendoci in imbarazzo nel caso si volesse fare una graduatoria della filmografia. Se Il profeta è il suo migliore, è difficile fare una classifica degli altri, tutti belli, tutti da vedere e rivedere, per scoprire, come è successo a me, quanto valgono. Unico nel panorama mondiale nel raccontare questo tipo di storie e in questa maniera, esaustiva ed estenuante.
Bellissime le musiche di Alexandre Desplat, che rispetta appieno, assecondando il regista, lo scontro tra i brani armoniosi e la violenza dei momenti drammatici.
Riconoscimenti
Festival di Berlino
Orso d'argento per la colonna sonora
Premi César 2006
Miglior film
Miglior regista
Miglior sceneggiatura
Migliore attore non protagonista ad Niels Arestrup
Migliore promessa femminile a Linh Dan Pham
Migliore fotografia
Miglior montaggio
Miglior colonna sonora
Premi Lumière 2006
Miglior film
Miglior attore Romain Duris


































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